Il ciclismo che verrà - Adorni ci spiega le nuove riforme
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Non è il momento migliore per il ciclismo. Cinque corridori sono morti, quest'anno, perché il loro cuore si è fermato: naturalmente si sono rincorse tante voci, si è adombrata la longa manus del doping, con qualche eccesso polemico forse ma probabilmente senza tutti i torti. Ci piaceva, su questo tema, sentire la voce di un dirigente internazionale, e sapere anche cosa riserverà ai tanti appassionati il futuro prossimo di questo sport, cosa cambierà e cosa invece resterà uguale. Abbiamo sentito perciò Vittorio Adorni, presidente del Consiglio del Ciclismo Professionistico, agenzia che collabora strettamente con l'Uci, e l'ex campione del mondo ci ha tolto più di un dubbio.
Qual è il suo bilancio sul 2003 del ciclismo?
«Tecnicamente è stato un anno molto positivo, con le imprese di Armstrong al Tour e di Bettini in Coppa del Mondo, e con l'esplosione di Petacchi. Resta la solita piaga, il doping, a rovinare il quadro».
Cosa le è piaciuto di più e cosa di meno della stagione su strada?
«Ho ammirato il quinto Tour di Armstrong, che ha lottato non avendo una condizione ottimale, ha saputo soffrire ed è riuscito a sfruttare due casi fortunati: il cambio di clima (è venuto il fresco quando più ne aveva bisogno) e il fatto che Ullrich in avvio di corsa non credeva troppo nelle proprie possibilità, e quindi ha perso qualche secondo di troppo, o non ha attaccato con la giusta convinzione. Poi ho apprezzato Petacchi, soprattutto perché dopo dieci vittorie tra Giro e Tour ha dimostrato di non essere ancora sazio ed è andato a vincere anche alla Vuelta. Non mi è piaciuta invece una certa leggerezza dei nostri nelle gare a tappe, leggerezza evidenziatasi al Tour, dove Simoni partiva con grandi squilli di tromba ma poi, anche a causa di problemi fisici, non è stato mai in gioco per la vittoria: in linea dominiamo a livello internazionale, ma ciò purtroppo non succede nelle corse a tappe».
Aveva accennato al doping: è una battaglia che si può vincere?
«E' una rincorsa forse vana, che va avanti da anni: il doping è sempre più avanti, ma progressi importanti sono stati fatti, e l'agenzia antidoping internazionale, la Wada, sta lavorando bene. L'inseguimento è sempre difficile, ma alcune cose sono cambiate; e se anche gli altri sport si impegnassero come il ciclismo, vedreste quante sorprese...».
Ma è nel ciclismo che muoiono degli atleti, apparentemente senza motivo: e le domande della gente si fanno insistenti.
«Andiamoci cauti! Alcuni atleti sono scomparsi per malattie congenite, che magari avevano a livello latente, ma che si sono manifestate anche a causa dell'insistita attività fisica. Ciò vuol dire che anche gli esami medici più approfonditi non avevano rivelato simili problemi. Poi succede che si urli al doping con titoloni, ma quando l'autopsia esclude la presenza di sostanze illecite, arrivano tre righe di smentita sui giornali».
Si sa che comunque l'uso di doping può favorire l'insorgere di anomalie cardiache: forse c'è una connessione tra questo fattore e certe morti premature.
«I casi evidenziati quest'anno non ci dicono questo. La lotta al doping va combattuta a tutti i livelli, comunque, a partire dalle categorie giovanili, anche per far sparire un certo sottobosco che gravita intorno agli atleti: non mi si venga a dire che un corridore a 15 anni chiede di assumere sostanze dopanti! C'è sempre qualcuno pronto a offrirgliele, semmai. L'atletica Usa sta mettendo a punto un codice che prevede la squalifica a vita alla prima positività. Ecco, può essere una strada percorribile, elaborando un elenco di sostanze vietate valido per tutti gli sport».
Quale sarebbe la prima cosa che farebbe se fosse presidente della Fci o dell'Uci?
«La prima, la sto portando avanti già da ora, riguarda la nascita di una superlega di 20 squadre che dal 2005 farà la sua comparsa nel professionismo. E poi curerei in particolar modo i vivai: i giovani vanno seguiti, plasmati, preservati dal doping, perché sono loro il futuro di questo sport».
C'è qualche discorso avviato per portarla su una di quelle prestigiose poltrone?
«Da sempre, a dire il vero, ma io per ora sto bene all'Uci».
Ci spieghi l'idea della nascente superlega.
«Ci saranno 20 squadre, e solo 20, che dovranno partecipare, e saranno obbligate a farlo, a tutte le corse più importanti della stagione. Il calendario lo vedremo poi, ma senza dubbio ci saranno i tre grandi giri e le grandi classiche. Con 20 squadre di 25 corridori ciascuna pronte a scontrarsi da marzo a ottobre, inevitabilmente i confronti diretti tra campioni si moltiplicheranno, dando più sale alle corse importanti».
Non vedremo più, quindi, un Giro d'Italia corso praticamente soltanto da squadre italiane?
«Certo che no, ci saranno gli stranieri, le regole saranno chiare. Poi, al di là delle 20 squadre ammesse di diritto, gli organizzatori potranno invitare altre squadre minori a loro discrezione, seguendo magari criteri geografici».
Il Giro sarà più tutelato? Oggi troppe gare si disputano in concomitanza con la corsa rosa, cosa che non avviene col Tour, e molti corridori preferiscono affrontare impegni meno gravosi di una prova di tre settimane, ma ugualmente generosi per quanto riguarda i punteggi.
«Quando venne riformato il calendario internazionale, il Giro scelse di essere anticipato di qualche settimana, e non si potevano spostare tutte le altre corse. Comunque, mi ripeto, questi problemi non ci saranno più dal 2005, quando non saranno i singoli punteggi dei corridori alla base del sistema di partecipazione delle squadre alle varie corse, ma l'appartenenza o meno alla superlega».
Quindi la classifica internazionale, oggi foriera di diverse sperequazioni, sarà cancellata?
«Sarà azzerata dal primo gennaio 2005, e da quel momento si calcoleranno i punteggi soltanto anno per anno: chi avrà conquistato più punti in una singola stagione, sarà il numero uno per quell'anno».
Cambieranno anche i punti assegnati a seconda delle gare?
«Non ne abbiamo ancora discusso, ma credo che si andrà ad assimilare i punteggi di corse a tappe e in linea: niente più differenze tra una Milano-Sanremo e un Tour de France, quindi».
Non ci saranno più nemmeno i giochetti degli organizzatori sulla pelle delle squadre invitate o meno alle corse più importanti? Per intenderci, non ci sarà più un Cipollini lasciato a casa a tradimento da Leblanc?
«Cipollini sapeva di rischiare, avendo scelto una squadra con un punteggio non sufficiente per accedere di diritto al Tour: gli organizzatori poi fanno le loro scelte. Detto ciò, le squadre che vorranno partecipare ad un grande giro dovranno presentare la richiesta entro il 31 gennaio, e gli organizzatori renderanno pubblica la loro scelta entro il 31 marzo: in questo modo ci sarà più tempo, per le squadre e gli sponsor, di prepararsi. Ma i 20 team della superlega, lo ricordo ancora, non avranno di questi problemi, perché entreranno di diritto nel novero dei partecipanti».
Chi sarà l'italiano che appassionerà le folle nel 2004?
«Sarà gustosa la rivalità tra Cipollini e Petacchi, aspettiamo Bettini, Bartoli e Rebellin nelle prove in linea, e speriamo di vedere un Simoni protagonista al Tour. E sono curioso di sapere come si comporterà Basso, che finora ha fatto bene ma non benissimo, e che è atteso come un grande protagonista del futuro».
Ma quanto bisognerà aspettare per avere, a livello di popolarità, un nuovo Pantani?
«Chi può dirlo? Chi aveva previsto l'esplosione di Pantani nel '94? Un campione del genere verrà all'improvviso, e ci sorprenderà, ma noi saremo felici di averlo trovato».
Tifa per qualcuno in particolare?
«No, ma mi piacciono tutti quelli che attaccano senza timore, e magari così rischiano pure di perdere, e che non amano stare sempre a ruota».
Praticamente l'identikit di Bettini...
«Lui, e quelli come lui».




