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Ciao Mario, sei un grande - Cipollini annuncia il suo ritiro

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Mario Cipollini ci saluta. Non sarà più in sella a inseguire un nuovo successo in volata al Giro d'Italia, perché stasera il Re Leone del ciclismo ha deciso di smettere, di chiudere, di fermarsi. Una scelta che non era prevedibile, visto che dietro l'angolo c'è il suo Giro d'Italia, la gara che lo ha consacrato campione assoluto, e della quale detiene il record di vittorie di tappa (più di Merckx, più di Coppi, più di Binda).
Ma che Mario ha preso in maniera sofferta ma onesta, come lui stesso sottolinea: «Il pubblico capirà. Avrei voluto presentarmi al via di Reggio Calabria: cercare un altro successo, una nuova maglia rosa. Ma forse per un "vecchietto" come me, che ha dato molto al ciclismo e molto ha ricevuto, ora è più importante saper scegliere il momento in cui fermarsi. Ringrazio la Liquigas-Bianchi, che mi ha dato fiducia e che merita tutta la mia riconoscenza. Sono onorato di aver concluso la carriera da corridore con la maglia di questa grande squadra".
La conferenza stampa ufficiale, nella quale Cipollini spiegherà tutti i motivi che l'hanno spinto a prendere questa difficile decisione, è in programma per venerdì.
Cosa possa aver spinto il toscano ad una decisione tanto inattesa, in questo momento, non si sa. Non è pensabile che il lucchese si sia autoconsiderato non all'altezza di Petacchi, che da più di due anni sta dominando in lungo e in largo il mondo dello sprint: non sarebbe una presa di posizione degna dell'orgoglio di SuperMario. Anche se all'orgoglio si può contrapporre un sano realismo: «Visto che, malgrado tutto l'allenamento a cui posso sottopormi, mi rendo conto che non ho la sparata di qualche anno fa, meglio chiuderla qui». Potrebbe essere anche questa una chiave di lettura.
Di certo Mario Cipollini lascia un vuoto enorme, una voragine. Non si ritira soltanto un campione, ma anche e soprattutto un personaggio centrale del ciclismo degli ultimi 15 anni. Le sue prese di posizione, le sue spacconate, le sue sfide lanciate non solo ai rivali ma anche all'ordine precostituito del conservatorissimo pianeta ciclismo, mancheranno a tutti. Voleva mettersi i pantaloncini intonati alle maglie conquistate (rosa, gialle, verdi, ciclamino: tutte quelle indossate in carriera), ma un regolamento retrogrado glielo impediva. Lui insisteva, fioccavano le multe, ma all'ennesima sanzione quelli dell'Uci hanno capito che si faceva prima a cambiare il regolamento, e l'hanno cambiato.
Ha esibito mille pettinature, dalla criniera fulva (da cui il soprannome di Re Leone) al capello mesciato degli ultimi tempi; e mille trovate, dallo smoking bianco indossato su un podio del Giro alla maglia dell'Inter (regalo di Ronaldo) orgogliosamente mostrata dopo una delle tante vittorie. È stato il primo (e finora l'unico) ciclista a posare nudo per una campagna pubblicitaria, ma in generale ogni cosa che ha fatto ha avuto una risonanza globale. La sua immagine ha travalicato i confini del ciclismo, il suo nome era ed è conosciuto a tutti i livelli, lui ha condiviso con Pantani una stagione irripetibile delle due ruote italiane, entrambi paladini di uno sport che finalmente si svecchiava e abbandonava i vecchi clichè e gli antichi sapori coppi-bartaliani.
Professionista dal 1989, si rivelò subito come una ruota veloce, e vinse in successione 1 tappa al Giro '89, due nel '90, 3 nel '91 e 4 nel '92 (Adriano DeZan, suo grande amico, amava ricordare questa progressione). Poi nel '93 il suo compagno di squadra Baffi lo mandò a sbattere contro le transenne alla Vuelta di Spagna. SuperMario rischiò di rompersi l'osso del collo, perse qualche mese per recuperare, ma tornò più forte che pria.
Assomma 12 tappe vinte al Tour de France, e 6 giorni in maglia gialla; ma non ha mai portato a termine una Grande Boucle, sempre respinto dalle montagne, e questo è il suo cruccio più grande. Al Giro, tutt'altra storia: 6 giorni in maglia rosa, ma soprattutto 42 successi di tappa, uno in più del mitico Alfredo Binda. E mentre portava a termine la scalata, e via via affiancava nella graduatoria Coppi, Merckx, Bartali, Girardengo, si mostrava sempre più umile: «Ho vinto più di loro, ma non sono degno neanche di lustrare le scarpe a simili campioni».
Ha vissuto per anni con il sogno-incubo della Milano-Sanremo: secondo nel 1994, poi nel 2001, quando ormai la Classicissima era tornata terreno di caccia per gli scalatori, ma lui trovò Zabel sul suo cammino. Sembrava un treno ormai perso. Ma nel 2002, a 35 anni, è stato capace di inventarsi la stagione perfetta: primo alla Sanremo, primo alla Gand-Wevelgem (andando in fuga!), classica che aveva già vinto nel biennio '92-'93. Poi il mancato invito al Tour, la delusione, l'annuncio del ritiro. Rientrò alla Vuelta, in tempo per preparare il Mondiale di Zolder in Belgio. E quel giorno, scortato da una nazionale perfetta, fece la volata più bella, e conquistò la maglia iridata. Titolo che gli valse quello di Commendatore, conferitogli dal Presidente Ciampi. E il rispetto definitivo di tutti quanti.

Marco Grassi    

 

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