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MagicEwen seconda perla - Robbie fa conto pari con Boonen

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Lo chiameremo proprio così, Robbie MagicEwen. Perché è un folletto, scompare e riappare come se fosse protagonista di un incantesimo, ma poi, quando c'è da mettere giù il rapporto duro e sparare tutto quello che ha nelle gambe, lui qualcosa la inventa sempre. L'australiano è di gran lunga il più divertente sprinter del gruppo, non è forse bello a vedersi come Petacchi, non è fresco come Boonen, non è potente come Hushovd, non è chirurgico come Freire, ma è la presenza più irrinunciabile delle volate.
Anzi, meno male che (per consuetudine) Robbie non manca mai l'appuntamento doppio, Giro e poi Tour, anche se alla corsa rosa si ritira dopo 10 giorni. Ma pazienza, la sua presenza è comunque un valore aggiunto, perché in un novero di corridori eccellenti ma forse troppo bravi (in senso "morale"), lui è l'angelo dalla faccia sporca, quello che ogni tanto fa la marachella, pur senza mai rischiare di far male a qualcuno. Chi, se non lui, poteva inventarsi, l'anno scorso al Giro, un lancio all'americana? E chi, se non lui, poteva dire, dopo aver preso O'Grady a testate qualche giorno fa, "L'ho fatto solo per non cadere, per trovare un appoggio"?
MagicEwen è una simpatica canaglia, avercene di ragazzi come lui. Dispiace solo che ormai abbia 33 anni, e quindi le stagioni già corse ad alto livello sono molte di più di quelle che gli restano.
Oggi, per dire: archiviata la lunga e bella fuga di Wegmann (un tedesco, d'altronde si arrivava in Germania), e lasciate alle spalle un bel po' di cadute (una, che ha coinvolto diversi uomini - tra cui Zabriskie, Mancebo, Furlan - a 32 chilometri dal traguardo, è stata causata dalle rotaie del tram; un'altra, nei primi chilometri, ha costretto al ritiro Spezialetti, e anche Boonen ha saggiato l'asprezza dell'asfalto in mattinata), l'epilogo era quello atteso da tutti, e cioé l'ennesima volata di questo Tour (la quarta, in totale).
MagicEwen ringrazia sempre educatamente la squadra per il gran lavoro che svolge, e in effetti quelli della Davitamon anche oggi hanno tirato a lungo per riprendere Wegmann. Ma poi, quando arriva il momento topico, Robbie resta sempre solo. Che farebbe se potesse disporre di un vero treno, pronto a badare a lui dall'inizio alla fine di ogni tappa? Non lo sapremo mai. Comunque l'australiano fa da sé, e lo fa bene. Stavolta non ha trovato, o forse, dall'alto della sua furbizia, non ha cercato la ruota di Boonen, visto che il belga era un po' scarico nel finale.
Invece Robbie è partito autonomamente, ai 150 metri, dimostrando di non saper vivere solo da parassita del lavoro altrui, ma di saper essere vincente anche senza cercare appoggi esterni. MagicEwen è scattato sul lato destro della strada, non dando a Backstedt la possibilità di uscire dalla sua ruota se non quando non è stato troppo tardi per lo svedese (che però dirà di aver aspettato troppo per scelta, e non per impossibilità di movimento). Nel frattempo, Boonen si annacquava in mezzo alla strada, superato da troppi altri colleghi, lui come Hushovd del resto.
Sfortunatissimo invece Furlan, buttato giù dall'ennesima manovra assassina in cui è coinvolto Gálvez. Lo spagnolo, forse per cercare un pertugio inesistente, forse per uno scarto improvviso di Kirsipuu davanti a lui (ma chi è dietro deve avere cento occhi), ha toccato la ruota dell'estone ed è finito per terra, travolgento l'accorrente Furlan. Il quale era già caduto poco prima, e nonostante ciò aveva saputo rientrare ed era lì a giocarsi un buon piazzamento. Niente da fare, giornata proprio nera per Angelo, che ora dovrà aspettare mercoledì o (più probabilmente) giovedì per avere un nuovo traguardo buono.
Boonen, da parte sua, ha poco da rammaricarsi. Nella vita bisogna fare delle scelte, e se lui ha deciso di fare il fenomeno sui traguardi volanti di Brumath e Rastatt (quest'ultimo a soli 31 chilometri dal traguardo), non si può lamentare se poi allo sprint che contava, quello dell'arrivo, le gambe gli si sono fatte molli. Corrente di pensiero alternativa: visto che a inizio tappa era caduto (visibile lo squarcio sui pantaloncini, con tanto di coscia insanguinata sotto), Tom ha voluto testarsi a Brumath per vedere se poteva fare la volata a Karlsruhe; deve aver dedotto che no, non ne aveva troppo, e allora si è buttato sul traguardo volante di Rastatt per conquistare qualche altro punto buono per la maglia verde. Sì, può essere una chiave di lettura valida, però è sintomatico notare che anche Hushovd, che si è dannato agli sprint con abbuoni, è arrivato al traguardo svuotato. Quindi il dubbio è più che legittimo: come sarebbe andata se Tom e Thor si fossero un po' risparmiati?
Domande che ci terranno col pensiero per lo spazio di una sera, visto che domani si inizia a cambiare orizzonti, si inizia a guardare alla classifica. È il classico antipasto di quel che sarà (poco, a guardare le altimetrie delle prossime tappe), e la Pforzheim-Gérardmer (comunque lunga, 231,5 km) propone quattro collinette in avvio, poi 140 km di pianura, quindi una salita un po' più seria: si chiama Col de la Schlucht, è lunga più o meno 20 km ed ha pendenze in genere facili, ma con qualche punta all'8%. Quel che conta, si scollina a soli 15 km dal traguardo, e dopo la vetta ci sono 10 km buoni di discesa e 5 di falsopiano digradante: insomma, poco spazio per recuperare, specie se il tempo non sarà clemente.
È chiaro che una settimana di copioni scontati, se si eccettua il colpo di mano di Vinokourov di ieri, ci hanno fatto crescere dentro una gran voglia di vedere attacchi e contrattacchi seri. Ecco, diciamo che questo Col de la Schlucht potrà iniziare a saziare la sete di spettacolo che ci anima. Ma dovranno muoversi i rivali di Armstrong, e non aspettare. Sennò si fa il gioco dell'americano. Qualcosa ci dice, comunque, che qualche fuocherello artificiale lo vedremo.

Marco Grassi



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