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Dimenticare Ferretti - Pozzato ci rivela i problemi col ds

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Filippo Pozzato, il talentuoso atleta vicentino, dopo due stagioni trascorse in maglia Fassa Bortolo, ha deciso di cambiare squadra e di approdare alla Quick Step del campione olimpico Paolo Bettini. In un ambiente che per certi versi gli ricorderà quello Mapei, al quale affidò la sua crescita ed evoluzione di atleta e di uomo, Pozzato vuole dimenticare l'esperienza non troppo positiva degli ultimi due anni, in cui le incomprensioni con il tecnico romagnolo Giancarlo Ferretti ne hanno sicuramente limitato il rendimento.
Filippo, tu avevi referenze eccezionali nella categoria juniores e proprio per questo i dirigenti dell'allora Mapei - Quick Step decisero di prelevarti per evitare il passaggio tra gli under 23 e gestire la tua crescita atletica con il loro staff tecnico.
«Sì, sono passato professionista nel 2000 cimentandomi in gare di categoria minore, in un contesto di partecipanti che erano perlopiù giovani come me. Una scelta, quella della Mapei, che si è dimostrata azzeccata alla luce di quello che hanno fatto poi vedere atleti che hanno vissuto la stessa mia esperienza: Rogers, Sinkewitz, Cancellara. Un'ottima politica che si è però poi esaurita perchè nel 2002 la Mapei ha lasciato il ciclismo».
Finita dunque l'era Mapei tu hai deciso di difendere i colori Fassa Bortolo, un team tra i leader del movimento ciclistico.
«Sì, la mia scelta allora era in bilico tra la Fassa e la Quick Step, ma dato che era mia intenzione svolgere attività prevalentemente in Italia, preferii il team trevigiano; per la prossima stagione ho voluto però cambiare e optare per il gruppo che avrei dovuto scegliere già due anni fa».
Nel 2003, quando hai cominciato a svolgere una vera e propria attività professionistica ed a correre le gare più prestigiose del calendario, sei partito subito alla grande, collezionando successi uno dietro l'altro.
«Vinsi subito a febbraio il Trofeo Laigueglia e subito dopo in successione il Giro dell'Etna, la seconda tappa e la classifica generale della Tirreno-Adriatico».
Per questo motivo alla vigilia della Sanremo 2003 il nome di Pozzato era elencato tra i possibili vincitori della Classicissima.
«Sì, avevo un'ottima condizione e quando mi capitò l'incidente sulla discesa della Cipressa mi trovavo con i migliori, poi putroppo mi cadde davanti un corridore e la sua bicicletta buttò giù anche me».
Quell'incidente ti impedì forse di far bene alla Classiche del Nord. Anche quest'anno però, chi ti aspettava in primavera protagonista sulle strade del Belgio è rimasto deluso. È stata forse sbagliata la preparazione invernale?
«No, non è stato un problema di preparazione. Nel 2003 subivo ancora i postumi della caduta nella Milano-Sanremo, ero stato 10 giorni senza andare in bici, avevo ripreso che avevo sempre i 13 punti all'interno del muscolo ed era quindi abbastanza improbabile andar forte. Nel 2004, invece, io avrei voluto correre molto di più nel periodo che precede la Sanremo ed invece le strategie dei tecnici Fassa Bortolo mi hanno fatto correre pochissimo, poi sullo slancio dei successi ottenuti in terra ligure ad inizio di stagione con il Giro di Liguria e il Laigueglia, ho voluto prendere il via al Giro della Provincia di Lucca benché mi fossi presentato alla vigilia con 39° di febbre. Il pessimo clima che abbiamo trovato in quella breve corsa a tappe non ha fatto che peggiorare la mia condizione. Del resto, per fare chilometri prima della Sanremo volevo sfruttare le poche occasioni che mi avevano lasciato. Con il senno di poi devo riconoscere che correre con lo stato febbrile addosso è stato un errore. Erano tre anni che non mi ammalavo e quest'anno mi sono invece ammalato tre volte».
Lasci comunque intendere che in questi anni ci sono state delle incomprensioni con il tuo staff tecnico.
«Il mio punto di vista non corrispondeva con quello di Ferretti. Abbiamo provato ad andare d'accordo su specifica volontà del signor Fassa. Già alla fine del 2002 avrei voluto venir via da quel team proprio a causa delle incomprensioni che avevo con il tecnico; il signor Fassa teneva molto a me ed ha voluto che rimanessi. Poi invece le incomprensioni sono proseguite e benchè avessi un contratto di tre anni che mi legava sino al 2005 compreso, mi ha lasciato andare».
È vero che al momento della rescissione del contratto, Giancarlo Ferretti voleva importi delle penalità ed è stato il signor Fassa a decidere invece di lasciarti libero senza che questo comportasse per te alcun aggravio?
«Sì, lo confermo. I rapporti con il signor Fassa sono stati e sono tuttora ottimi. Con me si è sempre comportato da vero signore. Come ho gia detto, quando a inizio stagione avevo già manifestato la volontà di andarmene, mi aveva chiesto di restare promettendomi di fare il punto della situazione dopo il Tour e di valutare in quel momento eventuali decisioni da prendere. Con le Olimpiadi siamo andati un po' oltre, ma quando ho espresso l'idea di voler cambiar squadra, ha mantenuto la sua parola senza intralciare le mie volontà. Fosse stato per lui sarei rimasto ancora e sono comunque onorato di poter vantare la sua stima e la sua amicizia».
Ferretti ha dimostrato in molte situazioni di volere una squadra a completa disposizione di Petacchi. Però un corridore come Flecha ha saputo ritagliarsi spazi da protagonista al Tour, a Zurigo ed al Giro del Lazio. Non credi che le possibilità per emergere ci sarebbero state lo stesso anche per te?
«Flecha ha potuto fare la sua corsa e vincere una tappa al Tour dopo che Petacchi si era ritirato ed era tornato a casa. A Zurigo ed al Giro del Lazio Alessandro non era tra i partenti ed è ovvio che qualcun altro dovesse far la corsa. È chiaro comunque che su percorsi un po' più vallonati con qualche salita, le strategie di Ferretti fossero orientate su altri corridori più adatti di Petacchi per quei tipi di percorso. Non è con questo che io voglia sostenere che la mia posizione o le mie idee fossero giuste e quelle del tecnico no; abbiamo avuto dei punti di vista diversi, ma spero che entrambi seguendo la propria strada e le proprie convinzioni, si possa comunque ottenere dei buoni risultati».
Sarà possibile in futuro attendersi Filippo Pozzato competitivo nella grandi gare a tappe?
«Non credo. Per lo meno fino a 28 anni ai grandi giri non voglio neanche pensarci; penso invece che opterò per le brevi gare a tappe dove ho già raccolto tra l'altro un successo importante con la Tirreno del 2003 e ritengo anche di essere abbastanza adeguato per le gare in linea».
Tu possiedi ottime doti di cronoman; molti tuoi colleghi e coetanei si sono lamentati di non aver svolto tra le categorie minori un'opportuna attività per questo tipo di gare; nel tuo caso invece, che cosa puoi dirci?
«Ho sempre coltivato sin da piccolo preparazioni specifiche per ottenere buone prestazioni a cronometro. Al di là della dote, ho sempre creduto che fosse importante avere requisiti per questo tipo di gare. Anche negli anni Mapei ho continuato a sviluppare allenamenti specifici; poi purtroppo in questi due anni con la Fassa sono state perseguite altre logiche di preparazione e questa mia attitudine ha forse perso qualcosa, ma proprio di recente con lo staff tecnico Quick Step si è parlato di tornare a prepararsi specificatamente per vedere di ottenere ancora buoni risultati nelle prove contro il tempo».
Filippo Pozzato competitivo nelle cronometro potrebbe fare la differenza nelle brevi corse a tappe.
«Certamente, i distacchi che si riescono ad infliggere agli avversari nelle cronometro delle brevi corse a tappe sono importantissimi e molto spesso determinanti nella classifica generale. Non sempre difficoltà altimetriche ed abbuoni riescono a fare questa differenza».
Per quanto riguarda invece le corse in linea, su quali ritieni di essere più tagliato?
«Credo che nessuna mi sia preclusa; forse adesso come adesso la Freccia-Vallone e la Liegi sono ancora un po' troppo dure per me, ma con la crescita spero di adeguarmi anche a queste».
Quindi al momento strizzi l'occhio più alle classiche del pavè che non a quelle delle Ardenne.
«Sì, senza però trascurare la Milano-Sanremo che è una delle classiche che più mi piacciono».
Alla Milano-Sanremo del 2004, le strategie di squadra erano improntate su Petacchi perchè a te mancava la condizione, oppure per precisa volontà del tecnico?
«Chi ha visto quella corsa e capisce di ciclismo, avrà sicuramente notato che nel finale io ho tirato anche quando doveva tirare Vandenbroucke. Quello che è mancato è stato Petacchi. Personalmente io avevo detto il giorno prima di essere onesti tra di noi e di dirci in corsa le effettive sensazioni. Lui quel giorno ha sempre detto di sentirsi bene ma vista la volata che ha fatto in via Roma viene da pensare che troppo bene non stesse. Per quanto mi riguarda, alla vigilia avevo promesso che se c'era Alessandro davanti gli avrei tirato la volato e così ho fatto».
Anche alla Quick Step troverai comunque una figura carismatica come Paolo Bettini, campione olimpico e vincitore di tre edizioni di Coppa del Mondo.
«Bettini è sicuramente il leader della nostra squadra, però non è il solo; ci sono infatti Boonen, Moreni, Paolini, Nuyens, per fare solo qualche nome. Sicuramente siamo un bel gruppo e se come penso ci sarà armonia, credo che tutti insieme potremo far vedere grandi cose. Del resto, penso che la Quick Step abbia ereditato quella che era la filosofia Mapei ed anche in quel contesto grandi campioni come Museeuw, Bartoli, Tafi, Ballerini, riuscivano ad avere unità di intenti e raggiungere traguardi eccezionali. Se sfrutteremo bene tutti insieme le nostre potenzialità potremo toglierci tante belle soddisfazioni. I problemi ci saranno magari per le altre squadre!».
Quest'anno, al di là delle incomprensioni, al Tour hai ottenuto una prestigiosa vittoria di tappa.
«Diciamo che è stato un bellissimo successo, la parentesi sicuramente più felice di tutta la stagione. Io, il corridore più giovane del Tour, ero riuscito a vincere una tappa. Sinceramente non era cosa da poco. Ero riuscito a battere in volata i miei compagni di fuga Flores e Mancebo. Eravamo andati via precedentemente con altri uomini tra i quali Bettini, Scarponi e Brochard. Ci trovavamo in Bretagna lungo la costa, su un percorso per niente facile, fatto di continui saliscendi e con un vento laterale che aveva rotto il gruppo in più tronconi. Una tappa sicuramente molto difficile da interpretare».
Dove tu però ti eri trovato perfettamente a tuo agio.
«Un percorso così toglieva dai giochi i velocisti puri e su finali di quel genere anch'io posso sinceramente dire la mia. La condizione che avevo era buona ed era già da qualche giorno che arrivavo con i primi. Magari avevo un po' di paura a causa delle frequenti cadute che si verificavano; anche il giorno precedente ad Angers, nella tappa vinta da Boonen, avevo fatto un gran numero; il problema fu che a causa di una caduta mi trovai per troppo tempo davanti esposto al vento e ai duecento metri, quando dovevo partire, ero provato e nella volata non andai oltre l'undicesimo posto».
Il ciclismo internazionale sta attraversando una fase di ricambio generazionale. Ai campioni già affermati si stanno affiancando giovani talentuosi che presto vedremo come sicuri protagonisti. In Italia la parte da leone la stanno facendo gli atleti veneti: Pozzato, Cunego, Sella.
«Credo che bisognerebbe parlare soprattutto di Cunego. Damiano quest'anno ha vinto tutto ed è proprio lui che è leader della classifica Uci. Per quanto concerne Sella ed il sottoscritto, siamo ancora a livello di promesse e speriamo soltanto di aver modo di dimostrare il nostro valore».
Che ricordi hai di quando correvi insieme a questi tuoi conterranei tra gli juniores?
«Almeno per me, i ricordi sono belli, perché li battevo sempre. Il problema è che adesso tra i prof, nella categoria che conta, non riesco più a batterli. Comunque più che Sella, i rivali siamo sempre stati io e Cunego, già nella categoria allievi. Sella ha incominciato a crescere da juniores ed ha continuato facendo cose eccellenti anche tra i dilettanti. Cunego poi è esploso alla grande nel 2004, facendo un salto di qualità incredibile, segno che ha raggiunto una maturità psico-fisica di alto livello. Complimenti a lui perché è andato veramente forte».
Veniamo allora ai programmi per la stagione 2005.
«Partirò a gennaio dal 18 al 23 in Australia con il Tour Down Under, poi vedremo di arrivare bene alla Tirreno-Adriatico attraverso il Giro del Mediterraneo e il Trofeo Laigueglia, per essere competitivo alla Milano-Sanremo. A quel punto tireremo un po' le somme, vedremo com'è la condizione e stabiliremo il prosieguo della stagione. È ancora tutto da decidere, se optare per il Giro oppure per il Tour».
Quale delle due preferiresti correre?
«Il Giro d'Italia. Non l'ho mai fatto e mi piacerebbe correrlo per capire un po' com'è. Ovviamente non curerei la classifica generale, ma cercherei principalmente di fare esperienza e di approfittarne magari in qualche tappa».
Non hai parlato delle Classiche del Nord. Non sono previste nel tuo programma?
«Se farò il Giro, salterò qualche classica. È molto probabile che corra il Giro delle Fiandre mentre è sicuro che salterò la Parigi-Roubaix».
Non ti accattiva l'idea di correre la classica del pavè? Cancellara, che è cresciuto con te, al suo debutto si è subito comportato molto bene.
«Un giorno sicuramente mi piacerebbe correrla. Vorrei però essere competitivo per quella gara, sicuro di poter far bene. Al momento preferisco orientarmi su altri tipi di corse».

Roberto Sardelli

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