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Jan spietato, primo per 1" - Ullrich beffa Jeker in svizzera

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Nella mente ci resteranno per sempre gli occhi tristi, sconfitti, affranti di Fabian Jeker subito dopo l'arrivo di Lugano. A 35 anni e mezzo, dopo una vita di tanta fatica e qualche soddisfazione, la vittoria nel Giro di Svizzera sarebbe stata per lui, svizzero, una consacrazione.
E ci è andato vicinissimo, Fabian, arrivando a un secondo, un solo stramaledetto secondo dal sogno. Il risveglio è stato tremendo: Ullrich ha pedalato da forsennato nell'ultima crono, e a niente sono serviti i 41" secondi di dote che Jeker si portava a Lugano. Meglio sarebbe stato che il tedesco vincesse in maniera più netta, più decisa, più inequivocabile. Ma così, per un soffio, la beffa è troppo, troppo dura.
Jeker chiude praticamente in questo modo la sua brava carriera. Ha l'età che ha, e una delusione del genere è difficile da metabolizzare (anche se saremmo contentissimi se ci riuscisse, se sapesse riprendersi e rivincere).
Detto di Jeker, bisogna però concentrarsi su questo nuovo Ullrich, che, con il successo di Lugano, potrebbe aver esorcizzato una volta per tutte la sindrome da secondo posto, che gli ha fatto perdere 5 Tour de France in 8 anni: 5 volte secondo, alle spalle di Rijs, poi di Pantani, infine di Armstrong.
Ma ora Jan è diverso, è cambiato in meglio. Si gestisce in maniera più puntuale, sia in gara che (soprattutto) in inverno. Ha un maggiore equilibrio mentale, forse per merito del fatto di essere diventato padre. E' più responsabile, non è più quello che si sballava di anfetamine in discoteca (venendo poi pescato all'antidoping...), e sta emergendo prepotentemente la sua innegabile simpatia, la sua carica umana, la sua bendisposizione verso tifosi e compagni di squadra (che stravedono per lui).
In più sa vincere, sa imporre la sua legge, sa tenere in mano la corsa, e pare avere margini di miglioramento nella condizione. Insomma, a 30 anni è finalmente l'avversario completo e temibile che Armstrong aspettava. Già nel 2003 il dualismo tra l'americano e il tedesco, per una volta quasi sullo stesso piano (in passato Lance era troppo superiore) ci aveva regalato un Tour memorabile. Quest'anno la lunga rincorsa di Jan potrà essere coronata: è dal 1998 che il campione di Rostock aspetta di bissare il suo successo del '97. Gli astri sembrano dalla sua parte, e gli hanno pure tolto di mezzo un temibile rivale nella sua stessa squadra (Vinokourov, infortunatosi in Svizzera): da qui a un mese capiremo se Ullrich saprà mantenere tutte queste promesse.


Marco Grassi


Il Catalogna di Martin Perdiguero


A quanto ne sapevamo, Miguel Angel Martin Perdiguero era un buon velocista, capace di andare in fuga all'occorrenza e, tutt'al più, di tenere su salitelle non troppo dure. Ma tutto quel che sapevamo di lui era evidentemente insufficiente, se è vero che il Giro di Catalogna ci ha restituito di lui un'immagine completamente diversa: perché Martin Perdiguero (in passato anche apripista di Mario Cipollini) lo ha stravinto, il Giro di Catalogna.
Stravinto non nel senso di distacchi enormi, ma nel senso di dimostrazione di superiorità su ogni terreno, dalla pianura alla salita alla cronometro. Sfavorito nella cronosquadre di apertura dal non avere una squadra di specialisti, il madrileno ha subito messo in tavola le sue carte nella seconda tappa, vincendo con un allungo nel finale.
Conquistata la sua brava frazione, ora starà tranquillo, si pensava. Invece il giorno dopo il 31enne ha stupito la platea, andando a bissare in salita, sull'arrivo andorrano del Coll de Pal. A quel punto guidava la classifica ancora Karpets, russo di solide capacità; ci voleva quindi un'altra spallata. E Martin Perdiguero l'ha data, il giorno dopo ancora, nella cronoscalata di Arcalis. Una prestazione quasi incredibile, che lo ha proiettato in vetta alla Volta, posizione dalla quale nessuno ha potuto più scalzarlo (vista anche la facilità dei percorsi della seconda parte del Catalogna).
Tre giorni senza respiro, tre giorni che il corridore della Saunier Duval non potrà che ricordare come i più belli della sua carriera: i tre giorni da Cannibale di Miguel Angel Martin Perdiguero.

Ma.G.



Arriva il tricolore, Bettini scalpita


Uno degli obiettivi stagionali di Paolo Bettini è riconfermarsi campione italiano, e in vista degli assoluti (che si disputeranno peraltro a due passi da casa sua) il toscano ha scaldato il motore al Giro di Svizzera. Uscito subito di classifica, Bettini ha più volte cercato di entrare nella fuga buona. Ma mentre Hunter faceva in minore il verso a Martin Perdiguero (da velocista, due vittorie in frazioni di montagna), e mentre Ullrich controllava tutto quello che gli passava davanti, Paolino non indovinava il guizzo giusto.
Gli rimaneva una chance, quella di Bellinzona: penultima tappa prima della conclusione a cronometro, una salita lunga e difficile a metà percorso e uno strappetto a cinque chilometri dal traguardo. Lo spazio ideale per muoversi, per partire da lontano e poi per lanciare l'offensiva decisiva sull'ultima rampetta.Detto fatto, Bettini si è imbarcato nell'ennesima fuga del suo Giro di Svizzera, e stavolta è riuscito ad andare via. Sul Lukmanier Pass è rimasto davanti insieme a Calcagni e a Cortinovis. Si è liberato di quest'ultimo subito dopo la discesa, e dell'altro collega sul famoso strappetto, per correre solitario verso il traguardo: e, sembrerà strano, è stata la sua prima vittoria ottenuta senza dover battere nessuno in piccoli o grandi sprint. In una carriera straricca come la sua mancava ancora l'arrivo solitario. Una soddisfazione doppia, quindi, macchiata però da un piccolo sgarbo: il campione italiano ha infatti rinunciato a disputare la crono di Lugano, scappando dal Giro di Svizzera con 24 ore di anticipo. "Era nei programmi", ha spiegato. Peccato: una corsa bisognerebbe onorarla dall'inizio alla fine. Speriamo che i prossimi programmi di Bettini prevedano un po' più di bon ton sportivo.

Ma.G.


Cioni, obiettivo podio centrato


Alla vigilia non nascondeva qualche velleità di vittoria al Giro della Svizzera. Non sapeva che avrebbe dovuto fare i conti con un Ullrich a tratti inavvicinabile, e con uno Jeker tutto orgoglio e determinazione. Ma il resto della truppa se lo è lasciato comunque alle spalle, e l'obiettivo (non troppo minimo) di un posto sul podio lo ha centrato in maniera brillante.
Dario Cioni ha così confermato al suo diesse Ferretti che ha fatto malissimo a non tenerlo in maggiore considerazione al Giro d'Italia, quando non gli ha messo al fianco nemmeno un compagno per aiutarlo nelle tappe più difficili. Nella corsa rosa l'ex biker ha dovuto fare tutto da sé (non solo: ha anche dovuto dare una mano quando bisognava tirare le volate a Petacchi), e si è conquistato un quarto posto d'oro.
Al Giro di Svizzera la Fassa Bortolo è stata, questa volta, dalla sua parte, e lo ha aiutato a inseguire quel posto sul podio tanto prezioso. Il regolarista Cioni cresce di anno in anno, tiene bene in salita e sta migliorando anche a cronometro. Avrebbe bisogno di sentire maggior fiducia intorno a sé, forse, per spiccare definitivamente il volo: un po' la storia di Tafi, gregario perché in squadra non credevano troppo in lui, vincente quando hanno capito che sbagliavano e gli hanno lasciato campo libero.
Cioni ha tutto per ripetere la parabola del vecchio Andrea: e tra un anno ci piacerebbe essere qui a commentare la definitiva metamorfosi da bruco in farfalla di questo serio professionista arrivato tardi ma con una gran voglia di bruciare le tappe.


Ma.G.

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