Il Portale del Ciclismo professionistico

.

Parola d'ordine: coinvolgere la base - Intervista a Simone Molinaroli, candidato alla presidenza della FCI

Versione stampabile

Si chiama Simone Molinaroli, è stato corridore per 11 anni, poi è diventato tecnico (7 anni con Giovanna Troldi), ha avuto incarichi federali in Veneto (tutto su di lui all'indirizzo www.simonemolinaroli.it), ed ora, a 38 anni, ha deciso di compiere il grande salto e di candidarsi alla presidenza della Federazione, in vista delle elezioni che si svolgeranno tra fine febbraio e inizio marzo 2005 e che dovrebbero sancire la fine dell'epoca Ceruti.
Signor Molinaroli, cosa la spinge a candidarsi?
«La voglia di riconsegnare la Federciclismo a chi ha competenze sul campo, chi come me è sempre stato operativo ma emarginato dalle alte sfere. Non ho rivendicazioni da fare, né ambizioni di carriera politica, per me la presidenza non sarebbe un trampolino ma un posto da cui guidare un ciclismo nuovo, con gli uomini giusti ai posti giusti».
Che cosa c'è da cambiare urgentemente nella gestione del ciclismo italiano?
«Bisogna coinvolgere la base, rendere il cammino decisionale più democratico di quanto non sia oggi: occorre ridare fiducia ai nostri 65mila tesserati, che sono stati sempre emarginati e che hanno perciò perso fiducia nel vertice e passione: nessuno li ha mai interpellati per sapere come la pensano, sarebbe una vera rivoluzione in questo mondo. Poi va promossa l'attività, bisogna organizzare più gare, a tutti i livelli. E bisogna fare informazione e formazione: molti dei delegati che voteranno a febbraio non conoscono il meccanismo dell'elezione; i tecnici devono essere messi al corrente delle nuove metodologie di allenamento; gli stessi atleti devono avere maggiore consapevolezza di quello che gli può essere più o meno utile per la loro attività. Occorre quindi aumentare il livello di conoscenze dell'intero movimento per renderlo migliore».
E cosa invece salva della gestione di Ceruti?
«Non voglio fare riferimento al presidente in carica, anche se penso che qualcosa di buono ci sia stata, e naturalmente baderei a preservare gli aspetti positivi dell'attuale gestione».
Quindi non vuole sbilanciarsi sull'operato di Ceruti, che pure ha causato del malcontento diffuso?
«No, vado per la mia strada; noto che è molto facile denunciare quello che non va, ma al momento di proporre le soluzioni nessuno si fa avanti. Forse dipende dal fatto che la base, come dicevo prima, è stata a lungo messa da parte, mai interpellata, magari faceva comodo così. Di certo la mia impronta prevederà che non debbano esserci favori e debiti politici da saldare: se verrò eletto nominerò a capo delle varie commissioni degli uomini che si sono "fatti" sul campo, e non dei delegati da ringraziare. La struttura tecnica dovrebbe essere affidata a un tecnico, la commissione dei direttori di corsa a un direttore di corsa, quella dei giudici di gara a un giudice di gara».
Ci tiene molto a prendere le distanze da un modo di fare "politico".
«Lo ripeto, sono un tecnico, e non sono attaccato al potere. Vengo dalla strada, voglio solo il bene del ciclismo. Inizierò ad agire dopo aver conosciuto per bene sul campo ogni ambito in cui dovrò intervenire, e mi baserò sempre sull'esperienza dei tanti tesserati che lavorano nel ciclismo. In maniera del tutto democratica. Per sottolineare ciò, basti dire che non ho un vero e proprio programma dettagliato: parto da linee di massima, ma quel che c'è da fare lo vedrò giorno per giorno, a seconda delle priorità. Avrebbe senso stilare oggi nei minimi particolari un programma valido quattro anni?».
Alcuni punti caldi vanno comunque sviscerati, programma o non programma. La pista va malissimo, per esempio.
«Va rilanciata, organizzando gare e coinvolgendo sponsor e istituzioni. Occorre ritrovare i tecnici, per ricostruire un settore smantellato negli ultimi anni, e pianificare con loro, non lasciare che tutto ricada sulla volontà dei singoli. Infine, smetterla di nascondersi dietro il paravento della carenza di strutture: in molti paesi esteri la pista va bene anche in assenza di velodromi coperti».
Che però indubbiamente aiutano. Dal Vigorelli a Milano alla struttura dell'Eur a Roma, al velodromo degli Ulivi a Monteroni di Lecce, dal Nord al Centro al Sud tali strutture sono ormai da anni abbandonate in condizioni disastrate. Pensa di poterle recuperare?
«Ho già detto di non essere un politico, perciò non posso fare promesse a vuoto. Certo, l'intento c'è, ma non so che tipo di risorse economiche troverò se sarò eletto; posto che dei fondi ci siano, o vengano trovati, verranno poi destinati secondo le priorità del momento».
Come conterebbe di aumentare le entrate federali?
«La FCI è come un'azienda, bisogna fare dei piani di marketing, creare dei pacchetti interessanti e venderli agli sponsor. Lo fanno le squadre, perché noi non possiamo? Credo che, pur senza avere un ufficio preposto, potremmo basarci sul volontariato, tra i 65mila tesserati: tra di loro c'è di sicuro qualcuno con le giuste competenze in questo settore».
Altro punto dolente: il Sud, emarginato dal ciclismo che conta. E quando nasce un buon ciclista nelle regioni meridionali, è costretto a emigrare al Nord per correre.
«E' vero. A livello giovanile non dovrebbe essere arduo far partire un circolo virtuoso, visti i costi molto contenuti richiesti dal mantenimento dell'attività nelle categorie minori. Salendo di livello aumentano i problemi, e non si vede all'orizzonte come sviluppare della buona attività elite. Proporremo dei progetti diversificati al posto dei contributi a pioggia: bisognerà impegnarsi di più nelle regioni che stanno più indietro, e non me ne vorranno i veneti o i lombardi, che hanno a disposizione un movimento florido».
Molti giovani pensano che il ciclismo sia uno sport "da vecchi". Che vogliamo fare per conquistarli?
«Andare nelle scuole, sensibilizzarli, proporre ai bambini un orizzonte che preveda gioco, divertimento, e non sacrifici e vita grama: se si prende un ragazzino di 7 anni e lo si mette a pedalare e basta, dopo un po' si annoia e scende dalla bicicletta. Dobbiamo valorizzare invece la dimensione ludica di questo sport, promuovere un'attività invitante anche per i più piccoli».
Come si pone nei confronti del nascente Pro Tour? Pensa che alcune corse italiane (Giro del Lazio, per esempio) siano bistrattate dal nuovo calendario?
«Mi prendo un po' di tempo per giudicare: vediamo come si evolve questa riforma, anche se per certi versi l'Uci non ha fatto altro che codificare delle regole che bene o male erano già esistenti. Vedo risvolti positivi nella gestione economica delle squadre, forse non assisteremo più alle vicende di ciclisti che corrono senza prendere lo stipendio. Anche se nel frattempo bisogna prendere atto di un aumento del numero dei professionisti disoccupati».
Torniamo ai punti caldi: i diritti televisivi. C'è già chi guarda terrorizzato a un ciclismo futuro criptato, mentre la Rai trascura, oltre alla Vuelta, una marea di corse italiane, relegate a sintesi o differite satellitari.
«In effetti c'è da muoversi. Lo spazio che attualmente il ciclismo ha in tv mi sembra risicato, occorre fare di più».
In che modo? In prospettiva, è pensabile un canale televisivo della Federciclismo, sul satellite o sul digitale terrestre, su cui trasmettere tutte le corse del calendario italiano, dai professionisti ai ragazzi alle ragazze?
«E' una possibilità, un'ipotesi che rientra nel nostro progetto di marketing. Resta da vedere come e quando attivarsi, ma è una strada che dovremmo provare».
Nazionale: c'è qualcosa da riformare?
«Negli ultimi anni ci sono stati dei successi importanti che vanno rispettati; questo non vuol dire che non si possa intervenire a monte per puntualizzare qualcosa. Credo che si dovrebbe guardare ai risultati con spirito costruttivo e obiettivo, senza l'intento di strumentalizzare questa o quella medaglia. Si può perdere malgrado un grande movimento alle spalle, e si può vincere con il nulla dietro: è quello che è successo fra le donne elite con Tatiana Guderzo, che a Verona ha vinto un argento per la sua personale bravura e non perché era supportata da un movimento competitivo. Eppure sono venuti a raccontarci che il ciclismo femminile in Italia non è in crisi: ma basta guardare il calendario delle gare, poverissimo di appuntamenti, per rendersi conto che la crisi invece è pesante».
Abbiamo parlato di tutto tranne che di una cosa, e avrà già capito quale...
«Il doping, una piaga da combattere. Si può puntare sulla repressione: se ho una valida struttura di controllo, sono tranquillo. Ma il problema è che tale struttura non c'è, e o i controlli non sono del tutto efficaci, oppure non sempre vengono attuati. E allora resta da battere l'altra strada: quella dell'informazione. Sono convinto che se si facesse una seria e dettagliata campagna informativa dei rischi che i ciclisti corrono dopandosi, molti di loro rinuncerebbero ad assumere sostanze tanto pericolose. In ogni caso sono anche d'accordo che debbano esserci sanzioni esemplari, che non guardino in faccia a nessuno, e che la FCI non dovrebbe prestarsi a giustificare questo o quel corridore, con certificati e perdoni che spesso annacquano il lavoro dell'antidoping».
Non crede che il ciclismo sia troppo permeato della cultura del doping per poter tornare indietro?
«No, penso al contrario che ci sia anche una forte componente di sospetto: se uno perde, accusa a volte fra le righe gli avversari di pratiche poco ortodosse, e l'ambiente viene così avvelenato. D'altro canto, una buona idea, che noi propugneremo, è quella di creare dei diari clinici di tutti i tesserati, in modo da seguire l'andamento di una carriera dall'inizio alla fine e notare subito se ci sono sbalzi di valori sospetti».
Ma poi queste cartelle dovrebbero essere pubbliche, a disposizione degli appassionati che volessero farsi un'idea su questo o quel corridore.
«Si può fare. Le dirò di più: visto il gran numero di atleti monitorati, potrebbero essere stilati e pubblicati dei veri e propri studi di valenza scientifica. E rendere tutto pubblico, per favorire la trasparenza».
Magari sul sito internet della Federazione.
«Sì, attraverso un'informatizzazione che va migliorata e integrata, per avvicinare il vertice alla base. Oggi se va sul sito della FCI non trova un indirizzo di posta elettronica dei dirigenti: non va bene, siamo lontani dall'optimum».
Tornando alle elezioni: come accoglie la fresca candidatura di Di Rocco, ex segretario federale?
«Bene, non cambia di una virgola il mio percorso. Non bado agli avversari, se sarò eletto lo sarò grazie all'appoggio dei 65mila tesserati».
Ecco, gli appoggi: gode di qualche investitura importante?
«Quella della base, dei praticanti che ho sempre difeso, di quelli che lavorano sul territorio, coi quali sono da sempre a stretto contatto. Sono un outsider, un tecnico, e non un personaggio pubblico o politico. Ho lavorato per anni dietro le quinte, e quest'impegno è molto apprezzato. Sono convinto che se si votasse domani, e se avessero diritto al voto i presidenti di società, domani sera stesso sarei presidente».
Invece i presidenti non votano, e delegano i "grandi elettori"...
«Che sono 450, un numero che si presta a manovre politiche che io non voglio né posso fare».
A conti fatti, che percentuale di successo si dà?
«Se saremo due sfidanti, il 50%. Se saremo in tre, il 33%. Semplice, no?».
Pensiero finale.
«Voglio essere chiaro su un punto: siccome il mio interesse è il bene del ciclismo, se non sarò eletto tutta la mia squadra si ritirerà dalle successive elezioni dei consiglieri. In questo modo conto di favorire il presidente, che potrebbe avere al suo fianco tutti i suoi collaboratoti e lavorare così serenamente, senza dover fare i conti con lotte intestine. Non spero che gli altri facciano lo stesso, e quindi mi aspetto, se vincerò, di non riuscire a piazzare tutti i miei consiglieri, dovendo così subire una certa opposizione. Ma io non voglio dare alibi agli altri: se vincono, che lavorino in pace, senza poter incolpare di eventuali inadempienze la fronda del consiglio federale».

Marco Grassi

 

RSS Facebook Twitter Youtube

30/Jul/2017 - 20:30
ESCLUSIVO: le immagini del folle che ha tagliato la strada al gruppo facendo cadere decine di corridori al Giro d'Italia

24/May/2016 - 21:06
All'An Post Rás giornata di gloria per James Gullen nella tappa "di montagna": Fankhauser diventa leader

24/May/2016 - 17:07
Giro, nel giorno della nuova delusione di Vincenzo Nibali vince Alejandro Valverde davanti a Kruijswijk e Zakarin

23/May/2016 - 22:12
An Post Rás, nella seconda tappa vince il padrone di casa Eoin Morton

23/May/2016 - 16:00
Giornata di rinnovi: André Greipel e Marcel Sieberg alla Lotto Soudal fino al 2018, Geraint Thomas prolunga con la Sky

23/May/2016 - 13:11
Benjamin Prades vince l'ultima tappa del Tour de Flores ma non basta, la generale va a Daniel Whitehouse

23/May/2016 - 12:39
Brutte notizie per il ciclismo elvetico: l'IAM Cycling comunica che cesserà l'attività a fine stagione

23/May/2016 - 11:22
Conclusi i Campionati Panamericani: l'ultimo oro è dell'ecuadoriano Jonathan Caicedo

22/May/2016 - 23:59
Il Tour of California si conclude con una imperiosa volata di Mark Cavendish. Classifica finale a Julian Alaphilippe

22/May/2016 - 23:39
Il Tour of Bihor si chiude nel segno dell'Androni Giocattoli-Sidermec: tappa a Marco Benfatto, generale a Egan Bernal

22/May/2016 - 23:20
Women's Tour of California: gioie finali per Kirsten Wild e Megan Guarnier. Le altre corse: ok Bertizzolo e Lepistö

22/May/2016 - 22:44
Velothon Wales, Thomas Stewart supera Rasmus Guldhammer e Ian Bibby

22/May/2016 - 22:24
Dilettanti, ulteriori vittorie per Nicola Bagioli e Riccardo Minali alla Due Giorni Marchigiana

22/May/2016 - 22:22
Scatta l'An Post Ras: la prima tappa va all'olandese Taco Van der Hoorn grazie ad un colpo di mano