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Armstrong smascherato? - Secondo L'Equipe Lance usava Epo

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"Non ho mai fatto uso di sostanze dopanti, credo nella competizione leale e non ho mai cercato aiuti illeciti per le mie prestazioni". Così Lance Armstrong era solito ribattere ai molti dubbi, alle tante insinuazioni che si moltiplicavano ad ogni Tour de France vinto, dominato dal marziano texano più forte degli avversari e di una malattia che avrebbe potuto portarlo alla morte e che invece ce lo rese più forte di prima, addirittura mutato come tipologia di corridore, da uomo buono per le classiche a imbattibile vincitore seriale di Tour.
Allo stesso modo, "Non ho mai fatto uso di sostanze dopanti, credo nella competizione leale e non ho mai cercato aiuti illeciti per le mie prestazioni", Lance Armstrong risponde oggi all'infernale accusa che gli piove addosso da L'Equipe, giornale transalpino che spara a tutta pagina "La Menzogna Armstrong", rivelando che no, non è vero che il signorino non si fosse mai dopato, perché anche lui ha usato Epo, perlomeno nel corso (o prima) del Tour 1999, il primo della sua epopea (Epopea?).
Il quotidiano sportivo si basa sui risultati di una ricerca svolta dal laboratorio antidoping di Châtenay-Malabry, dati che apparirebbero inequivocabili. Tale laboratorio, per conto della Wada (l'agenzia mondiale antidoping) ha svolto una ricerca su alcuni campioni di urine congelati nel corso del 1999, allo scopo di trovare nuove metodologie per rintracciare l'Epo. 12 sono state le provette analizzate con queste nuove tecniche, e 6 sono risultate positive. Andando a controllare a chi corrispondessero le 6 positività (i test si fanno "al buio", solo successivamente all'esito si risale, attraverso un codice, all'identità dell'atleta esaminato), ecco che è venuto fuori il nome di Lance Armstrong.
Quindi: approfittando del fatto che all'epoca non c'erano controlli che potessero verificare l'assunzione di Epo, anche il texano, così come moltissimi altri corridori, ne avrebbe fatto uso. Le 6 positività riguardano sei tappe di quel Tour dei miracoli. 6 positività in tre settimane significano un uso "scientifico" della sostanza in questione, e la reiterazione del risultato escluderebbe la possibilità di errori nelle analisi.
Problema enorme, a questo punto: come gestire questa caduta degli dei? Pesantissimo il colpo per l'immagine del ciclismo, quanto a quella di Armstrong, ci interessa meno. Se è vero che l'americano ha fatto per anni il verginello senza averne le prerogative, questo fatto ci fa imbufalire di brutto. Non saremmo onesti se non dicessimo che sospetti, a partire dalla frequentazione col Dopatore Maximo prof. Michele Ferrari, ne avevamo. Ora è possibile che siamo in presenza di prove che avallano le voci che si rincorrevano da tempo.
Il nodo critico: perché questa storia viene fuori proprio un mese dopo che Armstrong si è ritirato? Non è che ora che non serve più, il texano viene scaricato e trasformato in capro espiatorio? Lati oscuri non si può dire che manchino: perché su 12 campioni esaminati, ben 6 erano di Armstrong? Solo un caso, possibile che sia solo un caso? Di certo nei prossimi giorni avremo dei ragguagli più precisi (o almeno lo speriamo).
Contro la tesi "complottistica" ci sono altri dati: la ricerca è stata commissionata dalla Wada, che opera al di fuori del mondo del ciclismo; per questo tipo di ricerche ci sono dei tempi stabiliti in origine, ed è pensabile che quando il laboratorio di Châtenay si è attivato (almeno un anno fa), non si sapesse se Armstrong si sarebbe ritirato a luglio 2005. Al contrario, a voler essere maligni si può ribaltare la questione: può essere che il ritiro del texano sia venuto proprio nel momento in cui Lance ha sentito (o ha saputo) che si stava per fare terra bruciata intorno a lui?
All'orizzonte non è possibile sapere se ci saranno ripercussioni sul piano sportivo, dei risultati: verrà tolto ad Armstrong il Tour del 1999? E gli altri, allora, quelli successivi: li avrebbe corsi, a positività acclarata in tempo reale? No, non tutti perlomeno. Però i test non sono ufficiali ma sperimentali, e per di più non è possibile effettuare controanalisi (a parità di condizioni, c'è chi continua a fregiarsi di un oro olimpico - parliamo ovviamente di Tyler Hamilton, primo nella crono dei Giochi di Atene e poi trovato positivo all'Epo, ma attraverso un campione che si è poi deteriorato, rendendo impossibile l'analisi di conferma).
Quindi sarà difficile che il palmares di Armstrong venga intaccato; a meno che la Usada, agenzia antidoping americana, non entri nella vicenda aprendo altri filoni di inchiesta (la questione doping è un nervo scoperto, oltreatlantico, in seguito al caso Balco) e prendendo provvedimenti conseguenti. La situazione, comunque, è fluida, e non si può sapere che sviluppi ci saranno.
Due riflessioni: non credevamo che questo giorno sarebbe arrivato. Armstrong si era ritirato da imbattuto e da recordman, ma evidentemente la sua parabola non era ancora conclusa.
E poi: che pena sapere che un reduce da un cancro si sia sottoposto a trattamenti chimici di cui a tutt'oggi non è dato sapere le reali controindicazioni e le ripercussioni sul fisico a lungo termine. Questi sono i medici a cui questi atleti ignoranti e incoscienti si rivolgono, nelle cui mani si mettono a occhi chiusi. E si tratta di medici (il Ferrari di cui parlavamo prima, condannato dalla giustizia italiana proprio per diffusione di doping) senza scrupoli, che si arricchiscono sulla pelle dei ciclisti e degli altri sportivi.
Postilla dell'indegnità: Jean-Marie Leblanc, da parte sua, si sente tradito. Il pigmalione francese di Armstrong questo ha confessato quando ha saputo la notizia. Vacci a credere: è impensabile che uno così addentro alle cose del ciclismo come l'ex direttore del Tour de France avesse del tutto rinunciato ad un grammo di senso critico quando si parlava di Lance. Secondo Leblanc proprio il texano aveva salvato, con la sua rinascita umana e sportiva, il ciclismo all'indomani di una serie di scandali doping (caso Festina, caso Pantani), nel 1999. Questa tesi è stata propugnata da Leblanc in diverse occasioni, e sempre la contrapposizione veniva fatta tra Lance il buono e Pantani il cattivo.
Diciamo allora che Leblanc non avrebbe messo la mano sul fuoco sull'onestà di Armstrong, probabilmente. Solo che gli faceva gioco diffondere l'immagine immacolata dell'americano, un'immagine che valeva da esempio positivo e che era foriera di grandi attenzioni nei confronti dell'ambiente (ambiente Tour, non certo ambiente Ciclismo). Ora, non appena l'idolo è caduto dal piedistallo, Leblanc è già in prima linea per scaricarlo: altri (da Merckx a Fignon) sono stati ben più cauti nelle loro dichiarazioni; lui invece non perde tempo, e conquista come al solito la palma di peggior figuro del ciclismo moderno.

Marco Grassi





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