Reportage Lampre - Intervista a Cunego: «Sarà difficile confermarmi ai livelli del 2004»
Versione stampabileCom'è cambiata la prospettiva della vita di Damiano Cunego dal 227° posto della classifica UCI del 2004 al 1° posto della stessa classifica ottenuto a fine 2005?
«È cambiata, molto: ma in positivo. Adesso, rispetto all'anno scorso, ho sicuramente molte più pressioni addosso, ma lo accetto: sicuramente è uno degli aspetti del mio mestiere. L'importante è mantenere intatta la voglia di essere un corridore, di fare sacrifici durante gli allenamenti, l'ambizione di puntare sempre più in alto. E questo è possibile solo conducendo una vita da atleta».
Sei giovanissimo, hai 24 anni non ancora compiuti. Ti pesa dover condurre questo tipo di vita e magari privarti di qualche divertimento in più che parecchi ragazzi della tua età si concedono?
«Io sono sempre stato abituato sin da piccolo a stare in famiglia, a condurre una vita tranquilla. Ci sono anche gli amici, quello è ovvio, ma dal momento che faccio un lavoro così importante i sacrifici dell'andare a letto presto la sera piuttosto che altri sono la prima regola da seguire. E poi lo faccio molto volentieri, non mi pesa affatto, visto che lo faccio per uno sport che amo e per un lavoro che mi gratifica molto».
La condizione palesata dal Team Csc, la squadra di Ivan Basso, in questo inizio stagione ti preoccupa un po' in vista del Giro d'Italia?
«No, assolutamente. Loro hanno una loro preparazione, una loro tabella, dei traguardi. La mia prevede determinate corse che sono già stabilite. Io faccio il mio e gli altri fanno il loro: vedremo alla fine quale lavoro pagherà meglio».
La loro condotta di gara, però, è parecchio fantasiosa. Ventagli, fughe di gruppo: tutte cose che difficilmente si vedono in Italia.
«Sì, la loro mentalità è diversa dalla nostra. Sono una squadra danese, ed hanno la prerogativa di partir forte ed essere aggressivi: niente altro sono i ventagli, se non una forma di aggressione verso la corsa. Noi italiani corriamo in una maniera diversa, più posata: in questo modo risparmiamo parecchie preziose energie. Meglio, se punti ad attaccare nei momenti determinanti».
Il tuo tallone d'Achille continua ad essere l'esercizio contro il tempo. Quali sono gli accorgimenti che hai seguito e seguirai durante il 2005?
«Mi sto già preparando, inoltre stiamo facendo degli studi sulla bicicletta da usare nelle cronometro per cercare di migliorare la posizione, dato che quella di quest'anno non era efficace, anzi, diciamo pure che faceva schifo. Per la preparazione atletica sto seguendo dei programmi specifici dedicati all'esercizio, poi porterò anche la bici a casa in modo da avere più feeling con il mezzo. Dopo il ritiro inizierò ad utilizzarla più frequentemente, conto di farlo almeno due volte la settimana».
Vista la tua partecipazione alla Vuelta a Murcia, ci sarà la possibilità di vedere una dedica di Cunego a Marco Pantani sul Collado de Bermejo in stile Di Luca 2004?
«Io, come ogni anno, trovo la condizione migliore verso i primi giorni di aprile, quindi in tutte le gare che faccio prima in genere soffro un po' per migliorare la condizione, per questo non assicuro niente di particolare. Rispetto all'anno scorso sono un po' più avanti nella preparazione, ma non troppo: mi dispiace per la dedica, però ci saranno senz'altro atleti molto più preparati di me».
Ti alleni ancora sul Passo Fittanze? Hai migliorato il tuo record ultimamente?
«Lo faccio tre volte l'anno perché è una salita molto dura, con pendenze che sfiorano anche il 20% nei punti massimi. La faccio poche volte, ma ben mirate, proprio per vedere quali sono i miei limiti. Il record di scalata è dell'agosto 2003, 46'29", ma se la facessi adesso potrei fare sicuramente meglio».
Nei tuoi programmi prima del Giro d'Italia c'è ancora il piccolo dubbio che riguarda la corsa che correrai oltre la Freccia Vallone. Sarà l'Amstel Gold Race o la Liegi-Bastogne-Liegi?
«A me piacerebbe correre Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi: sono le due gare più prestigiose. Senza nulla togliere all'Amstel Gold Race, sono le due classiche belghe le corse che mi piacciono di più e che vorrei veramente correre».
Mentre per quanto riguarda il finale di stagione, il Giro di Lombardia sarà nuovamente terreno di caccia grossa per Damiano Cunego?
«Non so quest'anno in quale condizione ci arriverò, dato che abbiamo deciso il doppio appuntamento con il Giro d'Italia ed il Tour de France. Al Giro punto chiaramente alla vittoria, mentre in Francia conto di prendere le misure e fare esperienza per tornare competitivo tra qualche anno, quindi nel finale di stagione potrei pagare questi due grossi sforzi. A quello ci penserò dopo il Tour».
Il Giro di Lombardia è stata la corsa che ti ha portato in vetta alla classifica Uci e ti ha dato la dimensione di atleta duttile che non tutti ti riconoscevano.
«Il significato del Lombardia 2004 è molto importante per me: è stata una bella vittoria, credo anche per chi guardava. Ho corso rischiando di perdere, è vero, anche perché ho trovato un grandissimo rivale che risponde al nome di Ivan Basso, ma alla fine è andato tutto bene, ed è stato importante aggiungere una gara di Coppa del Mondo al mio palmares».
L'accoppiata Giro-Lombardia ha richiamato alla memoria un certo Eddy Merckx.
«Ho letto che Merckx era stato l'ultimo a fare questo tipo di doppietta: è un onore. È difficile al giorno d'oggi trovare ciclisti che corrono i Grandi Giri e le grandi Classiche per puntare a vincere in entrambe le competizioni. Io lo faccio, e da questo punto di vista non è stato neanche tanto difficile: lo scorso anno mi ero prefissato di andare bene in primavera, ed è venuta l'inaspettata, per certi versi, vittoria del Giro d'Italia. Dopodiché ho pensato al finale di stagione ed al Mondiale nella mia Verona, ed è arrivata la vittoria al Giro di Lombardia. Direi senz'altro un'annata positiva, condita anche da una buona dose di fortuna».
Paolini terzo sulla linea d'arrivo a Verona te lo saresti aspettato?
«No, a dire la verità. È stato bravissimo anche perché la sua volata ha salvato un po' il lavoro di tutta una giornata dopo il ritiro di Bettini: questa sventura aveva complicato un po' le cose visto che si erano rimescolate parecchio le carte. Io e Basso abbiamo corso da protagonisti, ma con scarse velleità per emergere, visto che la salita delle Torricelle non era dura come si pensava. Luca Paolini è stato bravo a conquistare un bronzo importantissimo con una bella volata».
Se quella volata l'avesse disputata Cunego?
«Non sarei arrivato di sicuro primo perché c'era Freire che andava troppo forte, però quarto, quinto o sesto erano piazzamenti alla mia portata».
Dopo il ritiro di Bettini ti è stato dato il via libera per provare ad andare da solo oppure Ballerini voleva preservare la volata di Paolini?
«Non solo io, ma anche Basso ha provato a scattare, ma Freire ti veniva a riprendere addirittura in salita. Quel giorno era veramente il più forte, ed aveva perlopiù cinque compagni di squadra con sé. Un po' troppo difficile, in quelle condizioni, provare a batterlo».
L'ultima tappa del Giro d'Italia di quest'anno partirà da Albese con Cassano, la città di Fabio Casartelli, l'olimpionico di Barcellona 1992 morto durante il Tour de France. Hai qualche ricordo di Fabio?
«Quando è successa quella disgrazia io ero giovanissimo, tra l'altro non avevo ancora iniziato ad andare in bici. Ne avevo sentito parlare all'epoca soltanto in televisione, ma da come ne parla chi lo ha conosciuto il ciclismo ha perso un grande atleta ed un bravo ragazzo. A giugno ho disputato il Circuito in memoria di Casartelli ed ho avuto modo di conoscere la moglie ed il figlio: mi ha fatto molto piacere parteciparvi, una manifestazione davvero sentita e toccante».
Il campo dei pretendenti alla vittoria del Giro d'Italia pare quest'anno aumentato. Chi temi di più?
«Con l'avvento del Pro Tour non ci sarà da pensare soltanto a Basso, Garzelli, Savoldelli e Cioni, ma anche a Beloki, a Vinokourov, a tutti gli stranieri che si presenteranno al via di Reggio Calabria. Ne guadagna lo spettacolo, anche se sarà più dura per tutti, a partire da me».
I vari Bertagnolli, Scarponi, Caucchioli, cioé quegli italiani che hanno scelto di andare a correre all'estero per cercare di disputare il Giro d'Italia da capitani, ti preoccupano o li consideri di secondo piano?
«Li conosco abbastanza bene, soprattutto Bertagnolli, e sono forti, indubbiamente: però magari fossero solo loro gli avversari. Ci saranno anche tutti gli altri. Sarà comunque bello vedere questi ragazzi sgravati dal lavoro di gregari come risponderanno nel fare la loro corsa. Qualche sorpresa da parte loro è possibile».
Com'è l'affiatamento con i nuovi compagni scaturito dal ritiro?
«Il ritiro di quest'anno è andato molto bene, sia dal punto di vista degli allenamenti, grazie ai bei percorsi, a un bel clima, a un bel tempo, che dell'affiatamento con i nuovi compagni di squadra, sia con coloro che venivano dal gruppo Lampre dello scorso anno, sia con i neoprofessionisti. È nato senz'altro un bel gruppo».
Tu come ti senti?
«Bene, bene. Consapevole che avrò un anno difficile, l'anno della riconferma: la mia stagione più difficile da fare, ne sono convinto».
Un pregio e un difetto di Damiano Cunego: sia nel ciclismo che nella vita di tutti i giorni.
«Il mio pregio è senz'altro la pazienza, e aggiungo la bontà; un difetto è la scontrosità che mostro quando qualcuno cerca di darmi un consiglio per migliorare. Ciclisticamente parlando vedo le doti di recupero come uno dei miei migliori pregi; mentre il difetto riguarda il discorso cronometro, aspetto su cui dovrò lavorare».
Il tuo soprannome è confermato essere il "Piccolo Principe"?
«Il "Serpente", che deriva da uno dei miei miti, Jim Morrison, mi sembrava un po' troppo viscido per un ciclista, quindi per ora "Piccolo Principe" è quello che mi piace di più. Se qualcuno però si impegna a trovarmene uno che mi piaccia davvero sarò felice di adottarlo».
Quanto sei contento che in questa intervista non ci sia stata, finora, una domanda che riguarda Simoni?
«Ah, perché, c'è anche quella?».
No, no, tranquillo.
«Vabbè, comunque avrei risposto, anche perché io e Simoni possiamo andare d'accordo, per cui se ci riusciamo ecco che i problemi li dovranno risolvere gli altri».