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Prove tecniche di ruggito - Intervista esclusiva ad Alessandro Ballan

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Ti avessero pronosticato all'inizio della corsa un sesto posto l'avresti sicuramente firmato. Ora che è finita e il sesto posto l'hai conquistato hai un po' di amaro in bocca o puoi ritenerti soddisfatto?
«Io la firma ce l'avrei messa ancora prima di venire su qui in Belgio, ancora prima di vincere la prima tappa a La Panne ed arrivare secondo in classifica generale. Dopo la fine della corsa, seppur ho perduto il primato a favore di Devolder nell'ultima cronometro, avevo il morale alle stelle: ho visto la squadra lavorare per me e la cosa mi ha dato coraggio ed ancora più forza. Ma ne avrei messe due di firme, non una, per il sesto posto al Giro delle Fiandre».
Quanto sono stati importanti gli eventuali consigli di Bortolami?
«Bortolami è stato importante per me sin dall'anno scorso, quando mi ha insegnato a muovermi nelle corse di questo tipo, nelle corse in Belgio. L'anno scorso sono stato a loro disposizione, sono stato al servizio della squadra, ho lavorato tanto ed ho imparato tanto. Quest'anno vedere lavorare per me gente come Fornaciari e Bortolami è motivo di grande soddisfazione. Infatti li ringrazio e li ringrazierò tantissimo e non so proprio come ripagarli».
Credi che il tuo scatto quando mancavano ancora molti chilometri all'arrivo, comunque precedente all'entrata in scena dei favoriti della corsa, sia stato il tuo segreto o il tuo svantaggio, tirando un po' le somme?
«Sicuramente mi ha favorito, perché nel momento clou della gara quando i favoriti si sono mossi per rientrare su di me, se sei un po' indietro su un muro o sei un pochino distratto è un attimo venir tagliati fuori. Diciamo che sono stato fortunato: io l'attacco l'avevo fatto per portare via due o tre corridori e provare ad anticipare i favoriti sui muri più duri. Sapevo che stavo bene e sono andato; purtroppo non mi è venuto dietro nessuno, ho recuperato gli uomini in fuga, ma erano stanchi. Al che mi sono convinto che dovevo guadagnare più tempo possibile prima delle fasi decisive, mi è andata bene, anche perché quando mi hanno ripreso non pensavo di farcela a stare col primo gruppetto sul Grammont e sul Bosberg, invece sono andato veramente forte. Peccato per il finale, mi è mancata un po' la gamba ed ho avuto anche un po' di crampi. Ma come secondo anno va bene anche il sesto posto».
Quindi la scelta di liberarti della compagnia di Zaballa Gutiérrez è stata una tattica ponderata.
«Appena l'ho raggiunto ho pensato che mi potesse dare una mano, ed ho deciso di non forzare per un po'. Poi vedevo che quando mi dava il cambio calava il ritmo e l'andatura scendeva anche di 7 o 8 km/h. Ho pensato: "Tanto vale che vada da solo!", ed infatti appena ho accelerato lo spagnolo è rimasto sui pedali».
La tua azione, con tanto di fuga da lontano di Samuele Marzoli, era stata studiata in questo modo sin dalla mattina o vi siete affidati anche alle sensazioni?
«La tattica era che un po' tutti dovevano buttarsi nelle fughe, anche se fossero partite da lontanissimo. Dovevamo cercare di non fare come l'anno scorso, quando nel gruppo di 27 corridori che andò via, dei nostri ce n'era soltanto uno. Samuele è stato bravo a prendere la fuga giusta e mettersi in evidenza per tanti chilometri, tantissimi se si considera che è un giovanissimo. Ci siamo mossi bene, e poi si era parlato di provare col sottoscritto: non da così lontano, magari un po' dopo, ma sono contento di averci provato perché alla fine è andata comunque bene».
Quando Boonen è partito in contropiede le forze già ti avevano abbandonato?
«Sai, forse le possibilità di provare ad inseguirlo c'erano, questo sì. Non so dirti se avessi in quel momento le forze necessarie o meno, forse no, ma è stato un peccato perdere quei secondi decisivi appena dopo lo scatto del belga. C'erano i due T-Mobile, e pensavo che uno si sacrificasse per riprenderlo, ma evidentemente non hanno trovato un accordo di questo tipo, ma Boonen è andato veramente forte. Ha fatto uno scatto impressionante e poi ha mantenuto un grandissimo passo. Perché comunque dietro non si andava piano, ma lui riusciva comunque a guadagnare».
Di giovani italiani che vadano bene in questo tipo di corse, al Nord, non se ne vedono molti, al momento. Quindi la tua prestazione regala un accento di importanza al nostro movimento in quel del Belgio.
«Qualche giornalista già si è affrettato a definirmi "il nuovo Ballerini" o "il nuovo Tafi"; io ho risposto discostandomi completamente da questo tipo di confronti, è troppo presto per dare definizioni. Io spero di ripetermi già dagli anni prossimi, mi piacciono moltissimo questi percorsi, anche se non mi ritengo ancora non adattissimo al pavè, perché per esempio la Roubaix che affronterò domenica prossima mi fa paura, però dove non c'è tanto pavè e dove ci sono percorsi misti con strappi credo di poter dare il meglio».
Esci dal Giro delle Fiandre col morale giusto per affrontare Gand-Wevelgem e Parigi-Roubaix da buon protagonista oppure credi che la paura di cui parli alla fine prevarrà sull'entusiasmo di questi giorni?
«No, no, dài. Il morale è alto e speriamo di far bene anche la Roubaix. Comunque prima c'è la Gand-Wevelgem dove sono sicuro che potrò far bene, o almeno spero. Intanto guardo quella e poi domenica... darò tutto anche lì. Ormai siamo in ballo, balliamo».
Comunque il Ballerini al quale ti hanno accostato disse che per vincere delle corse come il Fiandre e la Roubaix prima bisogna imparare a perderle. Se vale questo ragionamento, sei già a metà dell'opera.
«Eh sì, mi sono dato da fare per iniziare in questo senso, e speriamo di continuare così».

Mario Casaldi

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