Vinokourov vola su Liegi - Fuga vincente di Alex con Voigt
Due mostri. Due mostri di bravura e di forza, di potenza e abnegazione; Alexandre Vinokourov ma soprattutto Jens Voigt. Soprattutto lui, perché intanto aveva già mostrato una fuga infinita appena mercoledì, alla Freccia Vallone; e poi perché tra i due partiva battuto, e nonostante ciò ha collaborato fino alla fine.
Proprio il tedesco aveva dato il via all'azione, sulla Côte de La Vecquée, a oltre 50 chilometri dal traguardo. La bravura di Vinokourov è nel capire che quell'azione rischia di andare lontano. E allora in cima alla salitella il kazako si è accodato a Voigt, proponendogli un patto di ferro da condurre fino allo striscione dell'arrivo. Il tedesco ha accettato, riservandosi di provare a rompere quel patto, quando fosse stato il caso (lo è stato ai 20 km, senza fortuna per Jens).
Insieme, comunque, i due hanno dato una dimostrazione memorabile. Hanno tenuto a distanza 25 uomini tra i migliori del gruppo, fuoriclasse assoluti che, messi tutti insieme, non riuscivano a limare niente dal margine che li separava dalla affiatatissima coppia di testa. Dietro guadagnavano qualche secondo in salita, ma poi lo riperdevano subito con gli interessi nella successiva discesa; se recuperavano in pianura, allora perdevano in salita. Un tira e molla che, man mano che i chilometri passavano, si rivelava sempre più favorevole agli attaccanti.
E non è cosa da poco, visto che un assalto di quel genere, così lontano dal traguardo e con tante salite dure e selettive ancora da affrontare, non dava troppe garanzie di riuscita. Senza dubbio l'apporto di Vinokourov all'azione di Voigt è stato decisivo, visto che il tedesco da solo difficilmente avrebbe tenuto fino ad Ans; e il fatto che entrambi si siano trovati in testa, a un certo punto, è figlio della loro lentezza in volata: questo elemento ne ha fatto, storicamente, due corridori avvezzi alla fuga, all'azione a sorpresa, ai limiti della follia.
Vino ha avuto modo di sperimentare questo suo arrembante modo di correre ai più alti livelli, financo su un Tourmalet al Tour de France nel 2003 (gli andò male, nella tappa più bella degli ultimi anni). Voigt ha avuto una carriera più opaca, non ha mai vinto una grande classica (il kazako aveva già un'Amstel nel carniere), non ha lottato per conquistare un Tour (si è accontentato di una frazione e un giorno in maglia gialla). Si è imposto come uomo da fughe a lunga gittata, e anche oggi non ha fatto altro che correre come sa, partendo quando sente la gamba che lo chiama all'azione.
In generale, è stata una Liegi molto bella, almeno fino a un certo punto. Più incerta e battagliata dell'ultimo Fiandre o dell'ultima Roubaix. Vissuta su una fuga iniziale di Wesemann e Noval (accompagnati per molti chilometri da De Kort, Verstrepen e Bénéteau), la corsa è entrata nel vivo sulla Côte de Stockeu, affrontata per una volta dal versante più duro. Lì è partito lo show di Voigt, avvantaggiatosi in compagnia di Botero, Kroon, Weening, Wegmann, Celestino e Bettini, con quest'ultimo tornato finalmente ai suoi livelli dopo mesi di problemi di salute che ne hanno influenzato negativamente il rendimento.
Da quest'azione a 6 poteva nascere qualcosa di determinante, ma non è successo. Un po' perché mancavano ancora 80 chilometri al traguardo, un po' perché dietro c'erano ancora in gioco tutti i grossi calibri, un po' forse perché i 6 non ci hanno creduto fino in fondo, fatto sta che tra la Côte du Rosier e la successiva discesa il gruppo dei migliori (ripresi ormai Wesemann e Noval) è tornato compatto.
Il protagonista della settimana, Di Luca, non pareva quello di domenica scorsa, o di mercoledì. Dopo aver tirato per rientrare su Bettini e soci, si è messo buono buono in un angolo e non ha più detto niente di importante nell'economia della corsa. Meglio Rebellin, che ha dalla sua una inscalfibile immagine di solidità; Cunego e Basso, da parte loro, sono stati tutto il tempo a controllarsi, a marcarsi, a scrutarsi. Anche se poi dicono che non ci pensano, al duello cui daranno vita al Giro, ci pensano eccome, e sin da ora giocano a scacchi.
La Spagna proponeva il solito Etxebarria adattissimo alle côtes, in aggiunta a un Freire visibilmente sottotono, a un Pereiro e un Martín Perdiguero in fase di interessante crescita, a un Valverde ancora enigmatico. Si attendeva oggi quella che era considerata l'ultima chance per Alejandro per dimostrarsi davvero uno dei grandi, in grado di ben figurare anche fuori dai confini spagnoli, e non solo nelle tappe dei giri ma anche nelle classiche. La missione è ingloriosamente fallita: coi migliori fino a un certo punto, poi saluti a tutti e ritardi pesanti. Un film già visto in questo mese di aprile.
Era il giorno dei T-Mobile, evidentemente. Una squadra arrivata alle soglie di maggio e ancora senza un successo: e non stiamo parlando dell'ultima delle Continental, ma di uno degli squadroni del Pro Tour, uno dei più attesi, dei più forti sulla carta. Fin qui una serie di errori tattici, tecnici, atletici avevano tenuto i fucsia di Germania lontani dal podio. A Liegi si sono saputi riscattare, correndo veramente bene. Wesemann in avanscoperta da subito, a fungere da appoggio per Vinokourov e Kessler, che sono entrati in azione sulle côtes. E gli altri a non pestarsi i piedi, come era successo al Fiandre, ma anche capaci di essere presenti in maniera efficace negli snodi fondamentali della gara.
La saldatura tra la corsa d'attacco perseguita, per mano (gambe) di Voigt dal Team Csc di Riis, e quella propugnata da sempre da Vinokourov, ha prodotto l'azione che ha deciso la Liegi. Non c'è solo sottovalutazione, da parte del gruppo, della fuga a due, nel successo della medesima. C'è la capacità di dosarsi, di darsi cambi regolari, di evitare strappi anche minimi; e c'è il sano realismo di Voigt il quale, al contrario di tanti suoi colleghi, ha capito che, mal che gli andasse, non poteva certo disprezzare un secondo posto in una classica di tale importanza; e allora ha dato linfa, senza risparmiarsi, all'azione.
Dietro, al contrario, emergeva l'incapacità di Rabobank e Davitamon, che pure erano presenti con diversi uomini, di organizzare qualcosa di simile a un doppio trenino, per provare a rimontare. Ma poteva, la Rabobank, prendersi per intero la responsabilità di ricucire, avendo come punta Michael "Tano Belloni" Boogerd? Poteva, la Davitamon, consumarsi nell'inseguimento non avendo un uomo realmente veloce e in grado di garantire un piazzamento?
Gli unici momenti in cui si è guadagnato sono dovuti ad apprezzabili quanto estemporanei sacrifici personali, di Martín Perdiguero sulla Redoute (un forcing impressionante), di Weening sullo Sprimont, di Sinkewitz sul Sart-Tilman. Nessuna organizzazione, buon per i due coraggiosi.
In una situazione del genere, era chiaro che le ultime côtes avrebbero lanciato i contropiedisti del terzo posto, ma che la vittoria sarebbe stata un affare a due. Affare risolto, come ampiamente prevedibile, in favore di Vinokourov. Il fatto che Voigt non abbia neanche provato uno scatto per anticipare lo sprint è leggibile in maniera ambivalente: ne aveva poco, e quel poco ha preferito buttarlo tutto nella volata; oppure sperava che il kazako sbagliasse a lanciarsi, si piantasse, si facesse prendere dall'emozione.
Non è successo, visto che Alex, faccia da duro mandata in avanscoperta da un cuore tenero (le lacrime sul podio, e lui è quello che per tutto il 2003 ha corso per onorare la memoria dell'amico Kivilev, morto alla Parigi-Nizza), non ha sbagliato. Per un attimo c'è stata l'impressione che Voigt riuscisse a rimontare, o quasi. Ma la voglia di vittoria di Vino, ben testimoniata dalla liberatoria esultanza, ha impedito ogni sorpresa.
Noi, nel senso di italiani, ci accontentiamo. Non si può sempre fare la parte del leone, stavolta piazziamo il redivivo Bettini al quarto posto (e se ne è contento lui, figurarsi noi), confermiamo il buon momento di Celestino, consideriamo che Cunego e Basso si avvicinano in maniera positiva all'appuntamento del Giro, verifichiamo che Rebellin è sempre un buon uomo da classiche, e pazienza per il passaggio a vuoto di Di Luca.
Torniamo un attimo su Cunego. Ginocchio malandato a parte (niente di grave, comunque), Damiano non ha entusiasmato come in altre occasioni. Ma non dimentichiamo che, nel Lombardia della sua apoteosi, non sembrava un fulmine, essendo stato staccato da Basso e avendo faticato tantissimo per rientrare. Cunego è giovane, è normale che nelle classiche dal chilometraggio così ampio debba soffrire. Non ha l'esperienza, il colpo d'occhio per certe corse, e non ha neanche ancora il fisico da diesel che sarebbe utile. Ma è già bello che ci sia; poi, se trova la giornata giusta (e l'ispirazione) può anche regalarsi un successo indimenticabile (come in ottobre, appunto). Altrimenti, si accontenta di fare esperienza per un domani. Perché lui qui a Liegi ci tornerà, e ci tornerà per vincere, prima o poi.
Voigt - 9,5
Lo mettiamo prima di Vinokourov perché ha incarnato esattamente lo spirito del ciclismo, la volontà di andare avanti a dispetto di tutto, anche della quasi certezza di venire sconfitto nella volata a due. Ha dato alla fuga l'impulso decisivo, ha dato al collega una mano, gli ha di fatto servito su un piatto d'argento la possibilità di una vittoria fondamentale. Non aveva troppe speranze, ma è andato avanti lo stesso, come se facesse parte del Mucchio Selvaggio di Peckinpah. Incurante della contrarietà del contesto, come già lo era stato mercoledì alla Freccia Vallone. È la reiterazione del gesto a renderlo ancora più bello, a elevarlo a un livello superiore.
Vinokourov - 9,5
Rieccolo a livelli di eccellenza. Dal 2003 non era più riuscito a esprimersi così bene, complici una serie di infortuni. Si lancia con coraggio a 50 km dalla fine, tiene le distanze rispetto agli inseguitori, spegne sul nascere le velleità di Voigt ai 20 km, poi prosegue con convinzione e sulla salita di Ans non sbaglia e si impone. Un vincitore degno.
Bettini - 8
Finalmente qualche bagliore della sua grande classe. Fiaccato dalla mononucleosi, ha perso quasi tutto il mese delle sue corse preferite; in extremis, ha trovato il modo di far capire che, con un Bettini al meglio, alcuni degli ultimi risultati sarebbero stati da riscrivere. Buon viatico per il Giro d'Italia.
Sinkewitz - 7,5
Da solo recupera mezzo minuto sul Sart-Tilman, riportando sotto il gruppo e favorendo il suo capitano Bettini. Purtroppo per chi insegue, c'è un solo Sinkewitz nel plotone.
Boogerd - 7
Non si fida dell'azione di Vinokourov e Voigt, aspetta in gruppo ma la Rabobank non trova la forza o lo stimolo per annullare il tentativo dei due. Lo aiuta Weening, ma non basta, e ai piedi di Ans la distanza è troppa per poter rientrare sui primi. Il suo scatto finale gli vale il terzo posto, ormai avrà fatto il callo ai rimpianti.
Evans - 7
Per un attimo dà l'idea di poter ancora fare qualcosa per riaprire la corsa. Si muove troppo tardi, però, e il suo tentativo non conduce oltre un onorevole quinto posto.
Martín Perdiguero - 7
Da paura il suo forcing sulla Redoute, poi ha trovato ancora le forze per stare nelle prime posizioni e per conquistare un buon settimo posto.
Weening - 7
All'attacco nei primissimi chilometri, poi si accoda a Bettini sullo Stockeu, quindi dà una mano a inseguire nel finale. Corre in maniera molto matura.
Celestino - 6,5
Dà alla sua ottima Freccia un seguito importante alla Liegi. Risultati tanto più positivi se si pensa che non è un fuoriclasse cristallino come altri della sua generazione.
Cunego - 6,5
Non illuda in negativo la sua poca brillantezza. Quel che conta è che è stato capace di salvarsi, di restare coi calibri da 90 fino ad Ans, e che è pure riuscito a entrare nei 10.
Wesemann - 6,5
In fuga per tanti chilometri, insieme a Noval. Non ha vinto un Fiandre, come fece l'anno scorso, ma è stato uno dei più continui per tutta la campagna del Nord.
Basso - 6
Un tantino meno visibile di Cunego, ma sta seguendo differenti percorsi di preparazione. In ogni caso, è solido e si vede a occhio nudo.
Rebellin - 5,5
Si chiude un po' mestamente il filotto che l'anno scorso lo consacrò, e quest'anno l'ha visto invece protagonista via via più marginale. Oggi non ha mai dato l'impressione di poter partecipare alla festa.
Valverde - 4
Tremendo il suo approccio con le grandi classiche. Non ne ha azzeccata una, sempre coi primi quando non conta, sempre con i ritardatari nei momenti topici. Va riconsiderato molto di quello che si è detto sul suo conto e di quello che gli si è preconizzato.
Di Luca - sv
Va bene, ha accusato un passaggio a vuoto, ma chi ha cuore di imputargli qualcosa?
La T-Mobile doveva a tutti costi vincere una corsa, pena una generale depressione nella squadra tedesca. Forse non è un caso che la squadra abbia ritrovato compattezza nel momento in cui non ha corso Zabel, fin qui ostracizzato dal suo stesso team. Wesemann in fuga all'inizio, poi Vinokourov entrato in scena insieme a Kessler, e poi da solo quando è stato il caso. La Liegi è stata molto viva, merito del percorso un po' più duro del solito, si dice. Merito anche del fatto che da quando è stata spostata e messa dopo l'Amstel, rappresenta l'ultima possibilità di ben figurare nel mese delle classiche, e questo fatto moltiplica gli stimoli di tutti.
L'errore
La Rabobank ha fatto il lavoro a metà. Ottima la scelta (o l'intuizione, o la coincidenza) di mandare due uomini in fuga prima delle côtes decisive (erano Weening, impagabile, e Kroon), ma se poi a una situazione del genere non si dà un seguito, è inutile ogni tentativo. Perché i due Rabobank hanno collaborato meno di quanto potevano, in quel gruppetto? Non sarebbe stato utile, a Boogerd, averli davanti nel momento della verità? Forse (ma anche senza forse) l'eterno piazzato del ciclismo contemporaneo, sapendo di poter contare su un doppio appoggio, non si sarebbe fatto sfuggire gli attacchi decisivi.