In Giro per il Giro - Il resoconto dei "ciclowebbisti" sulle strade rosa
Versione stampabile"In un paese antico, un ragazzo cammina in salita..." è la frase che chiude "Che ne sarà di noi", un film che parla di un viaggio di amici. Il paese antico era la Grecia però, e la salita altro non era che una scalinata scolpita su di una costola dell'isola di Santorini. A pensarci bene, però, la frase calza a pennello a questi dieci giorni di Giro d'Italia, tante sono le volte che il nostro naso si è rivolto all'insù per guardare la fine di camminate che parevano non finire mai, e di certo non si può dire che l'Italia sia paese meno antico della Grecia.
Mario Casaldi, Vesna Parovel, Tania Rusca, Elisa Marchesan (collaboratrice di un altro sito, ma una di noi!!), Andrea Sacconi, Sebastiano Borzoli, Eugenio Vittone, Enula Bassanelli, Giuseppe Matranga, Emiliano Sironi, Marco Bardella: questi i nomi (e cognomi) della "carovana ciclowebbistica" sulle strade Rosa, ed a questi fortunati e valorosi ragazzi spetta il compito di raccontare le emozioni nella corsa, le sensazioni di vedere sfrecciare campioni e beniamini, di poter toccare con mano le vibrazioni, gli scossoni, le lacrime e le risate che il ciclismo regala e suscita, il ciclismo che accomuna e divide, che rilassa ed eccita, tutte in una volta.
Domani si parte
«Non posso pensarci, te ne stai dieci giorni in giro per l'Italia per una corsa ciclistica...».
Non solo amici, ma anche parenti e familiari più stretti hanno ripetuto, forse anche eccessivamente, questa frase al sottoscritto. Come se nessuno si facesse viaggi per concerti, partite, matrimoni, fidanzamenti e chi più ne ha più ne metta. A me piace il ciclismo, embè?
Non è popolare come il calcio, è più fine da capire, tutti vorremo essere Lippi, ma non Ballerini, troppo sfigato e malato il ciclismo per permettersi di avere appassionati.
- Ragazzi, vi saluto, domani parto per Bergamo - dico agli amici che incontro venerdì 20 maggio - ci rivediamo il 30, dato che il 29 sera sarò troppo stanco per raccontarvi.
- Non posso pensarci, te ne stai dieci giorni in giro per l'Italia per una corsa ciclistica - mi dice uno di loro.
- Strano, eh?!
- Dài, ma che strano. Soltanto c'è a chi piace e a chi non piace, come tutte le cose del resto - interviene il "sapientone", uno di quelli che appena finisce di parlare ride dal di dentro delle cose che ha appena esternato.
- Vabbè, comunque non vi ho chiesto la benedizione. Ho soltanto detto che per dieci giorni non ci vedremo, tutto qua.
Stasera si gioca a calcetto, mi piace giocare a calcio e mi piace guardarlo, soltanto che mi disturba un po' l'idolatria che la massa gli tributa. Bello sport, okkei, bello spettacolo, ci mancherebbe, bello quasi tutto, ma il troppo stroppia. E quando il Coni lascia e permette che il calcio, in Italia, sia considerato "lo sport" e che gli altri siano "gli altri sport", un po' me lo rende antipatico, ed allora che mi additino come "quello che se ne va dieci giorni per il Giro d'Italia". Ben venga.
Anche perché so di non essere solo, so di poter contare su una corazza d'amicizia costruita lungo pochi mesi, pochi incontri e parecchie serate sulle chat telematiche, prezioso mezzo di conforto quando alla base c'è qualcosa di concreto e di sincero.
Ho il treno alle 5.50, sono le 3 di notte e sono ancora sveglio, saluto la mia fidanzata a cui il ciclismo non piace, ma che accetta che il proprio ragazzo la "trascuri" dieci giorni per un colore che piace più alle donne generalmente, ma che in maggio fa impazzire anche gli uomini: il rosa.
Rosa come il simbolo del primato, rosa come le pagine di un quotidiano glorioso, rosa come un futuro che tutti si immaginano e sperano, ma che difficilmente si realizzerà, rosa come la pelle, rosa come il viso delle persone che incontrerai, rosa come un fiore, anche se quello classico viene dipinto di rosso, che alla bellezza del gambo ed al profumo dei petali accomuna delle spine pungenti e taglienti, tanti sono i sacrifici per conquistarne.
Preparo la borsa, tra poco più di 24 ore sarò a Livigno, qualcuno mi consiglia di portare maglioni e giubbetti, ma io sono "caliente", ne porto uno al massimo: imbottisco la valigia di magliette e jeans, invece, quelli sì che saranno utili. Sono le 4, mi devo svegliare alle 5, anche perché non mi va di portare lamette e schiuma e la barba me la faccio stamani. Il tempo di chiudere gli occhi, di sognare l'immediato futuro, di masticare un crampo allo stomaco e di sciogliere un nodo alla gola.
Trilla la sveglia del telefonino, il treno è vicino, Bergamo mi attende, il Giro mi reclama, ed io reclamo lui, e loro. Parto, con Basso in rosa, poi la strada deciderà...

Il giorno di riposo, in giro per gli alberghi
Martedì 24 maggio è stato il giorno di riposo per la carovana ciclistica, ma non per noi, che ci siamo recati in alcuni alberghi in Brianza e in Val Brembana per incontrare corridori e direttori sportivi.
Garibaldi alla mano, scopriamo che la Domina Vacanze trascorrerà la giornata di relax presso la propria sede abituale, il castello di Ubiale Clanezzo, nella bergamasca. Non è molto distante da dove ci troviamo, così decidiamo di recarci là. Immerso in una quiete totale, circondato da un bosco, il castello fa inaspettatamente capolino dinnanzi a noi.
Parcheggiate nella piazza stanno le ammiraglie ed il pullman della squadra di Stanga: le palme e l'arancione vivo dipinti sugli automezzi sono in forte contrasto con l'atmosfera di montagna. Il nostro breve soggiorno in quel luogo si rivela piacevole, soprattutto grazie alla disponibilità dei corridori e dell'addetta stampa della squadra. Terminate le interviste, saliamo in macchina e ci allontaniamo, lasciandoci alle spalle un albergo in cui tutti i corridori sono nella propria stanza a riposare indisturbati, lontano, almeno per un giorno, da tutto e da tutti.
Il traffico, il caldo e il movimento delle persone aumentano in modo ragguardevole al nostro arrivo agli alberghi brianzoli. Balzano subito all'occhio, già in lontananza, due torri bianche che si ergono nella pianura: la sede dei corridori verdi della Liquigas-Bianchi. Addirittura l'uscita dalla tangenziale porta quel nome: "Vimercate, uscita Torri Bianche". Pare di essere in America. Un'antropica isola "felice" in mezzo alla superstrada, con hotel di lusso, cinema, ristoranti, alberi e prati: l'artificiosità manifesta e forzata ci mette a disagio, ma poi entriamo nell'albergo, incontriamo persone cordiali e conosciute, e la spiacevole sensazione passa.
Ridiamo con simpatia nel vedere Patrick Calcagny farsi autografare da Di Luca, suo amico e compagno, la maglia ciclamino (magari per un amico, ma la scena è stata simpatica). Un ragazzo in incognito si aggira per la hall; ci sembra di riconoscere in lui Mauro Santambrogio (Team L.P.R.) che, abitando non lontano, è passato a salutare i colleghi.
Siamo invitati alla conferenza stampa tenuta da Danilo "il Killer" e dal suo ds Stefano Zanatta; i giornalisti che vi partecipano sono pochi, ma qualificati. Al termine dell'incontro è quasi ora di cena. Approfittiamo quindi del buffet offerto dall'albergo e poi partiamo alla volta di Canonica Lambro, una frazione di Monza che non è segnalata nemmeno sullo stradario. Lì alloggiano i due team non facenti parte del Pro Tour: la Selle Italia-Colombia e la Ceramica Panaria-Navigare.
Ernesto Colnago e famiglia, e Paolo Lanfranchi con la bellissima fidanzata sono in albergo per salutare le squadre. In questa frazioncina monzese si respira un'atmosfera campagnola in sintonia con l'apprezzata semplicità dei team di Savio e di Reverberi, che hanno disputato un Giro d'Italia più che brillante. La soddisfazione traspare dai loro visi. Hanno voglia e tempo di chiacchierare con noi e la serata passa in fretta.
Quando ci apprestiamo a tornare a casa, anche per i corridori è tempo di andare a nanna; lasciamo Canonica Lambro un po' a malincuore, ma pieni di gioia per questa giornata che ci ha regalato nuove amicizie ed emozioni rare che entreranno nella cassaforte che conserva i nostri ricordi più preziosi...
L'incontro con Daniele Colli
Nei giorni di riposo dei corridori, i giornalisti (o gli pseudo-giornalisti, dipende dalle chiavi di lettura) lavorano il doppio: si seguono conferenze stampa, ci si reca negli alberghi per chiacchierare con i protagonisti e per controllare di persona gli ambienti e gli stati d'animo. In uno di questi alberghi, nelle vicinanze di Milano, c'è la Liquigas-Bianchi, l'ultima squadra di Mario Cipollini (ritiratosi poco prima del via del Giro d'Italia) che puntava all'inizio sulla coppia di capitani Cioni-Garzelli (in rigoroso ordine alfabetico) e che invece si è ritrovata a capitanare Danilo Di Luca in corsa, e di corsa, visto il rendimento dell'abruzzese.
La visita a Vimercate, però, esulava un po' dagli aspetti puramente giornalistici attuali, ma era più volta a sopperire ad una mancanza, ad una conoscenza telematica e telefonica che ancora non si era tramutata in realtà attraverso una stretta di mano.
Daniele Colli è un giovane neoprofessionista della Liquigas, quest'anno ha già ottenuto due importanti piazzamenti (3° in una tappa del Giro del Trentino e 2° in una tappa del Giro di Romandia) ed è reduce da un 2004 che l'ha visto trionfare nel GP Liberazione di Roma, il "mondiale di primavera" dilettantistico, come si affrettano a ripetere tutti i vari tecnici ed opinionisti che popolano il mondo di gare e tv. Si è iscritto, Daniele, al Forum di Cicloweb.it qualche tempo fa, ed ho avuto modo di conoscerlo e di attuare con lui un paio di diari sul nostro sito: quello della Vuelta di Aragona e quello del Giro del Trentino.
Simpaticissimo Daniele, uno che non si ferma a raccontarti la corsa, ma che si diverte nello spiegare aneddoti e nel deliziare i "lettori" con le sue battute spicciole da vero buontempone dell'avanspettacolo. Uno squillo veloce per avvisarlo del mio arrivo, ed un cenno d'intesa quando si apre l'ascensore. Nel breve volgere d'una stretta di mano e di un sorriso, la consapevolezza di avere di fronte colui con cui parlavi, con cui ridevi in chat ed al telefono, la sorpresa sua di constatare la mia stazza e quella mia di notare come il suo viso sia molto più da bimbo di quanto non dicano le varie foto (ufficiali e non) che ritraggono Daniele Colli.
Ci sediamo su un divano, mi presenta Mario Scirea, da quest'anno direttore sportivo e non più corridore, e scambiamo qualche battuta, proprio mentre Juan Manuel Garate, altro protagonista della corsa "vera", viene intervistato da due signori sui divani accanto al nostro. La sua condizione è buona, mi dice, parte il 29 per gli Stati Uniti e per le classiche di Wachovia, poi l'appuntamento vero è per il Giro di Svizzera, altra gara Pro Tour dopo il Giro di Romandia, sempre in terra elvetica, dunque. Ha saltato il Giro di Catalogna per un'influenza, ha gioito alla notizia del successo di Gasparotto, compagno di squadra neopro' come lui.
Il tempo non è molto, anche perché Daniele è atteso da due amici fuori dall'albergo. È in macchina con loro, e di certo non possono far notte per far parlare noi. Il tempo di una foto, di un'altra stretta di mano, di qualche altra battuta e di un calcio nel sedere (tanto per fargli capire che la battuta non era stata di mio gradimento...).
Un tassello mancante è stato colmato... ora torniamo al Giro, mi aspetta Cioni per l'intervista...

Daniele Colli e Mario - Foto (psichedelica): Bassanelli
La scalata del Colletto del Moro e del Colle di Tenda
"È un gran bel Giro, è un gran bel Giro!". Mi tappo le orecchie e mi rigiro nel sacco a pelo, ma Andrea non ha pietà: "È una grande festa, è musica...". A questo punto mi devo alzare per non subire ulteriormente tale strazio. Che sveglia traumatica! Beh, poco male, tanto mi dovevo svegliare. Usciamo ed andiamo verso il centro, lo stomaco brontola, urge una bella colazione.
Il sole è già alto e Limone profuma della fresca brezza del Giro. Entriamo decisi in un bel bar sulla strada centrale del paese, una striscia di pavè che tra poche ore sarà palcoscenico della diciassettesima tappa della corsa rosa, caffè e brioche e via. Un saluto ai "pedoni" di giornata, poi io e Sebastiano inforchiamo le biciclette e iniziamo la discesa verso Boves. Pedalata rigorosamente agile, perché ciò che ci aspetta mette un po' i brividi.
Lungo la strada gruppi di ciclisti salgono la valle verso il Colle di Tenda, noi ci sentiamo abbastanza controcorrente, ma non importa, la mente è già sul Colletto del Moro. La ricognizione automobilistica di ieri mi ha messo veramente timore, ma d'altronde è giusto temere queste salite, sarebbe presuntuoso non farlo. In breve siamo a Boves, cittadina gloriosamente famosa per la sua coraggiosa Resistenza contro l'invasore nazi-fascista, qui iniziamo a vedere i cartelli che indicano il percorso della tappa. Ci fermiamo in un giardinetto a prendere acqua, anche perché Seb ha dimenticato la borraccia a casa in frigo, e ripartiamo.
La strada è divisa in due da un fossato asciutto, ai bordi casette basse e colorate fanno da piacevole e rilassante cornice a questa bella mattinata. Attenzione però a non farsi trarre in inganno da quest'atmosfera da età dell'oro, stiamo per entrare nell'"inferno di Boves", come recita uno striscione in cima al Colletto. "Ehi Seb, a destra per Cerati". Inizia il Colletto, il primo chilometro e mezzo non si può nemmeno considerare salita, poi d'un tratto l'asfalto si impenna: eccoci qui, ci siamo, via!
Un ponticello segna il vero e proprio inizio di questo assurdo muro. Seb parte, lo lascio andare, tengo il mio passo. Il cuore è già a tutta, devo mollare un po'. Sono costretto a scendere sul 30, dietro oscillo tra il 23 e il 26, ma qualsiasi rapporto è difficile da spingere su questa salita. Per fortuna il bosco ci offre un'ombra quanto mai provvidenziale. A bordo strada molta gente che sale a piedi con sedie, sgabelli e tavolini, per terra un tappeto infinito di scritte, ce n'è per tutti i gusti, dal sacro al profano, dal "qui si vede la Madonna", al più ironico "anche tua moglie si sta facendo il moro!", dalle immancabili scritte stile sponsor per CAU Caucchioli alle sempre presenti scritte per l'indimenticato e indimenticabile Pirata.
Tutto ciò però non è di grande aiuto per superare la salita, la velocità sfiora appena i 6-7 chilometri orari, ma c'è chi va molto più piano, chi si ferma, chi "zigzaga" sulla strada stremato dalla fatica. Anche il buon Seb è tra questi, lo supero e con quel filo di fiato che mi rimane lo saluto, lui risponde con lo stesso fiatone. Quando sull'asfalto leggo, a caratteri cubitali, "18%", credo di morire, un paio di tornantini si inerpicano su per il fitto bosco, li supero a fatica, il mio volto è trasfigurato dalla sofferenza, sbando, devo sganciare una pedivella per non cadere.
Non posso fermarmi, il mio orgoglio non me lo permette, rimonto in sella, sono quasi arrivato oramai, butto giù un paio di denti per il rush finale (e per far bella figura agli occhi della gente in cima!) e transito sotto il triangolo verde del Gpm: 20'31" per compiere gli ultimi 3 km di salita. Non riesco a respirare, ho tutti i muscoli contratti, soprattutto l'addome e il diaframma. Mi appoggio alla transenna, spalancando la bocca per cercare di rubare all'aria quanto più ossigeno possibile, Seb arriva dopo un paio di minuti.
Ci scambiamo qualche impressione per prendere fiato ancora un po'. "Mai visto nulla di simile". L'acido lattico incomincia a scendere, iniziamo la discesa verso Robilante. Ci fermiamo a mangiare un gelato per recuperare le energie necessarie per affrontare la salita del Colle di Tenda. Da qui a Vernante è una passeggiata, "succhiamo le ruote" ad un paio di grupponi, poi li superiamo e iniziamo la salita, indicata da una spessa striscia di vernice bianca. Via al cronometro.
I primi 8 chilometri sono di una facilità sconvolgente, considerarli salita è quasi offensivo, saliamo su con un gran passo, le gambe girano bene, la strada è larga e priva di particolari degni di nota, fatta eccezione per il variopinto pubblico del ciclismo che sale verso il passo. A Limone io e Seb ci dividiamo, lui torna a casa a prendere la borraccia, io per paura di imballare le gambe continuo a salire, entro in paese, ripasso davanti al bar della colazione e poi in piazza mi fermo a prendere acqua.
Ora sono solo, come vuole il lato più poetico di questo meraviglioso sport, la strada è amica e avversaria, tutti gli altri ciclisti per strada non esistono più per me, sono concentrato. Arrivo nei pressi del tunnel, svolto a destra per Limone 1400, la strada inizia a farsi più pendente, ma la pedalata rimane agile e rotonda. Sulla mia sinistra vedo ora il quartiertappa, sopra la testa una lunga serie di tornanti, colorati dalla gente che sale, che fa correre lo sguardo verso il colle e quindi verso il cielo di un azzurro splendente.
Qui inizia la salita più vera, la vegetazione è ridotta a pochi arbusti, il sole cuoce, la montagna nuda ha fatto prepotentemente la sua comparsa. La strada sale regolare, percorsa da un fiume ininterrotto di gente, che la passione ha spinto fin quassù. Aspetto dopo ogni tornante di vedere i compagni di avventura saliti a piedi, ma nulla. Continuo così fino a circa 1 chilometro dalla vetta, quando ad un certo punto mi sento chiamare: "Euge!".
È Giorgio, aveva promesso di esserci ed ha mantenuto l'impegno. Un saluto e qualche battuta e poi via verso la vetta. 900, 800, 700, i cartelli del Giro scandiscono le ultime pedalate di questa bella salita. Sono già nel tratto transennato quando due agenti "di ferro" mi bloccano a 150 metri dall'arrivo. Stanno iniziando a chiudere la sede stradale e la gioia di transitare sotto il Gpm mi è dolorosamente negata. La gioia per essere qui prende subito il sopravvento sulla rabbia e l'occhio corre subito al cronometro: 1h16' netti. "Bene!".
Scavalco le transenne incalzato dagli impazienti uomini in divisa e mi sdraio al sole. Molta gente continua ancora ad arrivare, l'atmosfera è fantastica, l'entusiasmo e l'attesa si mescolano in un mix di suoni e colori che difficilmente scorderò. Sono qui da solo mentre penso a tutte queste cose, quando squilla il cellulare: è Seb, brutte notizie. È bloccato qualche chilometro più in "Basso" (scusate il gioco di parole, ma l'occasione era troppo bella per sprecarla) da un forte mal di stomaco. Gli rispondo che deve assolutamente arrivare, lo spettacolo è imperdibile.
Intanto gli "appiedati" di giornata fanno la loro comparsa sul colle. Non sembrano stanchi però: "Abbiamo preso la seggiovia!". "Ma così non vale!". Poco male, l'importante è essere qui, peccato solo che manchi Seb. Ci spostiamo dall'altro lato delle transenne e ci accampiamo nel prato.
E arriva il pezzo forte della giornata: "Cicloweb.it è qui!!!", il nostro striscione è parcheggiato sull'erba, quando un cameraman della Rai ci manda a dire di alzarlo poiché vuole inquadrarci. Senza farcelo dire due volte prendiamo lo striscione e con aria soddisfatta lo solleviamo, regalandoci qualche secondo di gloria e il saluto del buon Cassani. Non facciamo nemmeno in tempo a risistemarlo che i nostri cellulari sembrano impazziti. Amici, parenti, conoscenti e, soprattutto, ciclowebbisti si complimentano con noi e un po' ci prendono in giro.
Il tempo ora scorre veloce (strano effetto del divertimento e della compagnia) e lo speaker inizia a informare il pubblico su ciò che avviene in corsa. All'annuncio dello scatto di Ivan Basso la folla va in delirio. Si sente il boato che sale dalla valle, in poco tempo la corsa è già arrivata a noi, Basso è accompagnato dall'incredibile calore che solo la gente del ciclismo sa dare. Arrivano via via tutti gli altri, ognuno riceve i giusti applausi per la fatica compiuta, dal primo all'ultimo, nessuno escluso. L'adrenalina effimera della corsa, che si impossessa di noi durante il passaggio degli atleti, svanisce purtroppo molto presto. La macchina di fine corsa ci riporta violentemente alla realtà.
Con gli occhi ancora che brillano, le migliaia di persone assiepate sul colle prendono la via del ritorno. Anche a noi tocca la stessa sorte. "Ragazzi io vado, ci vediamo giù a Limone", sono le mie parole prima di inforcare la bicicletta, scendendo verso casa di Seb alla fine della tappa. Ci vuole un po' di riposo prima di affrontare una bella serata in compagnia, una doccia e uno sguardo alla televisione: parlano del Giro.
Suonano alla porta, sono arrivati anche i "non ciclisti". Anche per loro il meritato riposo prima di andare a cena. Ovviamente si parla solo della tappa. E gli occhi ancora ci brillano. E il cuore ancora palpita...
Non solo ai campioni vengono le crisi intestinali
E finalmente è arrivato il gran giorno: era dalle prime indiscrezioni sul percorso che avevo puntato questa tappa e ora siamo qui! Quando il grande ciclismo chiama, poi, Cicloweb.it risponde alla grande: siamo in nove e c'è anche una bella sorpresa per chi è davanti alla tv!
Limone è il nostro punto di partenza, io ed Eugenio abbiamo in programma di provare parte della tappa in bici e ci rivedremo con gli altri in cima al Tenda. Scendiamo veloci verso Boves, ci sentiamo molto controcorrente: tutti salgono, noi scendiamo! Il Colletto del Moro è li che ci aspetta, la strada è strettissima e durissima, sono le 11 e c'è già tantissima gente pronta a darti una spinta se sei in difficoltà. Non ho mai visto qualcosa di simile, per fortuna è breve e passa in fretta.
Intanto io mi sono accorto di una terribile dimenticanza che rischia di essermi fatale: ho lasciato la borraccia a casa, a Limone! "Ma, dico io, come si fa a dimenticarsi proprio la borraccia?!?". A questo punto decido di passare da casa mentre affronteremo la salita verso il Colle di Tenda e lasciare Euge da solo ad affrontare la salita, va beh, ci rivedremo in cima, penso. Fin qui tutto bene, ogni minuto che passa cresce l'attesa per vedere passare i corridori, ma prima bisogna arrivare in cima! Riprendo la salita e mi sento veramente bene, mangio anche qualcosa per evitare problemi.
Salgo ancora e la salita è un vero spettacolo, non ho mai visto tanta gente in bici tutta assieme in vita mia! E non ci sono solo ciclisti: c'è chi sale a piedi, chi approfitta della seggiovia e chi ha giuste conoscenze per salire in macchina. Per fortuna anche i meteorologi del Giro ogni tanto sbagliano: avevano dato possibilità di pioggia sul traguardo nel pomeriggio, invece la giornata è bellissima; il sole e il cielo limpido mi fanno capire che in cima ci divertiremo ancora di più! Purtroppo non sapevo ancora quello che stava per succedere.
A meno di 4 km alla cima comincio a sentire un dolore allo stomaco che si fa sempre più intenso, decido di rallentare un po'... è ancora presto e anche salendo a 10 all'ora non ci metterei più mezz'ora. Il dolore comincia a essere tanto e nella testa nascono i primi incubi di non farcela. Mi fermo una prima volta, una seconda e alla terza riesco a trovare un angolino all'ombra dove non c'è gente, mancano ancora 2 km e sarebbe ancora presto, ma sto male persino a farla a piedi e comincio a temere di non riuscire a vedere la tappa insieme agli altri, tutti i miei castelli cominciano a cadere sciolti dal gran caldo.
Erano 5 mesi che aspettavo questo giorno, l'avevo già vissuto più di una volta in sogno, ma non era mai stato così. Piano piano riprovo, ma riesco a fare solo altri 300 metri, intanto arriva la conferma: hanno chiuso la strada all'ultimo km, quindi non potrò essere lassù con loro a farmi inquadrare dalla telecamera dietro ad un mitico striscione, a fare foto e a farmi fare foto. Mi metto quasi a piangere, provo a fare altri 200 metri quando all'improvviso trovo chi salverà la mia giornata dalla delusione.
Dietro a un tornante c'è un camper di una coppia toscana con televisore e un po' di gente che si guarda la tappa, mi fermo anch'io, almeno vedo quello che succede in corsa. Ad un certo punto dalla salita spunta in bici un signore davvero in forma e con una maglia verde: non ci posso credere! È Francesco Moser! Non faccio in tempo a realizzare la cosa che lui è già li a vedere la tappa come fosse un normale tifoso! Si informa sulla corsa, parla, posa per le foto e firma qualche autografo, dopo un po' riparte ma questa sorpresa mi tira un po' su il morale.
Tutti adesso cominciano a cercare i posti migliori, ormai i ciclisti si avvicinano e da quel posto ti senti proprio in mezzo al gruppo, non ci sono transenne e i ciclisti ti passano ad un metro! Sappiamo come sta andando la corsa, ma aspetto con ansia quei due rettilinei, separati da un tornante, che riesco a vedere: arriva qualche moto, spunta qualche auto ed ecco che si vede la sagoma di Ivan! Va talmente forte che al tornante smette di pedalare, se al posto di Csc ci fosse scritto Piaggio potrebbe sembrare un motorino.
Da quando passa Basso a quando passa Szmyd riesco a non pensare più al fatto che non sono con gli altri a godermi questo spettacolo, sono quasi 30 minuti ma passano in un attimo, ci sono incitamenti per tutti, perché tutti stanno soffrendo e dopo 17 tappe tutti meritano un applauso. Quando passa Baumann mi chiede in italiano ("Spingi, spingi!", mi fa) di aiutarlo e io lo spingo per 50 metri: lì mi dimentico di tutto e di tutti, divento felice, ho vissuto davvero una giornata di intense emozioni.
Visti passare i 160 eroi decido di tornare a casa quasi subito; in discesa mi ritrovo in mezzo a migliaia di altri ciclisti e ogni tanto spunta anche qualche professionista che ritorna al pullman: per la prima volta mi capita di stare in bici vicino ai miei miti, ora l'unico pensiero è verso la discesa, a non fare casini e non far cadere qualcuno! Arrivato a casa ritorna un po' di delusione, non ero con loro, non sono riuscito ad essere con loro e ci sono rimasto male, ma, perlomeno, non è andato tutto storto.
Beh, sono sicuro che questo giorno lo ricorderò per sempre, questo è il ciclismo dal vivo: i ciclisti passano in un attimo ma la cosa splendida è l'attesa e certe immagini rimangono nella mente in eterno...
Eugenio e Sebastiano prima di partire verso Colletto e Tenda - Foto: Sacconi
Le lacrime di Riis sul Colle di Tenda
Vedi Ivan Basso salire sui tornanti del Colle di Tenda come fosse una motocicletta, tanto è pulita e potente la sua azione, e pensi a dove e come, se non di quanto, avrebbe vinto questo Giro d'Italia se non avesse patito quei due giorni di malattia intestinale. Me lo chiedo io, se lo chiede il pubblico che lo acclama sulle strade di Limone Piemonte, e chissà quante volte se lo starà domandando Bjarne Riis, il mentore che siede e guida l'ammiraglia del Team Csc e che ha fatto crescere Basso sia come corridore che come uomo, mentre sale dietro al proprio leader su quei tornanti.
Basso esulta a braccia alzate, è la prima tappa che vince al Giro d'Italia, e stavolta non si potrà dire che Lèns lo ha lasciato vincere, come qualcuno si affrettò a dire dopo la tappa di La Mongie del Tour 2004. Non attaccò Armstrong, è vero, ma vedere la sofferenza sul viso del texano sotto il ritmo imposto da Ivan fu già una grossa soddisfazione, ed uno spot per il ciclismo.
Riis ha convinto Ivan Basso di essere un campione, ha lavorato sulla testa di un ragazzo che ha delle doti fisiche straordinarie, ma che forse difettava un po' di autostima, visto che nonostante fosse sempre davanti negli ordini d'arrivo, anche di gare prestigiosissime come Liegi-Bastogne-Liegi e Freccia Vallone, difficilmente riusciva a scrivere il suo nome negli annali, vista la sua scarsa propensione alla velocità nello sprint.
«Vinci, basta staccarli tutti», immagino che il danese abbia ammonito Ivan, puntando sulla voglia di rivalsa e sullo spirito di abnegazione di Basso.
«Pensa in positivo», dice Bjarne ad Ivan nella ricognizione della cronometro di Firenze, il primo appuntamento con il tic-tac che ha consegnato un Basso versione Indurain, almeno nella fluidità di pedalata e per l'aerodinamicità dimostrata nella posizione sulla sella e sul manubrio. Vince Zabriskie, un altro Csc, ma Basso è secondo e stacca tutti gli avversari per la vittoria finale a Milano. «Visto che non hai perso niente in discesa? Visto che ci guadagni a pensare in positivo?» avrà ripetuto ancora il buon Riis ad Ivan la sera dopo Firenze.
«Si è preparato a fondo per il Giro d'Italia, abbiamo visto le tappe anche più di due volte, siamo stati su tutte le salite, abbiamo pensato ad ogni accorgimento», diceva Riis nelle interviste pre-Giro, lo dice in quelle durante il Giro e lo dirà, ci scommetto, in quelle post-Giro. La fiducia di un direttore sportivo in un corridore, il bene che un uomo può volere ad un altro, la scena commovente ed epica della vestizione del "bimbo bagnato ed ammalato" sullo Stelvio, in cima, quando tutti pensavamo ad un ritiro del varesino.
«Se vuoi andare vai - cerchiamo di interpretare le parole di Riis in quel momento - ma non ammalarti di più. Copriti, fatti scortare dai tuoi compagni. Noi ci vediamo all'arrivo». Il mondo che ti casca addosso, 45 minuti che ti separano dal lavoro di un inverno, dalla programmazione di mezza stagione. Ivan Basso è fuori dai giochi per la vittoria finale del Giro, ed anche per il podio di Milano. Riis è visibilmente scosso e deluso, ma ancor più è preoccupato per le condizioni di salute del suo pupillo, che accoglie tra le sue braccia prima di salire sul pullman della squadra, anche evitando, per una volta, i tanti giornalisti desiderosi di fargli qualche domanda.
Arriva il giovedì del Colle di Tenda, e Bjarne chiede a Basso:
«Come ti senti?», domanda presumibilmente il tecnico danese.
«Bene, sembra essere tutto rientrato», risponde Ivan con la sua serenità.
«Allora tieni sul Colletto del Moro con i migliori, poi sul falsopiano lancia uno tra Zabriskie, Peron e Schleck e vagli dietro. Qualcuno vi seguirà. Voi collaborate, ed ai piedi di Limone Piemonte dai la stoccata. Ok, Ivan?».
«D'accordo. Faremo così!!».
Mi piace immaginare un discorso del genere tra Riis e Basso nella mattina del 26 maggio, mi piace immaginare che nell'auricolare che teneva nelle orecchie Ivan abbia sentito le parole di incitamento del suo "guru" Bjarne, che abbiano potuto scalare insieme quella salita, senza perdere niente (appena 10") dagli indiavolati Rujano e Simoni, in rimonta.
Basso esulta sul palco premiazioni, poi scende per le interviste; Bjarne se lo guarda dalle recinzioni, credo non senta quello che sta dicendo, ma lo saprà a memoria tante le volte che ha parlato con Ivan in questi due anni. Qualcuno gli chiede se è confermata la presenza di Ivan al Tour de France, e se credono di ripetere, nel caso, il doppio appuntamento Giro-Tour e Riis non può che rispondere positivamente ad entrambe le domande, tanta è la fiducia che ripone nel ragazzo di Cassano Magnano.
Bjarne Riis sul Colle di Tenda, a fine tappa - Foto (psichedelica): Casaldi
Poi piazza gli occhiali da sole davanti ai suoi occhi, ed un "collega" gli chiede quanto fosse emozionato in quel momento. Riis non risponde, alza gli occhiali da sole, e lascia intravedere gli occhi ludici, bagnati appena da qualche lacrima. Prova a parlare, ma il labbro trema e Bjarne si ferma prima che il pianto gli spezzi la voce. Trova la forza di dire qualcosa:
«Oggi è la dimostrazione che la fortuna, quando ti volge le spalle, decide il tuo cammino».
Dagli torto, a Riis, e prova a consolarlo di quelle lacrime che scendono. Complimenti, Bjarne, e grazie...

La macchina è nera, la maglia è arancione, in bici è... Laverde!!
«Alè, alè, alè, dai che vai bene, dai», urla dal finestrino del posto guida. «Salva la gamba, tanto è fuori classifica, e domani c'è un tappone mica da ridere», prosegue poi rivolgendosi verso di me.
Davanti ai miei occhi, separato soltanto da un parabrezza, c'è Luis Felipe Laverde Jiménez, colombiano che da quest'anno difende i colori della Ceramica Panaria-Navigare, dopo che l'anno scorso arrivo 15° al Giro difendendo quelli della Formaggi Pinzolo Fiavè.
Il tutto è nato da una chiacchierata con Roberto Reverberi, figlio di Bruno, famiglia che da sempre naviga nel ciclismo e sulle ammiraglie:
«Una cortesia, Roberto, se posso - azzardo alla fine del colloquio - potrei seguire la crono di Torino in una delle vostre ammiraglie andando dietro ad un corridore qualunque?».
«D'accordo, senz'altro. Se vieni alla partenza di Chieri ci mettiamo d'accordo e vediamo un po' quali corridori sono liberi», mi risponde serenamente Reverberi junior.
«Grazie mille per la disponibilità».
«Dai, che anche a noi un po' di compagnia fa piacere. Magari non seguirai Sella o Lancaster, perché per loro ci sarà un po' più di apprensione, ma per gli altri non c'è problema».
La mattina della crono arrivo a Chieri verso mezzogiorno, quando l'ultimo in classifica (quindi il primo a partire), Russel Van Hout della Selle Italia-Colombia è appena partito. Entro nel parcheggio degli autobus delle squadre, e cerco subito il pullman arancione della Panaria. Chiedo di Roberto Reverberi ad un meccanico, e questi mi risponde che non è ancora arrivato.
«Aspetterò allora, non si preoccupi», dico dopo aver ringraziato.
Davanti ai pullman, non solo quello dei Reverberi, si accalcano tanti, tantissimi tifosi in cerca di autografi e cimeli dei loro beniamini. Il tempo passa, però, e Roberto non si vede:
«Mi scusi, ma Roberto Reverberi non è ancora arrivato?».
«No, e forse non verrà proprio, credo abbia subito uno stiramento alla coscia».
Mi viene un po' da sorridere, perché durante la nostra chiacchierata nel giorno di riposo Roberto mi disse di aver pedalato con i propri corridori, e di non aver sentito buone sensazioni. Ottimo tecnico, ma di certo non serviva questo stiramento per dimostrarlo. Dal riso passo allo sgomento, seppur in modo pacato, senz'altro. «E adesso? Niente più crono in ammiraglia?», bisbiglio mentre penso alla soluzione più consona da adottare.
«Pronto, Reverberi, salve. Sono Mario Casaldi di Cicloweb, ci siamo parlati l'altra sera in albergo» recito non appena Roberto mi risponde al cellulare.
«Ah, ciao, dimmi tutto».
«Ricordi che t'avevo chiesto se potevo seguire qualche Panaria con te in ammiraglia e che tu mi rispondesti positivamente?».
«Sì, ricordo, ma devo darti una brutta notizia: non verrò alla crono, sono tornato a Reggio Emilia perché ho uno stiramento alla coscia destra».
Tonfo al cuore, delusione, poi:
«E non posso chiedere a qualcun altro, magari a tuo padre?».
«Certo, senz'altro, vai al pullman e digli che hai parlato con me. Una sistemazione la troverà mio padre», mi rincuora Roberto.
Sono sollevato, anche perché sono sicuro che "Brunone" ce la farà a trovare una soluzione che mi soddisfi:
«Vai in macchina con Braguglia e segui Laverde, d'accordo?», sono le parole di Bruno dopo la mia presentazione e spiegazione.
«Certo che va bene! Ci mancherebbe!».
«Allora, l'appuntamento è per le 15 qui davanti», mi dice subito dopo Renato Braguglia, il direttore sportivo che da oggi sostituisce Roberto Reverberi.
«Non mancherò», gli rispondo con un sorriso a 62 denti.
Alle 15 son puntuale davanti al pullman Panaria, salgo in ammiraglia con Braguglia e partiamo dietro Laverde. La telecamera è pronta, un po' pesante, ma pronta.
Si parte e due ali di folla festante accompagnano le prime pedalate di Luis: per poco non cade alla prima curva, e subito il ds ha un segno di dissenso.
«Alè, alè, dài!!», prova a rincuorarlo dell'errore con la voce.
Nei primi chilometri va piano Laverde, credo perda tanto, poi dopo il tratto duro (il primo) del Colle di Superga, inizia a spingere bene, mentre il pubblico assiepato ai cigli della strada lo incita, anche senza sapere chi sia ("Laverde? E chi è?", sento dai lati della strada mentre osservo il colombiano sotto sforzo); qualcuno batte le mani, qualcuno urla, qualcuno gli dice che la salita, almeno quella dura, sta per finire.
La picchiata in discesa è da dieci e lode, ed alcune volte Braguglia è costretto a numeri da rally con l'ammiraglia per stare il più vicino possibile al corridore. La paura di vederlo a terra dopo l'ennesima curva cieca è tanta, ma il clima in macchina è rilassato ed io ne traggo beneficio verso il relax. Il tratto in pianura alla fine della discesa, pochi chilometri in verità, è affrontato a velocità sostenuta, anche grazie a qualche altro incitamento dello svizzero, di Lugano per la precisione, Braguglia.
Ai 200 metri un addetto dell'organizzazione ci costringe a svoltare a sinistra, vedo Laverde tagliare il traguardo sporto dal finestrino, mentre con l'auto raggiungiamo il quartiertappa dove andremo ad assistere il corridore che ha appena finito la prova.
Ho un po' di mal di testa, per tutto il vento preso in viso, un male al braccio destro indecifrabile, visto quanto pesava la telecamera e per quanto si è protratto il mio sforzo, ma nonostante questo riesco a scendere e fare due domande a Luis Felipe:
«Più dura la salita o più rischiosa la discesa?», gli faccio.
«Un po' tutte e due, ma oggi non bisognava andar tanto forte, bisognava salvare la gamba per domani», mi spiega Laverde.
Il dubbio è: visto domani, salvare la gamba sarà sufficiente? Mah...

Il miraggio della crono di Torino
L'orologio segna il passare del tempo, dei minuti, dei secondi, razionalizza gli attimi, ma bisogna saperlo prendere, confrontarsi con lui, non farsi spiazzare altrimenti ci si trova in difficoltà nelle situazioni più importanti della vita in cui si è costretti a inseguire o a cambiare i piani.
Una cronometro è un esercizio fisico notevole, in cui tutto deve essere perfetto, le sbavature devono essere limate, limitate, ogni piccola imperfezione si paga, la mente deve essere sgombra, la concentrazione deve essere quella giusta, la bici deve essere a posto nei minimi particolari, i dettagli si pagano con i secondi se si ha fortuna... altrimenti si passa ai "primi" e qui son dolori.
La lotta contro il tempo non la fanno solo gli atleti, ma anche i tifosi in un certo senso, tutti vorrebbero vedere il ritrovo di partenza, la partenza, la gara, le fasi salienti con i passaggi decisivi, l'arrivo, i festeggiamenti e magari ottenere anche qualche ricordo dai propri beniamini.
Tutto questo lo escludo a priori per esperienza personale, tanto meglio se non si conosce la zona di svolgimento e se ci si trova in compagnia di più persone nella stessa situazione.
Il momento dove si può cercare il maggior contatto con gli atleti, è sicuramente alla partenza, meglio se si è interessati a personaggi fuori classifica, in quanto i Big per tensione e per mentalità sono irraggiungibili.
Si passeggia fra i camper si scambia qualche parola con gli addetti ai lavori, grazie alla compagnia di qualche amico ben inserito, si scattano le foto di rito in compagnia di questo o quell'altro, si guardano le notevoli bellezze in minigonna che girano, si raccolgono gadget, magari qualche borraccia o cappellino.
Iniziano a partire i primi, la maglia nera virtuale, vero nostro beniamino, in fondo i chilometri percorsi sono gli stessi di chi veste la maglia rosa reale, anzi forse la fatica è addirittura maggiorata dalla delusione dell'ultimo posto.
L'atmosfera è rovente, si decide il Giro e anche il sole dà il suo contributo, infatti, senza esagerare, ci sono almeno 30°.
Si scaldano anche i Big, veri e propri "gazebo" umani li circondano, foto, complimenti, ma molti sono troppo concentrati nel riscaldamento: il loro momento si avvicina e devono affrettarsi a sgomberare la mente da qualsiasi pensiero.
Il tempo passa e ormai sono partiti quasi tutti, e noi? Noi siamo ancora lì, al ritrovo di partenza di Chieri, senza aver visto nessuno partire, ma aver controllato che tutti si riscaldassero a dovere...!
Decidiamo di andare a Torino, son solo una trentina di chilometri e poi, la mattina, abbiamo fatto la strada con il nostro amico che abita lì, quindi, perlomeno gli ultimi arrivi, dovremmo vederli.
Ma non abbiamo fatto i conti perfettamente... infatti, non conosciamo minimamente il capoluogo piemontese: c'è qualche senso unico di troppo e, come ciliegina sulla torta, le fatidiche ore 17 si avvicinano e il traffico inizia ad impazzire.
Ad un certo punto, mi compare davanti la sagoma del Colle di Superga, mi avvicino a lui rapidamente, è fatta... ci siamo quasi, ma un nuovo senso unico mi costringe a girare a destra e qui imbocco quel Corso Regina Margherita che, nonostante le ingenti opere di beneficenza da lei promosse quand'era in vita, ancor oggi, a distanza di qualche giorno, maledico!
Ebbene, direte: "Ma non potevi chiedere?" Certo... un agente mi dice di percorrere il Corso tutto in un verso, al termine del quale, un vigile rimette in discussione tutto dicendomi di percorrerlo tutto nell'altro, infine una gentile signora mi indica di svoltare a sinistra alla fine dell'antipatico viale.
Morale della favola: ho percorso 3 volte questo fantastico Corso circondato da un perfido contro-viale per finire nella periferia di Torino!
A questo punto, parcheggio la macchina, scendo e mi parte qualche imprecazione verso non so chi!
Sono le 18 passate, quasi due ore in giro, senza meta, o meglio la meta c'era anche, ma mancava la strada in mezzo, c'era pure quella, ma la ignoravo completamente.
Non mi rimane altro da fare che telefonare al nostro caro amico Torinese, che mi dice: "Basta che vai di là... poi giri di qua... poi di là". Seccato gli do le coordinate della mia posizione e gli dico "Vieni a prendermi ti aspetto qui!".
E da lì non mi son mosso finché non sono arrivati i soccorsi, pensando e ripensando a come cavolo funzionino i contro-viali.
La crono è stata spettacolare, la scena più bella il passaggio della borraccia, magari a me sarebbe servita una cartina dettagliata, peccato averla rivista solo la sera in tv, mentre per i rilevamenti cronometrici, avevo radio corsa come navigatore in macchina. Infatti anche per questo, forse, l'arrivo di tappa è rimasto un sogno.
Il caldo intenso della giornata ha fatto il resto, ma penso che rimarrò lontano per un po' da Torino o, perlomeno, sceglierò una buona guida...
Le emozioni regalate dall'arrivo torinese... per me rimarranno solo un miraggio nel caotico deserto delle trafficate strade di quella città...
La scarpinata verso il Forte - dal versante di Susa
Ed è Colle delle Finestre: la sveglia che suona ad un orario inusuale, quando ancora è la notte a nascondere all'afa di Torino un orizzonte disegnato da mitiche vette alpine, quando forse gli stessi eroici "girini", chiamati poche ore dopo ad un'impresa d'altri tempi, stanno ancora recuperando dalla fatica di ieri, da una crono tanto difficile quanto spettacolare, con un finale di rara bellezza nelle strade che tra pochi mesi si vestiranno dei cinque cerchi olimpici.
Un silenzioso caffè, nel tentativo di non svegliare gli altri mitici compagni di emozioni indimenticabili, con gli occhi ancora socchiusi per il sonno; lui, l'unico assente giustificato di questa fantastica avventura rosa, cui però non permettiamo di sminuire il desiderio di conoscere ogni metro di quei ripidi tornanti che sembrano inerpicarsi verso il cielo, ansiosi di sfidare noi stessi e conoscere i propri limiti, ognuno a suo modo, ognuno con i propri mezzi e le proprie forze, ma tutti accomunati da un nobile animo sportivo. Dài, che si sale su un modesto treno capace però di portarci indietro negli anni.
Perché proprio quella è la sensazione che si ha nello scendere in una piccola stazione di una cittadina disegnata in una stretta vallata, con delle montagne ai lati tanto imponenti quanto ricche di fascino e storia: Susa.
La prima conferma di una solidarietà che è sempre più difficile trovare, negli anni della globalizzazione e dei computer, ci sorprende e ci entusiasma non appena ci rivolgiamo ad un paffuto e genuino signore del posto per chiedere informazioni sulla strada da prendere per cominciare ad assaporare il gusto dell'impresa: pochi secondi di smarrimento seguiti da una domanda tanto retorica quanto mai così sincera e pietosa: "Ma perché - ci chiede sbigottito il signore - voi vorreste salire fin lassù a piedi?".
Ancor prima che, più fieri che imbarazzati, facciamo un cenno positivo con la testa, il brizzolato signore ci invita a caricare tutti gli zaini nella sua jeep con cui ci rivela di aver fatto centinaia di volte la scalata sul "mostro" piemontese. Ci accompagna fin dopo l'abitato di Meana di Susa, provando anche a chiedere all'organizzazione ed ai Guardiaparco (coalizzati per l'occasione per un unico, fantastico, progetto sportivo) in un perfetto, ma incomprensibile dialetto, di poterci accompagnare ancor più su, laddove già decine di biciclette mulinano rapporti quanto mai agili e impavidi eroi senza nome, ma già stremati dalla fatica per due chilometri veramente infernali, si agitano e zig-zagano per quella sottile striscia di asfalto delimitata da imponenti alberi e da una fitta vegetazione, ancor più tetra per un'aurora che è ancora all'alba del suo quotidiano percorso, cercando anch'essi di conoscere il proprio limite, e di mostrare quanto la volontà umana permetta di compiere inaspettate imprese.
Salutiamo il gentilissimo signore e cominciamo a sfidare noi stessi, più incoscientemente felici che razionalmente disperati per non esserci avvalsi di un meccanico aiuto per domare quei terribili tornanti, quegli infiniti rettilinei dove quasi si scorgono da decine di metri in lontananza le scritte, sportive e non, presenti sul ruvido, ma novello asfalto; tanto le pendenze sono impietosi giudici del proprio animo, come a ricordarci quanto quella che avevamo da poco iniziato non fosse altro che una bellissima pazzia.
Sempre meno parole di conforto, chiacchiere spensierate e lamenti un po' forzati tesi ad esorcizzare l'asprezza di una scalata che diventava mano a mano sempre più unica e speciale, quando il repentino incedere dei secchi tornanti cominciava a mettere a dura prova un fisico sicuramente non allenato a tante difficoltà, anche se troppo grande era l'entusiasmo per non gridare in modo convinto e soddisfatto che in quel tornantino avrebbe attaccato nuovamente Basso, che quel drittone ancor più inclinato degli altri poteva essere terreno di battaglia per splendidi camosci come Simoni, Rujano e, perché no?, Damiano Cunego, ma anche che poco dopo un brevissimo falsopiano poteva permettere alla maglia rosa, a quello straordinario campione ancor prima nella testa che nelle gambe (comunque notevolissime) di nome Savoldelli, di recuperare qualche secondo e di permettergli una valorosa e strenua difesa di una rosa strameritata; e poco importava se dopo tali purissimi slanci emozionali per un sport che si fa amare come nessun'altro si fosse costretti a stare una manciata di minuti in assoluto silenzio, interrotto però dall'ansimare di un fiato che si faceva sempre più corto e sempre più difficile da recuperare.
Un pallido sole stava scaldando i nostri cuori quando una prima fontana in lontananza, seguita da qualche tipico casale di montagna immerso in un paesaggio che ora si mostrava ancor di più nella sua splendida bellezza, ribadendo ancora una volta di quanto la natura sia terribilmente più maestosa ed affascinante di qualsiasi invenzione umana, ed ecco che, nonostante la stanchezza che aveva sostituito l'iniziale sorriso in un ghigno misto di soddisfazione e sofferenza, intuisco di esser arrivati nella località Colletto, dopo aver solcato un dislivello fatto di mille metri di emozioni lungo più di dieci chilometri dalle contrastanti ma bellissime sensazioni.
Una breve sosta per bere dalla sorgente un'acqua che ci appare come incredibilmente leggera e gustosa, fonte di miracoloso sollievo nel ricaricarci e darci ancor più forza per andare a scoprire la seconda parte di una montagna epica, laddove la polvere si sostituisce al catrame e le sconnesse pietre ti ricordano quanto è difficile conquistare la vetta di qualsiasi meta, di ogni ambizioso obiettivo, delle appassionanti sfide che la vita ti propone...
Pochi metri ed ecco le prime avvisaglie di un paesaggio che comincia a mutare, di una montagna fatta di deliziosi prati tinti da un intenso verde che prende il sopravvento sul bosco e con essa mulattiere e sentieri che si sostituiscono al lavoro umano: dapprima pochi granelli di polvere ai lati, un asfalto che diventa sempre più ruvido e grigio ed ecco che pian piano ci si ritrova a camminare su un paesaggio tanto incontaminato quanto semplicemente mozzafiato.
Davanti a noi una magica polvere viene sollevata dagli stessi eroi che, a passo d'uomo, cominciano ad assaporare il gusto dell'impresa. Sopra di noi un Forte che ci appare in lontananza, dai contorni sfocati per una foschia che ci appare come la naturale conseguenza del nostro ardire di conoscere l'olimpo degli dei e sotto ai nostri piedi... lo sterrato!
Soddisfazione che diventa commozione nel venir superati dall'ennesimo eroe di una giornata indimenticabile che grazie al mezzo a due ruote che tutti noi amiamo porta con se anche i suoi due bambini, con incredibile tenacia e la forza che solo un genitore può trovare nel proteggere il proprio figlio ,ma anche quando, a poco più di cinque chilometri dalla cima ritroviamo quel tornante ammirato tante volte nelle poche foto in cui si poteva intuire la maestosità di una salita che affiancherà ben presto il suo nome a vette finora ben più note e che da mesi tutti aspettavamo di vedere, di conoscere, di scavalcare.
Una foto con gli occhi gonfi più per la gioia che per l'immane stanchezza e via a rifocillarsi poche centinaia di metri dopo, con un buon formaggio del luogo che apprezziamo come raramente può accadere altre volte nella vita e che ci da un'ulteriore spinta a realizzare un sogno che mai come in questo momento ci sembrava poter divenire bellissima realtà.
Un valoroso calvario segna l'incedere degli ultimi terribili tornanti di una salita che in quel momento mi sembrava assommarne anche più di cento, una sosta ogni sorgente, ogni volta che il torrente faceva scorrere purissima acqua nelle vicinanze della larga mulattiera che seppur ben battuta diventava pian piano sempre più sconnessa e polverosa ed ecco che la visione di quel Forte si fa sempre più nitida e con essa anche l'emozione, i brividi nel vedere migliaia di persone assiepate negli ultimi ripidissimi tornanti e già festanti con striscioni, scritte, cori, buon vino e tanta tanta passione per questo sport a pedali.
Un'ultima entusiasmante sorpresa ci raggiunge a poche centinaia di metri dall'ambito striscione, nel vedere alcuni dei nostri inseparabili amici di viaggio superarci a velocità doppia, ben concentrati nel raggiungere la meta e, perché no?, di primeggiare in un'impresa che vede solo vincitori, ed ecco che anche noi percorriamo, col cuore gonfio di contrastanti sentimenti, l'ennesimo, l'ultimo rettilineo, e quel ghigno di fatica ed enorme soddisfazione si mescola con lucidi occhi, e forte è il desiderio di cristallizzare queste incredibili emozioni in foto quanto mai vive ed indimenticabili.
Ed il Forte ci offre ora il fianco per riposarci ed attendere la corsa...
La folla sul Colle delle Finestre, con tanto di Gpm sulla sinistra - Foto: Vittone
La scarpinata verso il Forte - dal versante di Pourrier
La prima operazione, una volta giunti a Pourrier, è stata riempire le borracce di acqua fresca e pura e farci preparare dei panini nel negozietto locale, gremito di cicloamatori, anch'essi in procinto (come noi, che però eravamo a piedi) di raggiungere il Colle delle Finestre in una mattina di fine maggio soleggiata e completamente serena. Dopo il rifornimento abbiamo intrapreso la salita, pieni di entusiasmo perché consapevoli di assistere in prima persona, di lì a poche ore, ad un avvenimento epico.
Lassù, da qualche parte (ancora la cima era troppo lontana per poter essere ammirata dai nostri occhi), si trovava il Col-le delle Fi-ne-stre, un nome che ci faceva rabbrividire solo a pronunciarlo, in quanto da mesi sentivamo racconti e descrizioni di eroi che avevano tentato di scalarlo in mezzo alla neve e al fango. Tornante dopo tornante, chilometro dopo chilometro (per un totale di otto), il panorama che si apriva alla nostra vista era da mozzare il fiato. Le Alpi ci circondavano. In lontananza i prati verdeggianti erano chiazzati di bianco, residui nevosi che stavano lì a ricordarci l'altitudine e la purezza del luogo.
A percorrere la salita c'erano centinaia di persone, le più in bicicletta, ma pure a piedi.
Si individuava con facilità la provenienza dei bikers dando un'occhiata alle loro divise da ciclismo. Provenivano davvero da tutta Italia. La maggioranza erano naturalmente piemontesi, ma numerosi anche i liguri, i toscani e i lombardi.
Ho provato un'emozione forte e speciale alla vista di un paio di divise biancazzurre molto famigliari: due miei compaesani, cicloamatori provenienti da un paese di duemila abitanti a centinaia di chilometri da Pourrier, erano lì a scalare la penultima (o ultima, visto che il Sestriere è stato scalato in circuito sia prima che dopo il "colle") montagna del Giro d'Italia: la maestosa vastità delle montagne attorno a noi e la consapevolezza, nello stesso tempo, che il mondo è davvero piccolo creavano un contrasto magico.
L'aria si faceva sempre più teneramente pungente: segnale di alta quota e di vicinanza alla meta.
Il Colle ci si era ormai presentato innanzi quando all'improvviso l'eco di fischi spaventati iniziò a pervadere l'aria. Erano le marmotte che, ben nascoste dietro le rocce, trasmettevano segnali di pericolo. Chissà cos'avranno provato nell'assistere impotenti, per la prima volta nella loro vita, all'incursione di tutti quegli umani nel loro territorio incontaminato...
La scalata del Colle delle Finestre
Sono le cinque e mezza quando suona la sveglia, sabato 28 maggio. L'attimo di torpore del risveglio è brevissimo ed ho subito chiaro che giorno è oggi: la "tappa del Finestre", finalmente!
Un ultimo controllo alle bici, e poi si parte, sulla mia piccola Punto verde non ancora stanca delle mie folli trasferte. Conoscendo la facilità con cui solitamente riesco a perdermi, mi stupisco di trovare immediatamente il parcheggio che mi ha indicato Eugenio, altro amico di Cicloweb.it, a Susa. Non ci siamo mai visti, ma la sagoma sottile in una poco appariscente maglia rosa non mi lascia dubbi. C'è anche Marco, detto "Anti", anche lui nuovo incontro, che farà compagnia a papà, che mi accompagna... a piedi però!
Il tempo di rimontare la ruota davanti, e "clack!", il pedale è agganciato.
La giornata è stupenda, dal parcheggio partono ciclisti in continuazione, basta seguirne la direzione; la salita non fa complimenti, non concede compromessi: al contrario mette subito le cose in chiaro, e comincia con pendenze assolutamente rispettabili. Ecco il cavalcavia, la strada che si stringe e si arrampica tra le case, e sale, sale, sale. Prendo subito il mio passo, senza forzare: l'asfalto è perfetto, nerissimo e macchiato di luce solo a tratti, dove il sole riesce a filtrare sotto gli alberi che mantengono l'aria fresca, e sotto i passi del fiume di colori e di voci che sale lento lungo la strada.
È la gente del Giro, con il suo rumore, la sua festa, che ritorna ancora una volta, e ancora una volta è tanto bello che ti sembra quasi di fare meno fatica; ma forse è solo un'impressione, perché via via che proseguo, i tornanti che si snodano sotto alle ruote si attorcigliano uno ad uno intorno alle gambe, la salita non molla mai, ma sale regolare e arrivo senza troppi problemi alla fine dell'asfalto: una folla di ciclisti assetati circonda quella che intuisco essere una fontanella... riempite le borracce, io ed Eugenio ripartiamo in bici, gli altri ci raggiungeranno a piedi. Mi chiedo chi di noi sia più fortunato!
Ecco, ora inizia il fatidico sterrato, quella grande incognita che non sono ancora riuscita a immaginare, ed in effetti è subito meglio di quanto mi aspettassi: la pendenza sembra inferiore, si può respirare, ed il terreno è molto buono, soprattutto nel primo tratto. Siamo ancora all'ombra, quando la salita torna a farsi sentire, e dalla strada sbucano le prime pietre. Lo slalom tra gente a piedi e in bici si fa più difficile: chi sale in mountain bike monopolizza la strada, mentre io sono costretta a scegliere i tratti dal fondo migliore, e quindi a rallentare e riprendere improvvisamente l'andatura, senza potermi alzare in piedi... povere le mie gambe!
Già da un po' pedalo sotto il sole, che però è sempre clemente, quando vedo il cartello dei 3 km al Gpm. Manca poco ancora!! E allora coraggio, tornante dopo tornante, sempre più gente, sempre più bici, sempre più voglia di arrivare in cima. Di qui si vede il forte, che sparirà dalla vista di lì a poco. Altro cartello rosa: 2 km. E poi uno, uno solo. Guardo ancora su: possibile che ci stia ancora tanta strada, tante curve, tanta gente, in un km solo? Ma eccolo, sempre più vicino, il traguardo del Gpm, e poi finalmente lì, davanti a me; una volta attraversato, sgancio e metto i piedi a terra, tutti e due. E guardo.
Ora finalmente guardo uno per uno i volti degli altri ciclisti saliti fin quassù, della gente intorno e di quella che continua a salire. La strada da qui è una striscia dalla consistenza indecifrabile che si srotola morbida, quasi indifferente, sulle montagne del Giro.
Ci riprendiamo dalla fatica e torniamo un paio di curve più giù, ad aspettare il resto della banda di Ciclowebbisti. Poco dopo ci siamo tutti: Eugenio, Elisa, Giuseppe, Mario, Vesna, Enula, Andrea, Stefano ed io, a scaldarci come lucertole sotto il sole, aspettando i "Girini".
Verso le 16, le prime vetture dell'organizzazione lasciano sulla strada un odore forte di frizione. L'elicottero della Rai si avvicina alzando una nuvola di polvere e di giornali quindi, dopo tutto il passaggio della carovana di ciclisti e non, recupero la bici e mi preparo per la discesa. Consapevoli di aver assistito ad una pagina memorabile di storia dello sport, uno spettacolo che ricorda quel ciclismo d'altri tempi stampato nella memoria delle foto in bianco e nero, come in bianco e nero sono a tratti le riprese stesse della Rai, ci salutiamo programmando già i nostri prossimi incontri sulle strade, del Tour possibilmente. Perché sembra finito, ma non finisce mai. Ed è questa la cosa più bella.
Affronto la discesa lentamente, sullo sterrato ormai degno del suo nome, dove le pietre affiorano dappertutto. La malinconia inevitabile di ogni festa che finisce non cancella la gioia di aver trascorso una giornata fantastica, con persone stupende, in un momento indimenticabile...
Gli ultimi tornanti del Colle delle Finestre in aprile. Cicloweb.it era in basso a sinistra a vedere la corsa - Foto: Cipriani
I-VAN, I-VAN!! Lettera aperta ad Ivan Basso
Non tifare direttamente per nessuno permette di vedere le fatiche di tutti sullo stesso piano, però, l'averti seguito già da dilettante quando indossavi una maglia secondo me molto prestigiosa, ti pone in una posizione leggermente privilegiata ai miei occhi, tenendo conto anche della quantità e della qualità delle vittorie ottenute in quei 4 anni.
Al tuo primo Giro d'Italia hai tentato di metterti in mostra da subito, ponendo in armadio una maglia iridata Under 23 e cercando la gloria vestendo quella di attaccante di giornata.
Poi lo scotto del passaggio in una grossa formazione, gli occhi puntati su di te, le prime critiche, un campione del mondo non adatto al professionismo, un'altra promessa che non sembra confermarsi, dissidi interni, scarsa fiducia e separazione finale.
Approdi in un team alla cui guida trovi un sergente di ferro... per dare continuità ad un ciclo di tre anni, ma con una sostanziale differenza, il tuo nuovo comandante crede in te e ti vede come la sua punta di diamante.
A credere in te c'è anche chi ha vinto, nel bene e nel male, 6 Tour, ti lusinga con allettanti proposte, ti vorrebbe al suo fianco come scudiero, ma il vero motivo sta nel fatto che lui vede in te come suo erede, la classe, le capacità, la condotta di gara, tutte doti che potrebbero impensierirlo.
Nel suo 6° sigillo dimostra infatti di aver visto giusto perché la tua maturazione ti porta ad essere l'unico in grado di tenergli testa.
Il tuo ritorno al Giro, sostenuto dai media, dalla sfida a distanza con un altro giovane rampante, più spavaldo, più scattante, più scalatore... sulla carta molto superiore a te, anche più uomo immagine se vogliamo dirla tutta.
Da Reggio Calabria in sordina, come te molti altri, ti nascondi nella pancia del gruppo, perdi anche qualche secondo, patisci il primo vero muro, non sembri in palla, ma alla prima vera tappa a te congeniale, dimostri tutti i tuoi progressi nel complesso esercizio della lotta solitaria contro lo spietato cronometro.
La tua posizione in bici, la rotondità della pedalata, i paragoni si sprecano ma qui esce fuori ciò che più colpisce di te.
La semplicità, la disponibilità, il sorriso, le tue interviste sono le cose più belle del dopo tappa.
Finché a Zoldo esce anche la classe vista per un attimo al Lombardia 2004, ma soprattutto quella che ti ha aiutato a vincere bene fra gli Under, dimostrando che non eri un fuoco di paglia. La Rosa è tua, l'unico in grado di resisterti è stato il "Falco", atleta più esperto di te, ma molto simile caratterialmente.
Le passeggiate in montagna si fanno a piedi, in bici è un'altra cosa, il fardello rosa sulle tue spalle si fa pesante, i tuoi avversari lo capiscono e le rasoiate in faccia fanno più male al cuore che ai muscoli.
Se ne sono dette tante, ma io credo a te, un malanno fisico può capitare anche a chi è seduto in ufficio, figuriamoci se non può colpire chi affronta dislivelli considerevoli e passa dal caldo al freddo in un batter d'occhi... ma tu resisti, stringi i denti... anche se si avvicinano inesorabili a te, sembri non voler mollare.
Ma il sogno è destinato a durare poco, a Livigno ti vediamo tutti dal maxischermo, la tua maschera sullo Stelvio è emblematica, inutile bluffare, ad Ortisei i segnali erano evidenti, e al cospetto del "Mostro" nascondersi è diventato veramente inutile, lui è venuto in "caccia" e tu sei stato la sua vittima, ma ti sei difeso tenacemente.
La tua resistenza ha impietosito tutti, anche lui, in vetta ha allentato la sua presa, abbandonandoti privo di forze a 2758 metri fra le braccia dei compagni, fra quelle tenaglie del tuo Direttore Sportivo da tutti conosciuto come Mr. 65%, probabilmente il rimanente 35% è l'affetto che l'ha portato a lasciare l'ammiraglia in centro strada per scendere ad aiutarti e che per la prima volta abbiamo potuto ammirare anche noi nelle vesti di "Padre" che tu descrivevi nelle interviste, ma a cui ben pochi credevano... La tua vestizione è stata commovente, emozionante, non solo per i tuoi fans, ma anche per tutti quelli che erano venuti lì per i tuoi avversari: i veri tifosi in momenti come questo sono tutti dalla stessa parte nell'incoronare un eroe.
Vedere arrivare Ale Jet, che ti scruta e muta l'espressione in volto, da stanco a compassionevole, ha fatto i tuoi stessi chilometri, ma trova l'umanità per compatirti.
Molti potranno non emozionarsi mai con te Ivan, per il tuo modo di correre, per il non attaccare come alcuni tuoi colleghi, per le connessioni con il passato del tuo ds, magari non diventerai mai un grande vincente, un supercampione, ma vorrei vedere quanti dei tuoi colleghi e di quei pseudocampioni avrebbero così ostinatamente portato a termine la tappa.
Il tuo arrivo a Livigno, straziante, gli occhi rossi incontrollati, le lacrime appese alle palpebre, trattenute solo dall'orgoglio.
Le immagini dello Stelvio e la tua voce al termine della tappa mi rimarranno nella mente per moltissimo tempo, la mia memoria ciclistica ricorderà ciò al vertice delle imprese più belle.
Chi come te avrebbe continuato?
E per che cosa poi?
Lo avremmo capito pochi giorni dopo... volevi dimostrare di non essere venuto in gita?
Non sarebbe stato necessario, vestire anche per un solo giorno la maglia rosa sarebbe il sogno di nove decimi dei tuoi colleghi, ma tu volevi lasciare un impronta diversa.
Colle di Tenda... un sole bollente accende le micce di una tappa esplosiva, la tua scalata sembra un tracciante nella notte, il tuo sorpasso sul povero Caruso, una rasoiata micidiale, la tua pedalata leggera, efficace.
Ti guardiamo salire sotto al Nostro striscione: centinaia, migliaia di persone ti acclamano, il tuo viso segnato dalla fatica, il tuo sorriso cerca di nasconderla fino a che le tue braccia si alzano al cielo per la tua prima vittoria al Giro, gli applausi sono tutti per te.
La tua resistenza e la tenacia sono stati premiati, il rammarico è forte, ma per un giorno puoi festeggiare, ma non sei sazio, devi ancora dimostrare qualcosa.
Il cronometro da quest'anno ti è più amico e sul tragico Colle di Superga sfoderi un'altra impresa, andando a cogliere una spettacolare doppietta, surclassando tutti i tuoi avversari e dimostrando che, probabilmente, il vero padrone eri tu.
Nonostante le due perle in rapida successione la lotta per la rosa ti vede escluso dai giochi, ma sembri voler fare da arbitro, la tua famiglia danese ti è a fianco e prepara l'approccio al Colle delle Finestre, ma le tue risorse scarseggiano per i precedenti sforzi e così affronti dietro le quinte la salita che avrebbe deciso il giro... purtroppo non il tuo.
Il lavoro della tua squadra si rivela inutile, sali del tuo passo, la testa della corsa scappa, va via veloce, molti ti riprendono, ti staccano, fino a che i tuoi fratelli bianco-rosso-neri ti recuperano e ti scortano su per i pendii di una salita che avrebbe potuto incoronarti, ma che invece ha smentito il "Non c'è due senza tre!".
Qui accade quello che in altri sport difficilmente si vede, cioè l'appoggio morale ad un ragazzo che ha onorato il Giro, quando avrebbe potuto tranquillamente mollare tutto.
Una sola parola, ripetuta I-VAN, I-VAN, I-VAN... il richiamo della gente assiepata sui davanzali del Finestre, la pelle d'oca che sembra sollevare le maniche del mio giubbetto antivento, il brivido, lungo, intenso, che mi pervade, 10 secondi forse 20... il tempo di percorrere un terribile tornante, il penultimo, forse il più duro, ma probabilmente il più caldo, l'abbraccio emozionante fra un atleta che ha onorato il Giro e la gente che pur non tifandolo direttamente l'ha elevato come vincitore morale della rosa.
Non so cosa tu abbia pensato, se l'hai fatto, ma in cuor tuo sicuramente rimarrà il rimbombo assordante del tuo nome, il richiamo di tutta la folla, che pur non vedendoti passare in testa, ti doveva ringraziare per le emozioni date.
I tifosi, sulla discesa verso Pourrier dal Colle delle Finestre, hanno salutato così Basso - Foto: Casaldi
I primi si allontanano, passano i minuti, la maglia rosa difesa con i denti, contro qualcosa di imprevedibile, ti saluta, persa praticamente già in quel di Ortisei, dove la fortuna ti ha voltato le spalle pur avendo dimostrato una certa audacia in quel di Zoldo... Non sempre i proverbi vengono rispettati, ma se la pazienza è la virtù dei forti aspetterai un altro anno... Se, invece, avrai fretta di riscatto e sarai audace, la dea bendata potrebbe ridarti il maltolto già fra due mesi, in un palcoscenico, a mio avviso, ingiustamente considerato superiore a quello su cui è appena calato il sipario...
Dieci anni in un minuto, in un applauso
Un intenso ricordo, seppur leggermente sfocato dal trascorrere di quasi un decennio, ma ancora dalle nitide sensazioni, dalle forti emozioni, per un saluto doloroso e commosso ad una persona speciale. Una medaglia olimpica, testimonianza di un talento purissimo dimostrato fin da subito e che stava dando vita ad un futuro campione, con quel titolo conquistato a Barcellona di cui era ancora detentore e che mostrava con dignitosa fierezza. Un ragazzo che tutte le persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo si son sempre affrettate a ricordare per la sua semplicità, la sua solarità, un'allegria che non meritava una fine tanto tragica quanto beffarda.
Un nome stampato nel cuore di tutti noi che amiamo questo bellissimo sport che, tra tanti bellissimi ricordi di imprese sportive e storie umane, talvolta purtroppo presenta, nella sua storia ormai secolare, pagine che mai vorremmo fossero state scritte, che ci fa male anche solo a riaprirle tanto è il dolore nel ricordare... Fabio Casartelli.
Ma siccome è opera dei vivi rendere immortali animi valorosi e nobili, mi preme ricordare come di un Giro da un tracciato bellissimo, è sicuramente il suo fiore più bello aver partorito una partenza, un sentito ricordo ad un ragazzo comasco che su queste strade cercava di raggiungere un sogno che aveva già preso sembianze concrete prima che venisse bruscamente interrotto nella funesta discesa del Portet d'Aspet, nel cuore dei Pirenei.
Ed è proprio durante il viaggio che da Torino ci porta ad Albese con Cassano, per la partenza dell'ultima tappa di un Giro dalle mille emozioni, che la mia mente ritorna a quel giorno, a quando, come ormai facevo da più di un anno, sempre più appassionato e rapito da questo bellissimo sport a pedali e da uno dei suoi più luminosi protagonisti accomunato dallo stesso assurdo destino, accesi la televisione per seguire, con l'entusiasmo di un giovane adolescente strabiliato da epiche imprese sportive senza pari, una mitica tappa pirenaica della corsa più importante del mondo, forse la più dura, sicuramente la più attesa.
Un entusiasmo che si spense ben presto nell'apprendere la notizia di una drammatica caduta nel plotone, lungo i tornanti della discesa di una delle prime salite di una giornata che ne doveva prevedere ancora molte.
Minuti di angoscia, di frenetica apprensione, in cui la corsa e le imprese del tuo beniamino passano completamente in secondo piano, in cui capisci come è sottile la linea che c'è tra la vita e la morte.
Sì, proprio quella, perché fin da subito s'intuì che quel corpo esanime, dopo aver violentemente sbattuto contro una pietra miliare, difficilmente sarebbe potuto tornare a muoversi, a riprendere conoscenza, a vivere. Di sicuro tutti quei milioni di persone che, me compreso, guardavano attoniti e commossi immagini terribili, sentendo assommarsi notizie drammatiche, cercavano dentro di loro di sottrarsi a voler prender coscienza d'un destino tristemente segnato, cercando di rifiutare una realtà troppo dolorosa per poter esser accettata fin da subito.
E poi solo lacrime e disperazione, riflessione e turbamento, attonito sgomento per una tristissima giornata che tutt'ora mi emoziona e mi commuove al solo ricordo, ed un nobile gesto sportivo, di parzialissima consolazione: quel dito puntato verso il cielo, verso la dedica ad un ragazzo che era già volato tra le braccia di chi sa esser misericordioso, da parte di un suo compagno di squadra e di vita, che pochi anni dopo sarebbe uscito vincitore da un destino altrettanto avverso e beffardo.
Intense emozioni si fondono nella nostra mente e ci spingono verso il paese di Fabio, dove appena giunti, sotto un sole torrido e nonostante qualche piccolo contrattempo, vediamo già fremere i preparativi che caratterizzano tutti i ritrovi di partenza, in un ambiente per certi versi unico e speciale; quella frenetica serenità che ci fa intuire che mancano pochi minuti ad una partenza cosi storica, ad una passerella finale che incoronerà sulle strade di Milano una maglia rosa quanto mai degna, compagno di squadra anch'esso di quel ragazzo che, seppur molto cambiato, è lo stesso che dieci anni fa gli dedicò quella vittoria, onorandolo come oggi più di centocinquanta corridori stremati dalle fatiche, ma felici per aver raggiunto la fine di questa bellissima pazzia in rosa, ed altrettanti tifosi, addetti ai lavori e semplici persone del luogo che ricordano Fabio con stimabili parole, han sentito il bisogno di fare, tutti uniti, tutti convinti di quanto sia importante e doveroso ricordare degnamente una persona cosi grande.
Sembra un normale preludio all'inizio di questa meritata ovazione per i nostri girini: addetti ai lavori che parlano tra di loro, ciclisti che concedono veloci interviste, sempre con grande disponibilità, la stessa che hanno nel mettersi in posa per le moltissime foto che i tifosi sognano di fare da mesi, cosi come nel firmare autografi e regalare ogni tanto qualche gadget per rendere tutti ancora più felici di incontri memorabili con i propri idoli; ma ecco che pochi minuti prima del via, quando molti corridori già si sono radunati, pronti per partire, lo speaker invita ad una commemorazione che noi sentivamo come il momento più emozionante della giornata, forse addirittura dell'intero viaggio.
Giuseppe, Andrea, Elisa, Mario, Eugenio ed Enula accanto allo striscione del Progetto Casartelli - Foto: Parovel
Un minuto lungo dieci anni, in cui non è stato facile trattenere le lacrime, in cui era il silenzioso, ma fiero, ricordo a far brillare le pupille di tutti i presenti, dai corridori fino ai ragazzi più giovani che difficilmente ricordano quella giornata cosi terribile, che ci ha portato via un ragazzo, un ciclista cosi valoroso. Nei nostri occhi si legge quanto fosse grande la stima e la considerazione che ancora adesso ci gonfia il cuore ed il groppo in gola testimonia le contrastanti emozioni che si sfogano in un lunghissimo applauso, sincero, lungo come se non avesse mai voluto finire, perché mai finirà il ricordo di Fabio.
Ed ora si può ripartire, tutti più felici d'esser un po' più tristi...
La festa di Milano
Dal punto di vista tecnico la tappa di Milano è sicuramente la più insignificante di tutta la corsa rosa: il tracciato, piatto come un tavolo da biliardo e di chilometraggio ridotto, non offre spunti tecnici di rilievo se non nell'ultimo chilometro, caratterizzato, salvo rare eccezioni, da uno scontatissimo arrivo in volata, conteso dai velocisti superstiti dell'ultima settimana. La vittoria è andata a Petacchi, il velocista del momento che, però, deve al trionfo di Sanremo, e non alle "tappette" del Giro, il significato di tutta una carriera, alcune pagine della quale devono ancora essere scritte.
La vittoria di Petacchi è stata ottenuta, tuttavia, anche grazie all'assenza di McEwen, atleta veloce e scaltro (soprattutto scaltro), che ha dimostrato in questo Giro di avere anche una tenuta in salita più che discreta, oltre che uno spunto veloce molto insidioso: sarà un cliente pericolosissimo per il mondiale! La nazionale dovrà fare attenzione: a Madrid sarà più difficile che a Zolder.
Secondo, nella volata milanese, si è piazzato il mio corridore preferito: Erik Zabel. Il secondo posto dimostra che il corridore tedesco esce alla distanza ma anche che ormai, citando le parole di Silvio Martinello, avrebbe bisogno di una corsa a tappe di 40 giorni per essere vincente. La sua resistenza e il suo fondo sono eccezionali, ma lo spunto veloce non è più quello di qualche anno fa e il corridore tedesco lo sa benissimo, tanto che ha cercato di vincere il Giro delle Fiandre per distacco... In questo senso il mio commento è in linea con quanto detto in tempi non sospetti dal "collega di forum" Giuseppe Matranga: se il corridore tedesco si fosse risparmiato negli anni scorsi, non ostinandosi a correre da febbraio ad ottobre per puntare alla maglia verde del Tour, oggi forse avrebbe qualche risorsa in più da spendere.
La tappa di Milano è anche quella che sancisce la fine del Giro: Savoldelli, differentemente dal Giro del 2002, vinto più per disgrazie altrui che per meriti propri (Garzelli, Simoni, Casagrande esclusi a vario titolo dalla gara, Pantani annientato psicologicamente e Hamilton infortunato), ha dimostrato di sapere gestire in modo mirabile la corsa. Meno forte in salita di Di Luca e Simoni, ha dimostrato però sul Finestre di sapere tenere i nervi saldi, anche se si è staccato al primo chilometro di salita: invece che tenere invano le ruote di Simoni ha tenuto il passo regolare, limitando i danni in salita per poi rimediare in discesa.
Savoldelli non è un corridore entusiasmante, perché non attacca in salita, ma, tenuto conto delle disgrazie di Basso e del fatto che comunque il corridore varesino ha ceduto sul Finestre, per completezza dimostrata e continuità merita il secondo sigillo al Giro più degli avversari. Cunego era fuori condizione, Di Luca ha ceduto nella terza settimana e Simoni in realtà in nessuna tappa ha dato un'impressione di superiorità. Peccato per Basso: senza la gastroenterite avrebbe forse vinto, ma la tappa di sabato getta comunque una piccola ombra sul suo Giro, dal momento che forse è vero che il varesino soffre le salite non molto pedalabili.
Un ultima nota di affetto senza riserve va ai ragazzi che ho avuto l'immenso piacere di incontrare, seppur per pochi minuti. Provo nei loro confronti un sentimento di grande affetto personale. Ho avuto nella mia vita alcune conoscenze fatte in Internet di significato assolutamente profondo che, non esito a dire, hanno condizionato per sempre tutta la mia vita.
L'incontro con i ragazzi del forum ha rinnovato in me una grande convinzione: a volte frequenti della gente tutti i giorni di persona per anni e non riesci ad instaurare un rapporto profondo, cosa che, con grande dolore, a me è capitata tantissime volte. A volte invece bastano poche settimane di conoscenza con persone che neppure hai mai visto, per instaurare un rapporto straordinario. La prima sensazione lascia da un lato sgomenti, la seconda fa capire quanto dentro all'uomo ci possa essere di bello e interessante, tanto da unire persone diverse fra loro per stile di vita, temperamento, età e provenienza geografica. Queste parole sono rivolte ai ragazzi del forum che, sono sicuro, potranno ben capire il loro significato vero...
Il piacere d'un arrivederci
Consapevole di essere stato solo un soffio di vento di passaggio nella tramontana delle emozioni vissute nelle ultime due tappe del Giro, riporto i miei personali sentimenti, iniziati dall'incontro assolutamente casuale nel parcheggio di Susa con il piccolo grande scalatore in Maglia Rosa Euge e con la tenace "metallara" Tania.
Eugenio Vittone in maglia rosa (a sinistra), poi con Tania Rusca (accanto ad Euge) e amico - Foto: Bardella
Purtroppo per me, viste le scarse attitudini "arrampicatorie", l'incontro si è subito tramutato in un arrivederci, con la promessa di vederci in cima... promessa mai mantenuta, visto che mai mi sarei immaginato di fare così tanta fatica solo per raggiungere il tratto di sterrato.
Marco Bardella in azione sul Colle delle Finestre - Foto: Rusca
La giornata è stata comunque fantastica per un vecchio appassionato di ciclismo come me, qualcosa da ricordare con piacere e per poter dire un giorno: io c'ero! Ma qualcosa mi aveva spinto fin lassù, dovevo incontrare quei ragazzi che spesso mi hanno fatto sentire con la metà dei miei anni, compagni di chattate fino a tarda ora, ragazzi con i quali condivido spesso pensieri legati allo sport più bello del mondo.
Arresomi all'evidenza di non poter arrivare a vedere il triangolino verde del Gpm o l'ormai mitico striscione di Cicloweb, ho tempestato la truppa di telefonate dando appuntamento al giorno dopo, all'arrivo del Giro a Milano.
Nella giornata di domenica, dopo avere saputo che l'arrivo della carovana dei ciclowebbisti sarebbe avvenuto con un leggero ritardo rispetto alla tabella di marcia prevista dall'organizzatore, mi sono messo in un punto strategico per godermi appieno qualche passaggio della corsa e l'arrivo e speranzoso di trovare gli altri, mi sono "intrufolato", in compagnia di mio figlio, sotto il podio delle premiazioni in attesa di farmi intervistare dal grande Mario Casaldi quando, purtroppo, vengo a sapere da Basso che il "nostro" ha già lasciato il campo alla concorrenza per precipitarsi verso la stazione Centrale per un meritatissimo ritorno a casa.
Ammetto che è stato più duro uscire dal recinto del parterre premiazioni e raggiungere di corsa la stazione che i primi 2 km di scalata del Finestre, ma, finalmente, l'incontro è avvenuto.
Non voglio cadere nella retorica dicendo che non ho mai stretto così volentieri delle mani a persone mai viste e cito Mario, Andrea, Eugenio, Elisa, Vesna e che la soddisfazione di avere abbracciato forte l'amico Giuseppe mi ha ripagato con gli interessi delle corse fatte in questi due giorni.
Grazie alle vostre parole, alla vostra simpatia e alla vostra competenza mi state aiutando a trasmettere a mio figlio le mie stesse emozioni, il prossimo Finestre sarà anche suo!!
Grazie ragazzi, siete grandi...
Il bello dei treni è che vanno, e vengono
La stazione si muove, dal finestrino vedo questo. "Oh, no, maledetto testone, io sono sul treno, è lui che si sta incamminando", borbotto dopo poco, non so neanche se ad alta voce o meno. Poco fa gli abbracci al binario, poco sotto la carrozza nove, teatro del ritorno a casa.
La stanchezza mista alla commozione, sentimenti contrastanti, quasi troppo difficili da tramutare in parole. Il tempo di un rifornimento all'alimentari, bottiglie d'acqua e un paio di panini, tanto per saziare lo stomaco nel tragitto che ci aspetta. La corsa dalla metropolitana alla stazione Centrale è stata abbastanza sofferta, sudata, ma ha regalato al sottoscritto ed Andrea anche una foto con Julio Alberto Pérez Cuapio, il messicano della Ceramica Panaria-Navigare che, alla fine della corsa rosa, se n'è tornato a casa in metro, ricordandoci ancora una volta come i ciclisti non siano altro che comunissimi mortali, seppur incitati ed, a volte, idolatrati come vere divinità.
Nessuno ha tanta voglia di parlare, tranne Eugenio che (con Enula) sa che protrarrà il suo viaggio sino alla festa che Rovetta tributerà al "Falco" Savoldelli, il vincitore del Giro d'Italia 2005. Ci trasciniamo lenti verso il binario giusto, si fanno mille controlli prima di salire quei due scalini, si cerca di allungare il tempo fino all'impossibile, quel tanto che serve a non lasciarsi più. Perché il ciclismo ha permesso a noi ragazzi di conoscerci e di volerci bene, accomunati dalla grande passione per questo nobile sport, che altro non può essere che palcoscenico di storie di questa importanza e di questa misura.
Il bello del Giro è che dura 23 giorni, non troppi, ma neanche pochi: quel tanto necessario a non farti vedere l'ora che passi un anno e che si presenti il nuovo. Il bello di un viaggio è che inizia e finisce, permettendoti di godere di tutti gli attimi senza pensare troppo al domani, senza pensare a rimandare troppo gli appuntamenti, perché tempo per tutto non ci sarà, non può essere altrimenti. Il bello di tornare alla vita "normale" è poter continuare a sognare ad occhi aperti verso le ultime esperienze, verso le ultime occasioni avute, sino alle prossime, quelle immediate, quelle più lontane ancora.
Senza una fine, l'inizio non acquisirebbe importanza, ed è questo il segreto.
Il bello dei treni è che vanno, e che vengono...

Coordinamento Mario Casaldi