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Reportage Lampre - Intervista a Saronni: «Cunego può vincere più di me»

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Iniziamo la nostra chiacchierata, caro Saronni, col ciclismo pedalato. Nella volata di Bormio 2000 al Giro d'Italia 2004 si è rivisto nell'azione di Cunego o il paragone è prematuro?
«Devo dire la verità, mi rivedo un po' nella caratteristiche di Cunego, un corridore molto completo: giovane, veloce per cui vincente, tiene molto bene in salita, a cronometro vista la giovane età può migliorare, quindi può diventare ancora molto più completo e competitivo. Tutto sommato mi rivedo abbastanza in lui, ma non solo nelle caratteristiche tecniche, bensì anche nel carattere: è brillante, intelligente, capace di affrontare circostanze abbastanza difficili, come ha dimostrato nel gestire certe situazioni che si sono create nel Giro d'Italia scorso. Damiano dimostra molto più dell'età che ha, e gli auguro di vincere più di me, anche perché ne ha le doti».
Passando alla fase organizzativa e manageriale, crede che la cancellazione di corse importanti come il Pantalica, l'Etna, il Liguria sia una diretta conseguenza del Pro Tour?
«Non ritengo che il Pro Tour sia la causa della cancellazione. Sicuramente questa riforma del ciclismo ha portato ad una ristrutturazione del calendario, però non è, purtroppo, solo questa la causa. Parliamo di corse che già negli ultimi anni avevano dei problemi, che quest'anno si sono accentuati arrivando al culmine».
Da chi derivano i problemi preesistenti di cui parla? Dagli organizzatori, dalle squadre, dalla Federazione?
«Direi che c'è una concorrenza un po' di tutte le cose che ha elencato: dobbiamo dire anche che nel ciclismo esiste un calendario "impressionante" in confronto agli altri sport, quindi una rivisitazione anche da quel lato ci voleva. Purtroppo ci rimettono delle gare storiche ed importanti del nostro calendario, ma ogni riforma ha le sue conseguenze».
In vista del prossimo appuntamento delle elezioni federali, Saronni quale candidato ritiene giusto per un miglioramento del sistema ciclistico italiano?
«Sinceramente sono un po' fuori da questi "giochi". Tra i candidati conosco Di Rocco perché è stato già Segretario della FCI negli anni '70-'80 e conosco la sua capacità e la sua esperienza nel campo del ciclismo, ma se devo dare delle preferenze non sono sinceramente in grado di valutare. L'importante è che chi sarà eletto si impegni a fare del bene, o del meglio, per questo sport».
Come giudica la questione tra i Pro Team ed i Continental sollevata dal ds della Fassa Bortolo Ferretti riguardo la concomitanza di partecipazione in gare di queste due categorie di squadre?
«Credo che ci sia stato un po' un equivoco, non è stata capita la proposta di Ferretti. Non c'era comunque, nelle intenzioni, la volontà di creare alcun divieto da parte delle squadre Pro Tour nei confronti di altre squadre. Volevamo solo chiarire alcune posizioni e regole che delle squadre hanno ed altre no».
I soliti problemi economici, quindi?
«No, no, assolutamente: il problema è di partecipazione, di regolamenti. Le squadre Pro Tour hanno alcuni obblighi, come quello di garantire gli stipendi agli atleti, dei controlli medici, le garanzie a livello internazionale delle finanze delle società, controlli societari; c'è una sorta di regolamento complicato che alcune squadre hanno ed altre no. Non c'era assolutamente la volontà di non far partecipare delle squadre a delle corse».
Come si sono sviluppate le vicende di Astarloa e Figueras?
«Il problema vero e grosso è stato creare un gruppo dalla fusione di due squadre: le regole ti dicono che devi stare nei 25 corridori, quindi per ridurre la rosa da 33-34 corridori a 25 qualcuno dovrà pur restar fuori. Ad Astarloa abbiamo comunque dato la liberatoria per accasarsi dove voleva, quindi direi che siamo riusciti ad accontentare un po' tutti. Giuliano Figueras è un corridore che è riuscito a rimanere nell'organico, un ragazzo che ci interessa per le caratteristiche tecniche che ha, dato che ha le capacità di stare vicino a Cunego e Simoni, ma anche di poter ottenere dei risultati personali. Mettere assieme tutto è stato un po' complicato, ma direi che il risultato è più che buono».
Il caso di Astarloa è stato un po' nel mezzo delle cessioni di Celestino e Di Luca e l'arrivo di Figueras. La risoluzione contrattuale con lo spagnolo è stata programmata con la consapevolezza di arrivare all'ex Panaria, e quindi certi di mantenere un corridore in organico con determinate caratteristiche, oppure avete di rischiato di restare senza?
«Abbiamo cercato di favorire i contratti dei corridori che ci interessavano di più. Se il gruppo è costruito nel triennio intorno a Simoni e Cunego perché possa lavorare per gli obiettivi di Giro d'Italia e Tour de France, dobbiamo mettere vicino a questi due corridori atleti in grado di assecondare questo progetto. Figueras è senz'altro più adatto di Astarloa a svolgere il doppio ruolo (gregario nei Giri e corridore da classiche), visto che lo spagnolo è un cacciatore di classiche puro».
La questione della visibilità e della tv. Come giudica l'impegno della Rai?
«Il Pro Tour dovrebbe risolvere in parte queste questioni, ovviamente sono perfettibili, ma la strada intrapresa è senz'altro verso una più ampia visibilità. Nelle gare più importanti è fondamentale garantire che ci sia la copertura televisiva, non solo presenza però, ma anche di un certo livello».
Per giustificare l'esborso economico degli sponsor?
«Ovviamente, anche se il problema rimane per quelle gare nazionali che non avranno troppe possibilità di essere viste, ma si spera di trovare con la Rai un accordo soddisfacente per garantire almeno alle gare più importanti del calendario, almeno nazionale, un certo grado di visibilità».
Un canale tematico della FCI sulla televisione satellitare può risolvere il problema?
«Ci sono varie proposte che si stanno portando avanti. Però io dico che a livello nazionale abbiamo corse importanti, di grande memoria, che non devono andar perse...»
...E che meritano di più di 40 minuti di differita su Rai Sport Sat, non crede?
«Io credo, vista anche la storia del ciclismo italiano, che ci debba essere un pacchetto di gare nazionali che devono essere trasmesse, poi noi sappiamo che non si può far vedere tutto, però spostare tutte queste gare sul satellitare non credo sia la cosa migliore, certo è che rappresenta un'eventualità da studiare».
La Carta Etica del ProTour. Non le sembra che sia una carta che conferisce una sorta di plenipotenziarietà all'UCI negli ambiti di prevenzione, regole, sanzioni ed aspetti economici? L'UCI organizza il Pro Tour, quindi è in conflitto di interessi concreto, perché alcuni casi di positività potrebbero danneggiarne l'immagine e mettere in crisi alcuni contratti commerciali in essere, quindi potenzialmente l'UCI, e gli organizzatori che tutela, potrebbero avere interesse ad insabbiare alcuni esami.
«È una scelta difficile, ma a noi serviva uscire da una situazione molto complicata. Il ciclismo sta cambiando, è cambiato, abbiamo dei volti nuovi, il ciclismo è cambiato veramente tanto, ha cambiato veramente pagina. Non sono solo io a dirlo, né devo dirlo per forza, ma è un po' il sentore di tutti».
Se ci fosse un'indipendenza dell'istituto antidoping non ci sarebbe maggiore trasparenza?
«L'UCI è quello che detta le regole, poi sappiamo che per i controlli ci sono organismi tipo la WADA che sono indipendenti, ma secondo me ci siamo abbastanza. Poi in tutte le riforme ci sono cose buone e cose meno buone, l'importante è percorrere la squadra giusta. Questo Codice Etico non fa altro che richiamare i gruppi sportivi più importanti ad un discorso etico, quindi è un motivo in più per stare attenti e curare un po' meglio determinati aspetti, assolutamente fondamentali».
Quanto si rischia che un corridore licenziato tramite il punto XII ("Durante un periodo di quattro anni dopo la condanna, non ingaggiare nella propria squadra alcun elemento che sia stato condannato per una violazione volontaria del regolamento antidoping dell'UCI") a cui non verrà data la possibilità di lavorare per 4 anni denunci l'UCI vincendo la causa in tutti i tribunali del mondo (seguendo un po' la linea della "legge Bosman" nel calcio)?
«Questo è vero, potrebbe succedere. È una regola discutibile, ma anche noi come gruppi sportivi abbiamo valutato in questo senso, ma purtroppo se non si dà un segnale forte non riesci a venirne fuori».
Non era più corretto dare possibilità di discrezionalità alle squadre piuttosto che costringerle? O magari far giungere un accordo i Gruppi Sportivi stessi?
«Queste sono cose molto delicate: se 20 squadre (quante quelle del Pro Tour, ndr) non prendono un corridore si crea un "cartello", ed anche questo non è normale, non sta nelle regole del gioco. Sono tutte cose che devono dare un segnale forte, anche se devo dire le verità: non credo che ci saranno situazioni complicate e difficili in questo senso. I corridori e le squadre hanno capito che è cambiata un'epoca. Potrà esserci qualche strascico di quei problemi che perdurano da anni, ma credo che poi non avremo più di queste cose».
Il XII punto rimescola un po' tutto dicendo: "Tutte le difficoltà di applicazione degli articoli da VIII a XII saranno sottoposte al presidente della commissione delle licenze o del suo sostituto designato, la cui decisione sarà definitiva ed esecutoria e non potrà essere suscettibile di alcun ricorso".
(Ride) «Chi gestisce una squadra, dei corridori, non ha tutto così perfettamente chiaro. Quando si tratta di regole e leggi le contestazioni sono all'ordine del giorno. Il presidente può decidere di applicare o no determinati punti, oppure se ci siano delle motivazioni per cui può essere o meno applicato. Ma la possibilità di appello va assicurata, e l'esempio della Phonak ne è la conferma».
Una possibilità d'appello che dovrebbe essere esterna all'UCI.
«Anche da una commissione che ha degli esponenti dei vari componenti: avvocatura dell'UCI, ma composta anche da persone indipendenti (come i gruppi sportivi ed i corridori). Credo che sia un insieme di persone che possono valutare la situazione sotto i vari aspetti, non solo sotto quello dell'UCI. Poi i meccanismi si perfezioneranno nel corso degli anni, sperando non ce ne sia mai bisogno. Il problema è che i processi che sono in corso (Sanremo 2001, ndr) stanno diventando troppo lunghi, e lo sport non è in grado di poter aspettare tanto per un giudizio per i propri tempi».


Mario Casaldi    


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