Alessandro, è proprio iella - Petacchi cade, McEwen folleggia
Che inventore, quel McEwen. Ha vinto la sua seconda tappa in questo Giro d'Italia, settima della sua carriera nella corsa rosa, e l'ha vinta in maniera entusiasmante, di testa prima ancora che di gambe, dando a tutti un saggio della sua scaltrezza.
McEwen non ha un treno, e del resto probabilmente non saprebbe che farsene. Perché lui è quello che ogni volta estrae dal cilindro una volata diversa, e se non facesse così si annoierebbe a morte: lanciato in maniera chirurgica dal treno dei compagni, senza scapellare mai di un secondo? Ma quando mai! Meglio improvvisare, prendere la ruota di chi c'è e provare a saltare in testa agli ultimi 100 metri, oppure stare nascosto tra un rivale e l'altro per spuntare sul più bello, o ancora scartare in maniera imprevedibile, o addirittura lanciarsi all'americana con un compagno. Il campionario è ricchissimo, e non si esaurisce certo qui. Oggi, per dire, abbiamo assistito ad una nuova trovata del fantasioso australiano.
A poco più di un chilometro dalla fine, complice l'autoeliminazione (come vedremo poi) del treno Fassa Bortolo, era Robbie a trovarsi davanti, in compagnia del solo Vogels che lo precedeva. Fare tutto in due? Impossibile, troppa strada. Sfilarsi di qualche metro per prendere la ruota di qualcun altro? Difficile scendere di giri e poi ripartire in maniera efficace in un così breve volgere.
Ecco allora il colpo di genio e di teatro: McEwen rallenta, e lascia che Vogels se ne vada in allungo. Da dietro ci mettono qualche metro a capire che le cose precipitano: giusto il tempo, per Robbie, per respirare e per disporsi a giocare come preferisce, di rimessa, lasciando l'inseguimento agli altri. Sella prova a saltare su Vogels, ma non lo raggiunge prima che il gruppo, in rimonta, gli sia di nuovo addosso. Con il luogotenente ormai alla frutta, per McEwen è il momento di rispuntare di nuovo fuori: accelerazione decisiva, vittoria, maglia ciclamino riconquistata. Applausi.
Il rovescio della medaglia è Alessandro Petacchi che finisce per terra a 3 km dalla fine e aggiunge un giorno al conto alla rovescia per il suo riscatto. C'è una componente evidente di sfortuna: chi poteva pensare che proprio gli esperti locomotori targati Fassa sarebbero usciti fuori strada?
Ma oltre a ciò, c'è da considerare anche che c'era troppa foga nell'azione dei biancoblù di Ferretti. La foga di chi è qui da una settimana e non ha ancora cancellato lo 0 dalla casella "vittorie", malgrado di tutt'altro tenore fossero i piani della vigilia. Invece la Fassa, per un motivo o per l'altro, si trova a inseguire se stessa. Già si sapeva che non sarebbe stato possibile ripetere il Giro 2004. Ma qui i conti iniziano a non tornare in maniera netta, e allora ecco l'ansia da prestazione: Bruseghin e Ongarato hanno voluto prendere una curva troppo velocemente, in barba a inscalfibili leggi fisiche. Per questo, cadono.
Cadono e coinvolgono nella disfatta il povero Petacchi, che probabilmente vincerebbe pure, se solo riuscisse a disputare una volata. Si lamentano, i compagni di Alessandro Dinamite, perché il circuito, secondo loro, era troppo pericoloso. Sono caduti in una curva a 3 chilometri dalla fine, per di più dopo essere passati in quel punto già due volte in precedenza. Allora, se lo sport del giorno è cercare a tutti i costi degli alibi, si può accettare la giustificazione di Velo e soci. Ma se si vuole essere un minimo obiettivi, non si sfugge dal considerare che l'errore è tutto dei Fassa. Intendendo "a tutti i livelli", dalla dirigenza tecnica (che non ha proposto alternative serie al "Tutti per Ale") alla manovalanza che si occupa di far filare il treno in corsa.
Ora, comunque, ci saranno due giorni in cui i riflettori si sposteranno su altri personaggi. Niente di meglio per cercare un po' della tranquillità perduta, per ricaricare le batterie e per ritrovare un po' di fiducia in se stessi. In fondo, di tappe per velocisti ce ne sono ancora diverse: il tempo per fare un bottino ricco c'è ancora.