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Tour de France 2004 - Le Grande-Bornand: Lance Armstrong

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Facciamo che lanciamo una petizione: il prossimo Tour, invece di farglielo disputare e dargli il disturbo di attraversare l'Atlantico per venire a prenderselo, glielo impacchettiamo in carta da regalo e glielo inviamo a domicilio, già bello che vinto. E al posto di seguire la Grande Boucle, in quelle fatidiche tre settimane di luglio, ce ne andiamo tranquilli e paciosi al mare, certi di non aver perso più di un monologo di 22 giorni.
Il Tour è Armstrong, Armstrong è il Tour. Leblanc glielo disegna su misura (in questa edizione, con la ciliegina della cronoscalata, adatta più che mai a Lance, si è toccato l'apice), e il texano viene a vincerlo disinteressandosi di tutte le altre corse della stagione. Che questo andazzo faccia bene al ciclismo è tutto da dimostrare, fatto sta che fa bene ad Armstrong, che si avvia bel bello a vincere il suo sesto Tour (per di più consecutivamente), senza aver mai sofferto minimamente, senza essere mai stato seriamente avvicinato, o attaccato (o meglio, una volta lo ha attaccato Ullrich, ma ci ha pensato la squadra di Basso a inseguirlo).
Ormai è dal 1999 che chi lo ama si riempie gli occhi di lui, mentre chi lo sopporta ne ha semplicemente piene le tasche. L'unica volta in cui ha davvero rischiato di perdere è stata un anno fa (casualmente la più bella edizione del Tour dell'ultimo ventennio?), quando un'incredibile ondata di caldo lo disidratò nelle prime due settimane, esponendolo agli attacchi di Vinokourov, Mayo, Ullrich ed Hamilton. Ma magari, per ovviare al problema in futuro, telefonerà al suo amico GW per suggerirgli di firmare il protocollo di Kyoto (per chi non segue: si tratta dell'accordo internazionale, avversato dagli Usa, che regolerebbe l'emissione di gas serra, responsabili del riscaldamento terrestre).
Lui, Lance, può. Chiamare il presidente Bush e parlargli di qualsiasi cosa gli viene facile quasi quanto vincere una tappa come quella di oggi. Sin dal terzo chilometro Gibo Simoni si era infilato nella fuga che avrebbe parzialmente riscattato il suo opaco Tour, se solo fosse andata in porto. Col trentino c'erano Simeoni, Aldag, Martin e Bartoli (quest'ultimo si è poi ritirato); passato bene il Glandon, sulla Madeleine Simeoni, Bartoli e Martin sono stati sostituiti dai sopraggiunti Moreau e Virenque, che hanno dato nuovo impulso alla fuga. (Inutile chiedersi perché le due salite più dure siano state stoltamente piazzate dall'organizzatore in avvio).
Ma chi aspettava movimenti tellurici tra gli uomini di classifica è rimasto deluso: a un certo punto, sulla Forclaz (penultima salita) pareva stessero per partire i T-Mobile (Ullrich o Klöden o entrambi); poi, sulla Croix Fry (ultimo colle) sembrava fosse il turno dei Csc (Sastre preparava il terreno per Basso). Ma l'unica legge valida restava quella della Us Postal, che col suo ritmo prima riprendeva i fuggitivi, poi scremava il gruppetto dei migliori.
Dopo l'ultimo scollinamento, davanti restavano con Lance il suo scudiero Landis, i due T-Mobile e Basso. Armstrong sperava riuscisse a vincere Landis, ma agli 800 metri partiva forte Klöden, che faceva un bel buco: ci è voluta tutta la potenza del texano per scattare all'inseguimento e riprendere l'improvvido tedesco proprio sulla linea del traguardo. Altra vittoria, ennesimo allungo (grazie all'abbuono) sugli immediati inseguitori in classifica, nuova dimostrazione di superiorità.
Non che ce ne fosse bisogno, tanto la crono di Besançon di sabato già pareva superflua. Ma si sa che Lance non lascia niente al caso, quando si tratta di Tour. Complimenti, per la sesta volta complimenti. Ma non si dispiacerà, il texano, se continueremo ad aspettare il prossimo vincitore.
 


Marco Grassi


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