13.1.1970-14.2.2004 - Sciacalli ci fate schifo!
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Quello che proprio ti fa incazzare è che ne vieni fagocitato, senza neanche rendertene conto. Stai lì a guardare inebetito e non ti ricordi neanche che hai il telecomando, che se vuoi puoi cambiare canale. Nel mondo dei media, insegnano i sociologi della comunicazione, tutto va al contrario: è l'offerta che genera la domanda. Non sei tu che hai voglia di una mela, e allora il negoziante se la procura e te la offre. No, nel mondo dei media è il negoziante che decide, per chissà quali interessi, che tu devi mangiare 10 mele al giorno, e allora te le propina e a te sembra di non poterne più fare a meno. Ma in realtà non ne fai a meno perché non conosci, o hai dimenticato, il sapore delle arance, delle angurie, delle pesche. Con tutto il rispetto per la frutta, stiamo parlando di tv.
Televisione. Televisione italiana, per la precisione.
Marco Pantani è morto tragicamente. Ne siamo sconvolti, distrutti, non ci capacitiamo di come un uomo che, nel bene e nel male, ha significato così tanto per noi e per quest'ultimo decennio, sia potuto finire così. Ci siamo chiusi nel nostro dolore, abbiamo versato in silenzio le nostre lacrime, abbiamo cercato un moto di conforto nei messaggi che quelli come noi, distrutti da un lutto comune eppure così intimo, avevano lasciato nei vari forum, sui vari siti. Un modo come un altro per condividere un momento difficile.
Poi c'è l'altro modo di affrontare certe questioni. Speculando, parlandosi addosso, elucubrando, promuovendo le proprie verità assolute, dando per scontate cose che in realtà non si conoscono affatto; così facendo, calpestando la dignità di chi è morto, di chi è rimasto vivo e piange, e vorrebbe silenzio e sobrietà e invece gli tocca questo mercato volgare, chiassoso e squalificante.
Dalla sera di sabato in poi è stato tutto un susseguirsi, in televisione, di trasmissioni mostruose, incapaci di focalizzare alcunché all'infuori dello smisurato ego di chi le frequenta e ha sempre una sentenza, una dichiarazione, un punto di vista su ogni cosa. Personaggi che parlano e opinano solo perché hanno la lingua in bocca (e perché qualcuno li paga per farlo, ahinoi), ma senza alcuna cognizione di causa su qualsiasi fatto; che sentenziano per sentito dire, senza mai verificare la fondatezza di una convinzione; che chiacchierano da anni e ancora siamo qui ad aspettare che dicano una, una cosa interessante, degna di essere ascoltata.
Avevamo un disperato bisogno di ricordare, di stringerci (in ritardo) intorno a Pantani, di sentirci parte di una comunità che ha condiviso le magiche e successivamente tragiche emozioni della sua vita. Invece ci imbattevamo da una parte (li facciamo i nomi, li facciamo) in Piccinini che, indossata la faccia della contrizione, si sforzava di porre domande non scontate a Cipollini nell'attesa di mandare il solito autospot-truffa sul suo giornale Controcampo, e passava la palla ai suoi retori Mughini e Ordine che a malincuore dovevano rinviare a dopo le loro arguzie su Juve e Milan.
E dall'altra in Giletti e Zazzaroni (non stiamo a spiegare quali facce ci siano dietro a tutti questi nomi: se li conoscete bene, se non li conoscete vi invidiamo) che pontificavano e svisceravano una questione di cui erano visibilmente digiuni, con Zucconi collegato via satellite e con il solito spettinato psichiatra pronto alla bisogna (Andreoli, si chiama così?), il quale naturalmente non si faceva pregare per avanzare ipotesi e tracciare addirittura il profilo psicologico di un uomo che a stento aveva sentito nominare prima di domenica.
E poi ancora, figurarsi se poteva esimersi Biscardi dal dedicare mezza trasmissione al fatto del giorno! Figurarsi se il saccente Ferrara e l'insipida Palombelli potevano non ricamare sulla vicenda, magari mascherando la cosa con un'intervista al giornalista-scrittore di turno. Figurarsi se Bruno Vespa poteva mancare l'appuntamento con il ricordo, e siamo già fortunati che non avesse in studio il plastico del residence Le Rose di Rimini.
Quel che è peggio, "quelli del ciclismo" si sono prestati ai teatrini. Forse per voler dare la loro versione, certo più attendibile di quelle di conduttori, nani e ballerine. E invece non si sono resi conto di aver fatto solo il gioco della televisione che tutto ingurgita e tutto mastica e poi sputa dopo due giorni. Si sono messi nelle mani di gente che è abituata a trasformare in merda tutto quello che tocca (scusate l'espressione. L'indirizzo mail è in alto, mandatecene di più efficaci, se ne siete capaci).
Tony Lo Schiavo, vicedirettore di Bicisport, quale impulso ti ha spinto ad andare al Processo di Biscardi, in mezzo a personaggi che settimanalmente si scannano (per finta) su rigori non dati e arbitri venduti, e che da decenni dimostrano quanto può regredire la civiltà del genere umano? Che bisogno c'era? Speravi che il pubblico di Biscardi sentisse la tua voce in mezzo a quella cagnara?
Davide Cassani, non ti perdoneremo il tuo sfogo alla Domenica Sportiva. Sapevi, temevi, intuivi ma non hai fatto niente per fermare la spirale autodistruttiva di Marco. Stai malissimo. Rispettiamo il tuo dolore, ci mancherebbe; ma perché andarlo a spiattellare in televisione? Cosa volevi ottenere? Quale cultura soggiace a quelle lacrime, a quelle autoaccuse davanti alle telecamere? La cultura dei Costanzo, delle De Filippi, delle D'Eusanio, delle Vite in diretta, degli Stranamore, di quelli che credono (e ne hanno convinto il pubblico, dannazione!) che la tv sia il lavacro di ogni male, che basti passare da un tubo catodico per rifarsi una coscienza, che basti esibire un lutto davanti a milioni di occhi avidi (resi avidi) di real-tv per elaborarlo.
Quella macchietta di Diego Maradona ha detto che siamo tutti colpevoli per la morte di Pantani. Niente paura, è la solita accusa generica che non fa male a nessuno, il solito grido di vittimismo inutile. Eppure è anche vero, per certi versi. Siamo colpevoli di aver permesso questo genere di industria culturale, capace di partorire simili vergogne; di non essercene accorti in tempo (e ormai è troppo tardi) e di aver accettato supinamente il sopruso televisivo.
Marco Pantani è morto. Ecco che cosa ci sarebbe piaciuto, una volta piante le nostre lacrime: ci sarebbe piaciuto che la Rai ripescasse una tappa del Giro o del Tour del '98, e la riproponesse per intero, con la voce di Adriano a commentarla, senza sottotitoli, o presentazioni, o superflue specificazioni. Ci sarebbe piaciuto che Italia1 facesse eco e ci facesse rivedere il Mortirolo nel '94 (il Giro quell'anno era di Mediaset), quando Pantani malmenò nientemeno che Indurain e si presentò al mondo che senza saperlo era avido di lui. Anche lì, la tappa per intero, senza fronzoli.
Sarebbe stato il modo migliore per onorare il campione che non c'è più. Sarebbe stato, sì. Sarebbe stata anche una scelta civile, ma, dobbiamo aver pazienza e farci coraggio, qui intorno, in questo declino e questa decadenza, di civiltà se ne respira proprio poca.
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