"Merckx primo amore" - Intervista esclusiva ad Alessandra De Stefano
Versione stampabileForse tutto cominciò su una spiaggia, o forse in un cortile. La bilia arancione, quella con la foto di Eddy Merckx. Una bambina sfidava i suoi coetanei, per lo più maschietti. La bilia del "Cannibale" per farla innamorare di quello sport che avrebbe fatto, un giorno, parte integrante della propria vita.
Non ci è difficile immaginarci così Alessandra De Stefano quando era bambina. La sua voce così calda che coinvolge, i suoi commenti che riescono a suscitare forti emozioni. È facile allora calarsi in una atmosfera quasi surreale, con il tempo che si è fermato ad un caldo pomeriggio di luglio di più di trent'anni fa, con i bambini intenti a giocare con le bilie nel cortile. Le finestre aperte che fanno fuoriuscire la voce di De Zan che, una volta di più, sta esaltando l'ennesima impresa del belga, sulle strade del Tour.
«Quella per il ciclismo è una passione che mi ha trasmesso mio padre. Era un accanito tifoso di Merckx ed a me aveva imposto proprio la bilia arancione, quella di Eddy Merckx. Abitavo a Roma in un condominio e quella era la bilia con la quale sfidavo gli altri bambini, scatenando a volte la loro rabbia. Tifosissimi di corridori italiani, per lo più di Gimondi. È ovvio quindi che Merckx ha suscitato sempre la mia curiosità. Quando conobbi De Zan, la prima cosa che gli chiesi fu: "Ma com'è Eddy Merckx?"».
Da quanto tempo lavori in Rai?
«Ho fatto quattro anni di precariato. Poi, nel 1998 quando il Giro d'Italia è tornato all'emittente di stato, dopo essere stato per cinque anni a "Mediaset", il mio direttore di allora, Giovanni Bruno, mi fece due proposte: il Giro d'Italia o i Mondiali di calcio in Francia. Scelsi il Giro e da lì incominciai».
E che debutto! Fu, quello, il Giro di Pantani.
«Fu davvero un gran bel Giro. Fu scoppiettante sin dall'inizio con le sfide tra Pantani e Bartoli. Partì subito forte Alex Zuelle che addirittura prima dell'ultima settimana sembrava essere il favorito assoluto. Tutto contribuì a non farmi rimpiangere di aver preferito il ciclismo al calcio. Ancora oggi sono molto grata a Giovanni Bruno, il mio vero pigmalione, per avermi dato questa opportunità».
Oltre al Giro però, hai avuto poi modo di destreggiarti anche sulle strade del Tour?
«Sì, ho seguito quattro Tour de France ed una Vuelta».
Una carriera segnata profondamente dallo sport delle due ruote.
«Certo. Ho seguito anche altri sport. Ricordo ancora con molto piacere quando seguii la Coppa America ad Auckland. Il ciclismo però è quello che meglio mi si adatta. Io sono una che ama molto scrivere, provengo dalla carta stampata e risento di questo mio tipo di formazione. Il ciclismo mi consente di raccontare lo sport proprio come lo intendo e lo voglio raccontare io».
I tuoi pezzi televisivi fanno comunque breccia nei cuori degli appassionati. La tua bravura ed un timbro di voce bellissimo compongono insieme un cocktail eccezionale.
«E pensare che quando arrivai in Rai mi dissero che avevo una voce troppo particolare, che non andava bene per recitare i pezzi. Mi chiedevano addirittura di fare un corso di impostazione vocale. Mi opposi. Dissi che non dovevo recitare Shakespeare. Dovevo arrivare alla gente e lì credevo di poter arrivare».
Ci sei arrivata. Eccome! Hai parlato di Merckx, della tua infanzia. Ma dopo, quali sono stati i tuoi "amori" nel ciclismo?
«Saronni. Ricordo perfettamente mio padre e mia madre incollati davanti al televisore a vedere il Mondiale di Goodwood. Un'immagine che mi ha segnato profondamente. Poi mi è piaciuto molto Greg Lemond. Lo trovavo molto simpatico. Quando però hai fatto il tifo per un campione come Merckx, è difficile trovarne un altro che riesca a prenderne il posto. Un po' come mi è successo con Senna. Dopo la sua morte, non ho più assistito ad un Gran Premio di Formula 1. Ovviamente poi, c'è stato Pantani. Per me Marco è stato una persona molto particolare».
Probabilmente anche tu lo sei stata per lui. Anche nei suoi momenti più difficili, un po' di spazio e tempo per te l'ha sempre avuto. Dimostrava di stimarti e di apprezzarti moltissimo.
«Sì, ho ancora una maglia rosa che mi ha regalato nel '98 con su scritto: "Ad Alessandra, con affetto"».
Poi invece, nel 1999 il grande dramma a Madonna di Campiglio. Un dramma che tu hai vissuto intensamente in prima linea.
«Quel giorno fu davvero un dramma. Ricordo che dovevo andare con la mia troupe sul Mortirolo per registrare e documentare il passaggio di Pantani. Tutto lasciava presagire l'impresa. Alle 7.30 del mattino telefonai ad Agostini, l'addetto stampa della Mercatone Uno, per concordare un'intervista con Marco. Agostini fu estremamente cortese e gentile, un atteggiamento che andava al di là della sua consueta cordialità. Erano giorni quelli, in cui anche lui era messo a dura prova, sempre sotto pressione, con Marco richiestissimo sempre da tutti. Il suo atteggiamento mi colpì tanto che telefonai a Giovanni Bruno, facendoglielo presente. Dopo cinque minuti, mi ritelefonò dicendomi di tornare a Madonna di Campiglio perchè erano sorti gravi problemi a Pantani. Dovetti improvvisare. Non potevo fare la diretta perchè avevo la telecamera ma non la radiocamera. Così, intervistai Pantani con il mio cellulare. Fu un'impresa».
Un altro evento drammatico fu il blitz di Sanremo al Giro del 2001.
«Fu un delirio. Nessuno sospettava nulla. Io mi trovavo nell'albergo dove alloggiava Pantani. Sembrava che Marco dovesse annunciare il suo ritiro dalla corsa quella sera. Era poco prima delle 20 e stavo provando il pezzo con il quale annunciare il ritiro del Pirata. Improvvisamente, sbucarono circa 200 Agenti dei Nas. Furono attimi incredibili».
Situazioni sicuramente poco piacevoli, come quelle che videro, al Giro d'Italia successivo, protagonisti Garzelli e Simoni. Tutti e due, se pure in circostanze diverse, costretti a lasciare la corsa.
«La vicenda di Simoni fu un po' più mediata, se non altro più ragionata rispetto a Garzelli, che fu obbligato a fermarsi dai risultati delle controanalisi. Gilberto invece fu consigliato dai vertici della Saeco di lasciare il Giro. Due giorni dopo, accettò che gli facessi una intervista telefonica nella quale spiegò l'equivoco delle caramelle e le vicende del dentista».
Il difficile ed il bello del tuo lavoro è sicuramente quello di operare sempre in "prima linea".
«La corsa si vive sul traguardo. Il teatro del ciclismo è la strada. Se vuoi capire ed apprezzare questo sport è lì che devi essere».
Con questo tuo modo di vivere così intensamente questo sport, puoi dire com'è cambiato dal tuo debutto ad oggi, il ciclismo?
«Io spero che il ciclismo non perda mai la sua naturalezza. In questi anni ho visto comparire molti procuratori, una serie di figure che prima non c'erano. Il bello del ciclismo è che puoi vivere un rapporto diretto con i protagonisti. Guai a creare troppe zone cuscinetto. Lo stesso Armstrong al Tour, lo aspetti al di fuori del suo camper. Lui esce e ci parli. Il ciclismo non è uno sport da filtrare».
Alessandra De Stefano intervista José Rujano al Giro d'Italia 2005
Forse la bellezza del ciclismo è fare dei nomi alla partenza a Reggio Calabria, per poi vedere a Milano protagonisti corridori ai quali nessuno aveva pensato.
«Proprio vero. Nei giorni che precedettero la partenza del Giro, la Rai mandò in onda quattro speciali sulla corsa rosa. In fase di preparazione ricordo che Bulbarelli mi suggeriva un'intervista a Rujano presentandomelo come un corridore che aveva fatto vedere di andare forte in salita. Ricordo che era molto timido e forse non capì nemmeno troppo bene il senso della mia intervista. Proposi allora ad Auro di lasciar perdere e così fu. Mai mi sarei immaginata che avrebbe corso un Giro così alla grande. Rujano è un ragazzo che viene dalla fame vera. Non parlo di fame fisiologica anche se l'immagine con il panino al Sestriere è bellissima. Io parlo di fame in senso lato. Fame di vittorie, fame di successo. Gente che si mette in gioco in contesti come il Giro d'Italia per cercare di ribaltare la propria esistenza e magari anche quella dei propri cari».
I tuoi ricordi di Adriano De Zan.
«Bellissimi. Un grande personaggio. Ricordo in particolare il suo ultimo Giro d'Italia, quello del 2001. Adriano sapeva che sarebbe stato il suo ultimo Giro e lo visse sempre malinconicamente, con molta tristezza. Da parte mia, cercavo di stargli vicino e di coinvolgerlo spesso durante le dirette. Lui si accorgeva di questo e mi ringraziava sempre».
Qual è la tua idea sul Pro Tour?
«Devo essere sincera. Prima del Giro d'Italia avevo qualche esitazione a proposito. Ancora oggi vedo con molta perplessità la mancanza di una logica di promozione o retrocessione. Devo dire però che vedere al Giro d'Italia Di Luca indossare la maglia del primato di quella speciale classifica, ha dato qualcosa in più al progetto stesso. Nessuno prima di lui l'aveva indossata per così tanto tempo. Bisogna crederci. Come tutti i progetti andrà forse migliorato, ma è stato comunque importante partire con qualcosa di nuovo».
Chiusa la parentesi Giro, tra pochi giorni te ne tornerai al Tour.
«Il Tour è stupendo. Tutte le volte che ci vado mi torna in mente la prima volta. Era l'anno 2000, la prima volta con Auro Bulbarelli telecronista. Si partiva da Futuroscope. Venivo da esperienze al Giro, ma lì era pazzesco. Tutto era di una grandiosità inconsueta. Invece mi adattai subito e le vicende di corsa contribuirono a coinvolgermi. Le due vittorie di Pantani sul Mont Ventoux ed a Courchevel. I botta e risposta con Armstrong. Credo che i due non si amassero troppo. Pantani è la storia del Tour de France. Al di là della sua vittoria del 1998 e dei suoi piazzamenti, è stato anche quello che è riuscito più di ogni altro a mettere in difficoltà Armstrong in salita. A Courchevel riuscì addirittura a staccarlo. Quello che è triste è che se guardiamo l'ordine d'arrivo di quella tappa, scopriamo che i primi due, Pantani e Jiménez, oggi non ci sono più. Una morte con molte analogie, li ha portati via entrambi».