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Basso: «Penso al Giro, ma ora le Ardenne» - Intervista all'antiCunego

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(Intervista rilasciata all'indomani della Tirreno-Adriatico)
Al tuo esordio nella Milano-Torino sei sembrato in buone condizioni, e non con quei 3-4 kg in più di cui si parlava.
«Le salite pedalabili di 5-6 km sono nelle mie caratteristiche, quindi è normale che mi sia trovato a mio agio. Già nelle salite di una corsa come la Tirreno-Adriatico, dove ci vuole più ritmo, dove è necessario essere scattanti, la musica cambia un pochino. Ma sapevo di dover soffrire, sapevo di andare incontro ad un periodo di lavoro duro, anche perché mancano sette settimane e qualche giorno al Giro d'Italia; penso comunque di essere in piena tabella di marcia».
Quando leggiamo le dichiarazioni di Basso i discorsi sono sempre molto focalizzati verso il Giro d'Italia, mentre il Tour de France quasi non viene nominato. È soltanto una questione cronologica o c'è proprio un approccio diverso?
«Non lo nomino soltanto per una questione cronologica, ci mancherebbe. Il Tour de France, come si sa da un po' di tempo, è la corsa che più amo però credo che si faccia troppa confusione a parlare insieme di Giro e Tour, anche perché il Giro d'Italia, se corso da protagonista, toglie parecchie energie. E poi tra Giro e Tour ci sono cinque settimane di tempo per concentrarsi e prepararsi nuovamente, per riprendere in mano le redini della situazione e partire pronti per la nuova avventura».
L'anno scorso con il passaggio dalla Fassa Bortolo al Team Csc abbiamo visto un Ivan Basso diverso dal solito: non tanto nelle vittorie a La Mongie al Tour de France su Armstrong o al Giro dell'Emilia su Casagrande, quanto nel Giro di Lombardia vinto da Cunego. Lì c'è stato un Basso cattivo, deciso, determinato a cercare la vittoria.
«Il Giro dell'Emilia l'ho vinto di forza, non dimentichiamo che già dalla mattina avevo messo la mia squadra a lavorare per fare un ritmo importante e permettermi di giocarmi la vittoria. Al Tour de France, anche se qualcuno avesse avuto l'impressione che Armstrong mi abbia fatto vincere, poi nei giorni successivi c'è stata la riconferma, quindi piano non andavo di certo. Il Giro di Lombardia l'ho corso per vincerlo, non lo nego, e forse la voglia che avevo quel giorno non l'ho mai avuta: mi sono piaciuto davvero tanto ed ho ripreso questa stagione con più sicurezza nei miei mezzi. Infatti ora anche quando parlo delle corse tralascio un pochino la questione dei piazzamenti e punto più ad una qualità in prospettiva: poco conta essere arrivato 18° alla Milano-Torino e fino all'ultimo chilometro con il gruppo dei migliori nell'arrivo di Tivoli alla Tirreno-Adriatico. Questi non sono i miei obbiettivi, e quindi mi accontento di alcune prestazioni sottotono, anche perché attualmente non ho il "fuorigiri" nelle gambe per poter ambire alla vittoria, e quindi sono cosciente nel capire quando è ora di tirare via il piede dall'acceleratore. Magari tra una settimana mollo a 500 metri invece che a 1000, poi magari tra due settimane mollo a 300 e tra un mese mi ritrovo a fare la volata e giocarmi la vittoria».
Qui allora non si tratta più di determinazione, ma stiamo parlando di maturità.
«Io credo che quando un corridore arriva nel pieno della maturità deve sapere quando è il momento di soffrire e quando è il momento di ricevere, quando è il momento di sudare e quando è il momento di gioire. Per arrivare al top al momento giusto, cioè vicino agli obbiettivi che si hanno, si devono stringere i denti in determinati periodi: ma se si fa nel modo giusto, poi le soddisfazioni arriveranno».
Il pieno della maturità raggiunto nel Team Csc per Ivan Basso sarebbe arrivato ugualmente, con i due anni in più sulla carta d'identità, anche nella Fassa Bortolo oppure pensi che Riis ti abbia aiutato in questo percorso?
«Non lo so, è difficile dare una risposta perché qui diventa tutto un discorso di "se" e di "ma". Io posso solo dire che la Fassa Bortolo mi ha dato una parte, mentre Riis ha fatto qualcosa di diverso: ha costruito una squadra intorno a me. Mi ha dato fiducia pubblica, anche se poi le investiture fatte sui giornali sono importanti ma non fondamentali, e privata, facendomi sentire il leader della squadra. Sa darmi la pressione al momento giusto e togliermela quando serve, ed in questo è un grande».
Non solo un ruolo tecnico, dunque, ma anche un lavoro psicologico e motivazionale.
«Sì. Io sono il leader della squadra, e quando Riis mi chiama mi chiede degli altri corridori, quando siamo alle riunioni chiede sempre il mio parere: è un rapporto diverso, non lo nego. Nella Fassa Bortolo c'era un altro tipo di gestione. Le mie responsabilità qui al Team Csc sono molte di più di quante non fossero alla Fassa».
Per assurdo, correndo in una squadra danese, Ivan Basso riscopre il fascino delle corse italiane; non solo il Giro dell'Emilia e il Giro di Lombardia, ma anche il grande ritorno al Giro d'Italia da papabile vincitore.
«Già, è buffo, ma non è poi tanto assurdo: un conto è andare in una squadra straniera di livello medio-basso, dove magari ti ritrovi a dover correre le corse nel paese di affiliazione del team; un altro conto è approdare in una squadra importante dove, seppur straniera, non cambia poi molto. Sei comunque al via di tutte le manifestazioni più importanti, tra cui ovviamente quelle italiane».
Ma la tua presenza nelle competizioni italiane non era poi così frequente, prima. Il fatto che Riis chieda il tuo parere ed i tuoi consigli durante le riunioni aiuta in questa direzione?
«Sì, questo è davvero importante: quest'anno infatti abbiamo deciso di fare la Tirreno-Adriatico e non la Parigi-Nizza come nel 2004 proprio perché una si avvicina più al Giro d'Italia, soprattutto nei percorsi, molto simili a quelli che incontreremo nella prima parte del Giro, mentre l'altra si avvicina un po' di più al modo di correre del Tour de France. Credo che abbiamo fatto una buona scelta».
Tra la Tirreno-Adriatico e il Giro d'Italia ci sono però parecchie corse, tra cui quelle delle Ardenne. Sono comprese nel tuo programma?
«Sono nel programma, ma il programma è molto elastico. È elastico perché fondamentalmente è la prima volta che facciamo questo percorso di avvicinamento al Giro d'Italia, non vogliamo mettere dei paletti fissi da dover rispettare per forza. Attualmente il mio calendario prevede: Critérium International, Giro dei Paesi Baschi, Freccia Vallone, Liegi-Bastogne-Liegi. Ma le decisioni definitive non ci sono: ogni quindici giorni ci aggiorniamo e vediamo il da farsi. Quindi per le Ardenne è ancora presto per valutare».
Da chi altro sarà formato il Team Csc al prossimo Giro d'Italia?
«Con me ci saranno Peron, Lombardi, Blaudzun, Zabriskie, Vandevelde, Lüttenberger, più due corridori da decidere in base alla condizione dell'ultimo periodo (sembra che uno, Piil, già sia stato scelto proprio su indicazione di Ivan Basso qualche giorno dopo l'intervista, ndr)».
Abbiamo visto già dall'anno scorso con Jaksche e lo stesso Basso il Team Csc partire fortissimo, quasi fosse di un altro livello rispetto alle altre squadre. Quest'anno Voigt e Julich. Comunque poi questo trend medio-alto si trascina per tutta la stagione. Come mai nessuna delle altre squadre riesce, ad inizio anno, a contrastarvi come si deve?
«Il fatto che abbiamo chiuso il 2004 come il secondo team più forte del mondo dimostra la qualità dei nostri corridori e la bontà dei nostri programmi. Il discorso di inizio stagione potrebbe essere facilmente trasferibile alla Fassa Bortolo: anche loro con Petacchi e Kirchen, soprattutto, hanno vinto già molto. Abbiamo, sia noi che la Fassa, dei corridori abili ad andare forte ad inizio stagione. Prendiamo Voigt: è sempre andato forte ad inizio stagione, anche quando correva nella Crédit Agricole. Abbiamo un metodo di lavoro particolare: da inizio anno abbiamo già svolto 27 giorni di ritiro, e sono tanti. Se provi a fare un giro di domande ti accorgerai che nessuno arriva a tanti giorni di ritiro. Avere determinati tipi di corridore e prepararci in modo molto serrato di certo aiuta una partenza sprint di alcuni rispetto ad altri».
Hai già provato a vedere se il rosa ti dona?
«No, non me la metto neanche se provano a convincermi con la forza».
Sei scaramantico?
«Mi hanno regalato anche un leoncino del Tour, era un regalo per la mia bambina, ma non l'ho voluto; per scaramanzia non l'ho voluto».
Peron tempo fa ha dichiarato che un terzo posto al Tour de France vale, per qualità, una vittoria al Giro d'Italia. Ti senti di condividere questa sua affermazione?
«Qualitativamente ha un grosso spessore il podio al Tour de France, ma questo non sono certo io a scoprirlo, né a dirlo per la prima volta. E non lo dico perché l'ho raggiunto, sia ben chiaro, ma lo dice la stessa storia del ciclismo. Per visibilità, per un determinato modo di correre la gara, per l'agonismo che si respira. Però vincere il Giro è sempre vincere il Giro. Non mi piace molto scindere le cose: io vivo con molta serenità il mio podio al Tour, la reputo una bellissima parentesi della mia carriera; se vincerò il Giro sarà un'altra bellissima parentesi della mia carriera; se vincerò il Tour ne sarà una ulteriore, però magari non ne vincerò mai nessuno. Magari farò dei gran secondi, terzi, quarti o quinti posti, comunque saranno esperienze belle e significative della mia carriera, perché io faccio il massimo, e quindi sono tranquillo».
Avere la coscienza a posto. Quindi è questo il tuo massimo obbiettivo?
«Sì. Magari faccio secondo al Giro, e allora tutto cambia: non si possono fare rapporti numerici tra le due corse, non mi piace. Un secondo posto al Giro varrebbe in caso meno di un terzo al Tour, e non mi ci trovo, non è per me. Io corro per vincere, ma non corro da solo».

Mario Casaldi    

 

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