Hai voluto la bicicletta? - Scopriamo il mondo di Leonardo Giordani
Versione stampabileUn campione del mondo è sempre un campione del mondo. Leonardo Giordani lo sa bene, per questo motivo non si capacita di come nei suoi 3 anni di professionismo non abbia ancora sfondato, lui che nel 1999 vinse il titolo iridato tra gli under 23. Nato a Roma ventisei anni fa, si accinge a iniziare il suo quinto anno da professionista. Quello della svolta, secondo quanto lui stesso promette e si impegna a mantenere.
«Per forza, non ho alternative. Mi sono stufato di non vincere mai, devo cambiare registro».
Facile a dirsi, forse, ma a farsi?
«Finora mi è mancata un po' di fortuna, e da parte mia non ho avuto la grinta necessaria per affrontare il professionismo. Poi è subentrata una certa paura di non essere all'altezza, dovuta anche alla mia inesperienza. Ma quest'inverno ho trovato quello che mi mancava, sono un uomo nuovo, credo nei miei mezzi, sono convinto che il 2004 sarà per me l'anno giusto».
Garantisci quindi che avremo finalmente il vero Giordani?
«Sì, spero di partire bene da subito e di dire la mia sin dalle prime corse della stagione».
A chi dedicherai il primo successo importante?
«A mia madre e mio padre, e poi logicamente a mia moglie e al mio bambino di 9 mesi».
Posto che quello più bello sia stato quando hai vinto il mondiale, qual è stato il giorno più brutto da corridore?
«Ce ne sono tanti, ma se uno si mette a ricordarli non va più avanti. Nello sport è normale vivere momenti difficili, ma si gareggia per quegli altri, per i meno numerosi giorni felici. Il mondiale, sì: quello per me è ancora il momento più alto della mia carriera. Quando vinci un titolo iridato resti per sempre negli albi d'oro, non puoi scordarlo. Tuttora ricevo premi per quell'affermazione: in ottobre la Regione Lazio mi ha conferito un'onorificenza».
Chi è il tuo punto di riferimento, il tuo modello nel ciclismo?
«Tra i corridori del passato mi ispiro a Indurain, campione vero, e a Gianni Bugno, un'altra forza della natura. Oggi guardo con ammirazione a Museeuw: sempre competitivo, in prima fila da quindici anni, un fenomeno».
Giro d'Italia o Tour de France?
«Scelgo il Giro, perché si corre in casa e c'è un grandissimo seguito di pubblico: se vinci al Giro ti riconoscono tutti, per gli italiani è la corsa più importante, insieme alla Sanremo. E nel 2004 io ci sarò senz'altro, sia al Giro che alla Sanremo».
Qual è la corsa più affascinante tra quelle che hai fatto?
«Senza alcun dubbio il Giro delle Fiandre. In Italia il Giro del Lazio e il Giro di Lombardia. Ma il Lazio oggi mi piace meno: non arriva più a Roma, e invece quel traguardo vicino al Colosseo, di fronte all'Arco di Costantino, era insostituibile».
Ecco, Roma: che cosa pensi della tua città?
«Purtroppo non ci vivo più, per motivi professionali mi sono trasferito in Toscana, dove mi sono anche sposato. Vivo a Pistoia, ma appena posso, almeno una volta al mese, torno a Centocelle, il mio quartiere, a rivedere i miei amici e il mio mondo. Ho girato tanto per il ciclismo, ho visto parecchie città, ma Roma resta la più bella di tutte, è uno spettacolo. Con un problema grave, però: il traffico. Non vivendoci più e non essendoci più abituato, mi rendo conto maggiormente di quanto sia assurdo stare per ore in macchina, bloccati negli ingorghi quotidiani».
C'è un angolo di Roma che cerchi, in cui ti piace tornare, magari in cerca di serenità?
«Certo, ma come faccio a scegliere? Sono tanti: il Gianicolo, lo Zodiaco, Piazza Navona...».
Roma o Lazio?
«Roma, Roma! Sono un tifoso accanito, vado a seguire la squadra in trasferta, le ultime partite che ho visto sono quelle di Empoli e Bologna. Stiamo andando benissimo, se continua così ci sarà un'altra festa indimenticabile come quella di due anni fa».
Attualmente tu sei l'unico professionista romano. Come mai la capitale dà così pochi uomini al ciclismo?
«A Roma c'è tutto, si vive bene, e invece il ciclismo è uno sport di fatica e sacrificio, e per correre ti devi privare di tante cose. Forse in questa città, più che altrove, è difficile rinunciare a quello che si può fare o avere. Io ce l'ho fatta, ma ritengo di essere un "duro", mi piace faticare. Un altro motivo è senza dubbio il traffico: uscire in bicicletta in città significa esporsi a troppi pericoli, specie al centro: io, che sono un professionista, già rischio tanto. Figurarsi un bambino di dieci anni, inesperto. Capisco quei genitori che preferiscono non mettere in questo modo a repentaglio la salute dei propri figli, e magari li indirizzano verso altri sport, più sicuri».
Hai degli hobby, a parte le bici?
«Stare in giro con mia moglie e mio figlio».
Preferisci i libri o i giornali?
«Leggo molto i quotidiani sportivi e i giornali specialistici di ciclismo».
Qual è il film che non ti stanchi mai di rivedere?
«Il Gladiatore è il film più bello che abbia mai visto in vita mia. Ma mi piacciono anche i comici romani (ho visto tutti i film di Verdone) e i film d'azione americani, con DeNiro e Pacino».
Hai amici nel ciclismo?
«Amici è una parola grossa, importante. Chi lo sa... diciamo che ho dei colleghi, con cui vado più o meno d'accordo. Ma amici no: in questo ambiente non ti guarda in faccia nessuno».