Il Principino sta crescendo - Intervista a Damiano Cunego
Versione stampabileNell'anno del triste evento della morte del Pirata Marco Pantani, il ciclismo scopre il suo enfant prodige in Damiano Cunego, accomunato al fuoriclasse romagnolo dal medesimo mentore, il tecnico bresciano Giuseppe Martinelli.
Il campioncino di Cerro Veronese, dai toni garbati e dalla cordialità innata, qualità che gli valgono l'appellativo di Piccolo Principe, chiude la stagione al primo posto della classifica Uci ed alla giovane età di 23 anni appena compiuti, è atteso ad una riconferma che lo lancerebbe di diritto tra i grandi del ciclismo.
Damiano, in questo anno hai ottenuto un palmarès eccezionale: 14 vittorie, tra le quali spiccano su tutte il Giro d'Italia ed il Giro di Lombardia. Hai infine chiuso, ciliegina sulla torta, al primo posto del ranking Uci. Ti aspettavi queste performance?
«Ero atteso ad una stagione di svolta, ed in fase di evoluzione dello stato di forma ho ottenuto vittorie abbastanza importanti che mi hanno dato morale. Al Giro d'Italia mi ero presentato per fare esperienza; il capitano della Saeco avrebbe dovuto essere Simoni, ma fortuna ha voluto che mi sia trovato io a raccogliere una vittoria che, me l'avessero proposta alla vigilia, ci avrei fatto sopra cento firme; è stata veramente una piacevolissima sorpresa! Poi dopo il Giro ho preso consapevolezza del fatto che avrei potuto ancora vincere ed allora ho pensato di concentrarmi sul finale di stagione. Ho così preventivato la partecipazione alla Vuelta quale preparazione che mi consentisse di correre sia il Mondiale che il Giro di Lombardia da protagonista. Visto come sono andate le cose, direi che tutto sommato la preparazione ha dato i suoi frutti».
Sicuramente! Al Lombardia ti sei reso conto di aver fatto vivere emozioni splendide agli appassionati coi tuoi attacchi in salita, sui falsopiani ed anche in discesa, e con il tuo recupero nel finale dopo il mezzo passaggio a vuoto sul Colle San Fermo?
«In quella occasione non si è badato troppo alle tattiche ma principalmente alle forze fisiche. Forse rispetto a Basso ho speso un po' di più; del resto quel giorno era lui che andava più forte di tutti. Ho corso rischiando di perdere, ma per fortuna mi è andata bene. Con tutti quegli attacchi ho creato un'opportuna selezione che mi ha tolto dalle ruote molti pericolosi avversari e credo anche di essermi saputo amministrare nel finale usando un po' di tattica e centellinando le forze che mi erano rimaste. Basso invece, consapevole forse di essere battuto allo sprint, ha dovuto dare il massimo sull'ultimo Colle, spendendo inevitabilmente molte energie».
Prima dei tuoi successi di quest'anno si era sempre parlato di Cunego come scalatore, senza che nessuno si soffermasse più di tanto sulle tue doti di velocista. Quando però ti abbiamo visto sfrecciare vittorioso sia a Larciano che a Pontremoli nella seconda tappa del Giro, battendo allo sprint un nutrito gruppo di corridori, ecco che qualcuno ha voluto addirittura accostarti a Saronni. Eri consapevole di questo tuo spunto veloce?
«Sì, ne ero consapevole da parecchio tempo. Ovviamente, se riuscivo a fare selezione sulle salite, preferivo a scanso di spiacevoli sorprese, arrivare da solo al traguardo. Mi ricordo però che già da juniores ho vinto parecchie corse allo sprint. Questa caratteristica ho cercato di mantenerla anche nei due anni da dilettante e fortunatamente mi sta tornando utile anche adesso da professionista. È una dote che ho sempre curato, mi alleno tuttora anche per coltivare quest'aspetto. Del resto è una importante opportunità che può consentirti di vincere molte corse. Un atleta che non è veloce, arriva sempre lì con i primi, ma magari secondo o terzo nell'ordine d'arrivo. Lo spunto veloce ti consente invece di fare la differenza molto spesso. È ovvio che cercherò di approfittare di questa prerogativa anche in futuro. È un'opportunità che bisogna saper gestire al meglio».
Al Giro d'Italia la tappa di Falzes è stata quella della svolta. Sino a quel momento l'avversario più pericoloso sembrava essere Popovych, ma sulla salita del Furcia, rispondendo anche a precise tattiche di squadra, te ne sei andato da solo. Aldilà dei calcoli strategici, eri consapevole di questa tua strabiliante condizione?
«Sì, avevo già fatto due ottime settimane al Giro ed ovviamente anch'io mi chiedevo se sarei stato in grado di tenere anche nell'ultima fatidica settimana. Me ne stavo comunque tranquillo ed appena si è presentata l'occasione con una grande salita, ho attaccato deciso, senza ripensamenti. Ci poteva essere il timore che con quell'attacco potessi saltare, ma invece credo di aver dimostrato di possedere buoni doti di recupero che nell'ultima fase del Giro sono puntualmente emerse. Comunque quel giorno sul Furcia ho avuto anche un po' di fortuna e sicuramente la squadra è stata determinante. Non bisogna dimenticare infatti che due miei compagni, Mazzoleni e Tonti, erano più avanti in fuga e sapevo benissimo che mi avrebbero aspettato per darmi una mano ad insistere a fondo nell'offensiva. In quella tappa era previsto che attaccassimo sia io che Simoni, però Gilberto era più controllato di me e quando ho attaccato io, gli avversari hanno avuto un po' di titubanza e Popovych, che tra l'altro quel giorno vestiva la maglia rosa, era forse un po' al gancio, tanto è vero che ha chiuso la frazione con un ritardo di 3 minuti e 50 secondi. Grazie a queste circostanze ho così potuto avere via libera anche se certamente per proporre quei numeri bisogna avere le gambe».
Più che di fortuna parlerei invece di un'ottima strategia di squadra: Tonti e Mazzoleni non credo fossero in fuga per caso!
«Sì, certamente! La strategia di corsa rispondeva ad una tattica studiata precedentemente. Bisogna riconoscere dei grossi meriti a chi ci segue: è stato infatti Giuseppe Martinelli a suggerirci quel piano d'attacco. Del resto non si scopre nulla di nuovo: il ruolo del direttore sportivo, di colui che ti segue dall'ammiraglia, è prezioso e fondamentale».
Tu sei molto legato a Martinelli, è palese la perfetta simbiosi che c'è tra voi due.
«È vero. Giuseppe mi seguiva già da juniores, qualche volta veniva a vedere come mi comportavo in corsa e siamo sempre stati in contatto durante la mia attività giovanile. Mi ha sempre tenuto sereno garantendomi il sicuro passaggio tra i professionisti, e proprio con lui sono stati pianificati due anni tranquilli da dilettante, evitando che in questa categoria dove si tende a spremere un po' di più gli atleti, potessi spendere più di quanto effettivamente servisse. Poi, come previsto, mi ha fatto fare il salto in una prestigiosa squadra professionistica».
Da dilettante avevi già avuto modo di confrontarti con Popovych?
«Sì, parecchie volte, anche se però ad esser sinceri, Yaroslav in quella categoria era troppo più forte di me. Correva in una grande squadra, mentre io avevo da poco finito la scuola e non facevo appieno la vita da corridore come lui. Pesavo qualche chiletto in più e mancavo di tattica. Poi però con il tempo sono venuto fuori anch'io e le mie quattro corse nella categoria dilettanti le ho vinte».
Tenendo conto anche del cambio generazionale che sta attraversando l'intero movimento ciclistico, pensi che per i prossimi anni Popovych rappresenterà per te l'avversario più ostico nei grandi giri?
«Senz'altro; ma non posso certo trascurare Valverde che ha appena un anno in più di me e quindi è molto giovane, oltre ovviamente ad Ivan Basso. Saranno sicuramente questi i nomi dei protagonisti principali per i prossimi anni tanto al Giro che al Tour. Sicuramente poi salterà fuori qualche altro giovane interessante, per cui gli antagonisti non mancheranno».
Quest'anno hai seguito in tv il Tour de France?
«Sì».
Armstrong l'ha vinto in una maniera ancora più netta rispetto al 2003. Tuttavia molti tecnici ed appassionati hanno fatto il tuo nome riguardo all'avversario che più di tutti poteva impensierire il texano. Come pensi che avresti potuto comportarti in Francia?
«Ovviamente dopo aver corso il Giro ai massimi livelli, dovevo anche recuperare le fatiche spese e quindi credo che non avrei potuto correre il Tour con la stessa condizone che avevo due mesi prima. Credo comunque che sarei potuto restare al fianco del fuoriclasse statunitense negli arrivi in salita e magari su certi traguardi confrontarmi con lui allo sprint. Però Armstrong ha una superiorità schiacciante a cronometro e credo che questo gli consenta di gestire sulle salite tutti quei minuti guadagnati nelle prove contro il tempo. Fino a quando Armstrong potrà presentarsi al Tour esprimendosi ai livelli con i quali si è sinora espresso, sarà molto dura batterlo. Se Lance dovesse esserci anche il prossimo anno, da parte mia andrò con la solita calma, senza lasciarmi condizionare dalle pressioni che graveranno su di me. È ovvio che tutti mi chiederanno di vincere, ma per me sarà importante fare esperienza e crescere bene in modo graduale. L'importante sarà appunto avere una crescita progressiva di anno in anno, con l'obiettivo di raccogliere un giorno il risultato pieno.
A quanto affermi, dunque, sembra sia molto probabile vederti al Tour già dal prossimo anno.
«Penso di sì, per quanto mi riguarda sto pianificando di fare il Giro, magari ancora da protagonista, e di essere alla partenza anche al Tour, con l'obiettivo di fare esperienza e prendere visione di come vadano sia Armstrong che tutti gli altri principali avversari. Inoltre sarà molto importante testarmi nei percorsi più impegnativi e nelle prove a cronometro».
Il Giro d'Italia sta ritardando nella sua presentazione, si parla addirittura di uno slittamento a gennaio.
«L'ho sentita anch'io questa notizia. Comunque penso che non si discosterà da quello proposto negli ultimi anni. Il Giro d'Italia offre sempre le sue belle tappe in salita, le cronometro, e non trascura certo i velocisti. Offre sempre percorsi ottimali e variegati. Se poi dovessi scegliere, spero ovviamente che sia ancora più duro di quello dello scorso anno».
Negli ultimi anni il Giro è stato spesso appannaggio di scalatori, contrariamente al Tour, il quale, fatta eccezione l'edizione 1998 vinta da Pantani, ha sempre espresso corridori che hanno costruito le loro affermazioni nelle prove a cronometro. Ti spaventa questa statistica?
«Diciamo che il Tour ha sempre cercato di privilegiare gli ultimi vincitori e di ingrossare gli albi d'oro con i loro nomi. Così è stato per Indurain prima e per Armstrong dopo. I percorsi abbondavano sempre di chilometri a cronometro. C'è solo da sperare che la filosofia degli "architetti" della corsa francese cambi un po' nei prossimi anni e si possano avere in futuro Tour più fantasiosi nei quali si tenga conto anche di corridori con le mie caratteristiche».
Stando alla cartina, il Tour del prossimo anno sembra però proporre meno chilometri contro il tempo.
«Ci sono però pur sempre la cronosquadre ed altre due prove a cronometro... Ribadisco comunque che andrò là soprattutto per fare esperienza, per cui il percorso va bene uguale».
Fino ad ora si è parlato principalmente di gare a tappe; non si può però dimenticare che proprio con la vittoria del Lombardia hai confermato di possedere ottime caratteristiche anche per le prove in linea. È lecito dunque attendersi Cunego all'attacco sulla Cipressa o sul Poggio, o magari sulle côtes nelle Ardenne?
«Penso che sarà molto difficile che io corra la Milano-Sanremo. Credo che ricalcherò quasi del tutto il programma di quest'anno per arrivare ad essere abbastanza competitivo a fine aprile con l'approssimarsi della partenza del Giro. Del resto la mia stagione arriverà sino ad ottobre e sarà opportuno programmarsi al meglio e partire con calma».
Quindi ti defili dai ruoli di protagonista anche per le prove sulla carta a te più adatte, quali la Liegi o la Freccia Vallone? Che Cunego dovremo aspettarci sulle Ardenne?
«Se tutto procederà al meglio non dico che sarò un protagonista assoluto, ma sicuramente un atleta che va gradatamente crescendo in vista degli appuntamenti più importanti, che in quel periodo saranno già alle porte».
Dopo la vittoria al Giro d'Italia hai vinto il Criterium Marco Pantani, dopodiché ti sei concesso una pausa di circa un mese. Al tuo rientro hai palesato un'ottima condizione già al Brixia Tour, hai dimostrando notevoli progressi a Camaiore ed hai poi ottenuto il successo pieno a Castelfidardo, nella prima prova della Due Giorni Marchigiana. Considerato che dopo pochi giorni si sarebbe svolta la prova Olimpica ad Atene, non rimpiangi la tua mancata convocazione?
«Il Brixia Tour ed il GP Camaiore hanno rappresentato per me le gare del rientro, e per quanto concerne Castelfidardo, posso assicurare che quel giorno ho fatto tanta fatica! Può darsi che alla televisione, nelle fasi agonistiche dimostrassi anche una certa facilità di pedalata, ma posso garantire che all'arrivo ero veramente molto stanco. Del resto i miei programmi erano un po' differiti nel tempo ed era quindi giusto che ad Atene andasse Bettini nelle vesti di capitano unico. Non credo nemmeno che fosse un percorso troppo adatto alle mie caratteristiche, perlomeno a quanto mi era sempre stato riferito ed a quanto ho potuto constatare io stesso dalle immagini televisive. Comunque, l'oro di Bettini sta a dimostrare che le scelte di Ballerini sono state giuste ed opportune».
Forse però il Mondiale di Verona merita un'analisi a parte. Dopo le vicissitudini di Bettini, vi siete presentati a giocarvi lo sprint in 17, di cui tre italiani: tu, Paolini e Basso. Posto che la filosofia del ct prevedeva una nazionale piuttosto gerarchizzata intorno al nome di Bettini, ma nella quale si teneva comunque conto del tuo prestigio e delle tue qualità, non era giusto privilegiarti per la volata finale considerando anche il tuo ottimo spunto veloce?
«Questo è vero. Bisogna però dire che una volta uscito di scena Bettini, non si sapeva più che cosa fare e come muoversi. Sul tratto in salita l'andatura era di 35 chilometri orari e sono riusciti a stare con i migliori tanto Zabel che Hondo, il quale avrebbe svolto per lui la funzione di gregario. Freire andava effettivamente più forte di tutti. Però nel finale avrei potuto farlo io lo sprint, mi sarebbe però servito un compagno per darmi lo slancio e portarmi fuori ai 400 metri in modo da prendere la volata un po' più avanti».
Così però non è stato!
«Non credo che avrei vinto perchè Freire era in grande giornata, però credo che con qualche aiuto avrei potuto giocare meglio le mie carte. Ho comunque vissuto un'esperienza eccezionale, proprio nella mia città! Grande tifo da parte dei miei sostenitori e proprio dopo l'arrivo del Mondiale ho incominciato a credere davvero in una eventuale affermazione nel Giro di Lombardia. Se quel giorno ero riuscito a stare sulle ruote dei migliori al mondo, ho pensato che il sabato successivo con un percorso più duro avrei potuto azzeccare il risultato pieno. I fatti mi hanno poi dato ragione».
Torniamo al Giro. Nella tappa di Corno alle Scale, vinta da Simoni dopo un tuo attacco, ti sei effettivamente piantato oppure hai dovuto sottostare agli ordini dell'ammiraglia, che ti dicevano di lasciare via libera a Gibo?
«Ho avuto un momento di appannamento forse perchè avevo attaccato un po' troppo presto. Mi sono così trovato nel tratto più impegnativo che avevo speso abbastanza ed allora mi sono un po' piantato. Simoni nel frattempo mi ha raggiunto e staccato, in virtù di una maggiore freschezza. A quel punto ho corso sulle ruote degli altri ed ho recuperato molto bene e nel finale ero molto pimpante, tanto che sono riuscito ad ottenere un'ottimo secondo posto. A quel punto ho pensato che senza quell'appannamento, avrei potuto anche vincere la tappa. Ero comunque sereno in quanto consapevole che avrei potuto far bene anche nei giorni successivi».
Ti aspettavi di più dalla tua Vuelta? Che cosa pensi del fatto che 23 spagnoli si sono classificati tra i primi 25 nella classifica generale? Solo un caso?
«Gli spagnoli tengono molto alla loro gara a tappe ed alla Vuelta erano veramente al massimo della forma. Personalmente ero andato per fare una buona preparazione per il finale di stagione ma sinceramente mi aspettavo di essere un po' più protagonista, invece molte volte mi sono trovato ad inseguire. Comunque non è che fossi andato lì per vincere ma soltanto per fare un po' di esperienza che mi tornerà sicuramente utile per i prossimi anni. Ho ritenuto allora opportuno gestirmi al meglio e badare a non sprecare inutilmente preziose energie. Ho cercato di fare qualche tappa di montagna testando i miei limiti senza però forzare più di tanto il mio motore».
Accantonata la stagione 2004, parliamo allora della prossima. Come vedi le nuove leve che si affacciano al professionismo: Nibali, Pozzovivo, Visconti, Marzano e Franzoi?
«Sono tutti nomi più che interessanti! Marzano e Franzoi tra l'altro correranno nel mio team ed avrò modo di conoscerli meglio. Credo comunque che saranno questi i nomi che calcheranno le scene nei prossimi anni. Del resto i cambi generazionali avvengono puntualmente sia nello sport come in un qualsiasi altro contesto della vita».
Questo è un periodo di riposo da un punto di vista agonistico; qual è la tua settimana tipo nel periodo invernale, quante uscite fai e di quanti chilometri, qual è il tipo di alimentazione che tieni e come cambia e si evolve nel corso della stagione?
«Nelle settimane iniziali bisogna prediligere il fondo e fare pertanto chilometri. Un giorno 3 ore di bici, un altro giorno 4 ed il giorno dopo ancora, la distanza. Sostanzialmente ti gestisci un po' le uscite, ma quello che devi svolgere è appunto un lavoro di fondo per creare le basi della preparazione. Poi, nei mesi successivi svolgi invece lavori specifici in modo da arrivare al periodo agonistico ed avere il cambio di ritmo. Per quanto riguarda l'alimentazione, nel mio caso, è condizionata dalle circostanze. L'anno scorso per esempio dovevo calar di peso e quindi facevo molta attenzione ai pasti. Quest'anno invece, essendo già calato, cerco soltanto di mantenere il peso forma, senza una particolare dieta cui sottostare».
L'alimentazione però cambia da estate a inverno?
«Cambia perchè d'inverno hai un modo di bruciare le calorie diverso rispetto all'estate, con il freddo è sempre meglio avere qualche chilo in più, badando però a non aumentare troppo. Devi comunque non esagerare mai nei pasti e mangiare molta verdura e prediligere la pasta ed i carboidrati rispetto ad altre pietanze. Il tutto comunque sempre con un'occhio vigile ed attento verso la bilancia.
Si è parlato in precedenza del tuo ottimo rapporto con Martinelli. La presenza del tecnico bresciano è un'analogia che ti lega al nome di Pantani. Che sensazione provi nel pensare che molti tifosi del Pirata vedono in Cunego l'eroe positivo che possa emulare le gesta del loro idolo?
«È una cosa che mi fa enormemente piacere. Spero solo di non tradire le attese. Quello che ho fatto vedere quest'anno dovrò inevitabilmente confermarlo anche nei prossimi anni».
A quando risale il tuo primo incontro con Pantani?
«Ricordo che era nell'inverno del 1999 a Madonna di Campiglio, circa sei mesi dopo i tristi avvenimenti che si erano consumati nella medesima località durante il Giro d'Italia. Era praticamente il ritiro del team Mercatone Uno, quello che avrebbe anticipato la stagione 2000. Mi portò in quella località Martinelli per farmi trascorrere un fine settimana con i corridori professionisti. Forse quello che incontrai non era più il Pantani di prima; quegli avvenimenti a cui accennavo l'avevano segnato profondamente, soprattutto nell'animo. Da quel giorno, ho avuto modo di vederlo spesso e di parlarci assieme qualche volta: era un campione che cercava di tornare ai vertici, però aveva troppa pressione intorno, qualsiasi cosa facesse aveva una cassa di risonanza enorme. Ricordo che nel Giro d'Italia del 2003 bastava che si riaffacciasse in testa al gruppo e le vicende di corsa, la maglia rosa, gli ordini d'arrivo, passavano subito in secondo piano. Poi sono sopraggiunti altri problemi e sinceramente non conosco bene i fatti, certo che al pensiero si prova sempre tanta tristezza».
Pensi che durante questi incontri, in questi scambi di battute, Marco avesse avvertito qualcosa di particolare in te?
«Questo non lo so, ricordo che mi dava degli incoraggiamenti. Mi invitava a non mollare mai, a tener duro soprattutto nei momenti difficili. Mi assicurava che lavorando bene, i risultati sarebbero venuti prima o poi. Le sue parole mi sono sempre rimaste dentro, ed oggi che purtroppo Marco non c'è più, rievocarle mi dà una carica immensa e mi riempie di soddisfazione, perchè sono uscite dalla bocca di un grandissimo campione».