Hai voluto la bicicletta? - Scopriamo il mondo di Michele Gobbi
Versione stampabile «Sopravvissuto» alla fusione della De Nardi con il Team Colpack, Michele Gobbi, venticinquenne vicentino (nato il 10 agosto del 1977), si dichiara molto contento per essere rimasto in un mondo che, pur attraversando un periodo di crisi economica, può dare grandi soddisfazioni e comunque regala una vita molto varia. Ad esempio lui è appena tornato dalla Malesia, dove, sotto un sole da 35°, si è piazzato al tredicesimo posto nel Tour de Langkawi. Da una parte all'altra del globo, senza curarsi troppo del jet-lag, ma con in testa solo il bene della squadra.
Si stava meglio nell'altro emisfero?
«Anche troppo bene! Ci siamo goduti il caldo da cinque giorni prima dell'inizio della corsa, visto che eravamo arrivati in anticipo per ambientarci. Ho ottenuto qualche piazzamento, ho chiuso in una buona posizione di classifica, e, tra una tappa e l'altra, pur senza avere il tempo di andare al mare, qualche bagno nelle piscine degli alberghi me lo sono fatto».
Come si descriverebbe Michele Gobbi?
«Come una persona semplice, che dà sempre il massimo (anche troppo), e che se si gestisse meglio in corsa potrebbe ottenere risultati migliori: ma vado spesso in fuga a inizio gara, e così alla fine sono troppo stanco per stare davanti. Sono troppo impulsivo, anche nei rapporti umani».
Il direttore sportivo la bacchetta per questo motivo?
«No, perché in ogni caso svolgo un lavoro utile alla squadra. E' il mio ruolo, faccio la corsa prima che entrino in gioco i capitani. Qualcuno apprezza questo mio modo di correre, se è vero che la mia squadra mi ha rinnovato il contratto, mentre tanti colleghi sono rimasti senza ingaggio. Anche se forse, se non ci fosse la De Nardi, sarei a spasso anch'io».
E cosa farebbe, in tal caso?
«Probabilmente avrei lavorato, facendo l'idraulico con mio padre: è il mestiere che avrei fatto se non avessi fatto il corridore».
Perché, il ciclismo non è un lavoro?
«E' un divertimento, e in più mi pagano. Ma io penso che non si debbano vivere le cose come degli obblighi: meglio prenderle come un piacere. Anche quando smetterò di andare in bici sarà questa la mia filosofia».
Cosa farebbe per il successo?
«Poco. Cerco di fare quel che è possibile in maniera serena, ma non ho l'ansia da risultato; do battaglia sui terreni su cui sono competitivo, ma se le cose vanno male non me la prendo».
Una corsa da vincere, comunque, ci sarà.
«Una sola? Tra le tante potrei citare quella che rappresenta il sogno per tutti noi, la Milano-Sanremo. Sogno una fuga che parta all'inizio della gara e che vada in porto: qualche anno fa ci ho provato, ma mi hanno ripreso».
E la gara più bella fin qui disputata?
«Sempre quella, la Milano-Sanremo. Ha un fascino tutto suo, e poi si sente il calore del pubblico sulla strada. Certo, anche il Giro d'Italia è stata una bellissima esperienza: essere al centro dell'attenzione per venti giorni, con tante tappe in cui mettersi in evidenza è fantastico. Penso che il Tour sia ancora più grande, in questo senso, ma non l'ho ancora disputato».
Chi è il suo mito ciclistico?
«Pantani. Con tutto quello che ha passato, io al posto suo mi sarei già ritirato. Invece lui lotta ancora, e bisogna riconoscere che ha un grande coraggio. Spero che torni ai suoi massimi livelli e ci faccia vedere ancora qualcuno dei suoi numeri».
Quali sono i suoi hobby, a parte la bicicletta?
«Imparare di tutto, conoscere persone che mi possano trasmettere le loro esperienze, leggere».
Un libro che ha lasciato il segno?
«"Foglie d'erba", di Walt Whitman».
Ha l'animo da poeta?
«A volte sì, a volte no».
Canta mentre pedala?
«Più che altro ascolto: tutte le canzoni che registro dalla radio, e che mi danno una bella carica».
E' innamorato?
«Al momento no, in futuro speriamo».
C'è qualche programma che non è riuscito a compiere, in passato?
«Non mi pare. Ho portato a termine gli studi, mi sono tolto qualche soddisfazione in bici... Sono soddisfatto».
Che rapporto ha con internet?
«Tutto da costruire: non sono ancora un esperto, anche se sto iniziando ad accostarmi alla rete».
Coppi o Bartali?
«Coppi, perché era più silenzioso, agiva di più. Bartoli suscitava invece più clamore».
Moser o Saronni?
«Saronni, più combattivo, più tenace».
Bugno o Chiappucci?
«Bugno, più schietto e sincero».
Gobbi o ...?
«Nessuno, non mi piace duellare. Non voglio pormi a confronto con nessuno, ma solo essere me stesso».