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Hai voluto la bicicletta? - Scopriamo il mondo di Massimo Cigana

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Massimo Cigana è un ragazzo serio che probabilmente ha dato al ciclismo più di quanto il ciclismo non abbia dato a lui: nato a Mestre nel 1974, passato al professionismo nel 2000, è in squadra con Pantani alla Mercatone Uno. Inevitabile chiedergli qualche notizia fresca sul suo celebre capitano.
«Il Pantani di quest'avvio di stagione fa ben sperare. Quest'inverno ha fatto tanti chilometri, ha una gran voglia di dimostrare di non essere finito».
Se non è finito, dov'era finito negli ultimi due anni?
«Era stato massacrato psicologicamente, ha vissuto costantemente sotto stress, era difficile per lui anche solo concentrarsi sulle gare».
Quando si è in squadra con Pantani è inevitabile che tutti ti chiedano di lui. Quanto vi pesa questo fatto?
«Non ci pesa affatto. Marco non è un personaggio ingombrante per noi, tutt'altro: è un motivo d'orgoglio essergli vicini. Rispetto ad altre piccole squadre, noi siamo sempre al centro dell'attenzione, e questa cosa ci dà una soddisfazione unica».
A proposito di soddisfazioni, quali cercava Massimo Cigana nel ciclismo professionistico?
«Speravo di far bene, poi il destino si è accanito contro di me: nel 2001 a causa di una caduta mi fratturai due vertebre, guaio di cui pago ancora oggi le conseguenze. Ho sofferto di diverse tendiniti e nel 2002 ebbi addirittura un'intossicazione alimentare. In più ho corso poco perché eravamo 19 in squadra e facevamo attività unica (nel senso che il team partecipava a una gara per volta e non a più corse contemporaneamente), quindi ci dovevamo alternare, e fatalmente lo spazio si riduceva. Pensare che il primo anno da pro' era andato bene, avevo anche fatto un quindicesimo posto al Giro di Svizzera».
Come mai sei passato al professionismo in ritardo rispetto ad altri?
«Semmai sono altri che passano in anticipo e senza averne merito: non so perché non mi abbiano cercato prima, tra i dilettanti i risultati li ho sempre ottenuti. Fu Martinelli a volermi, nel 1998 mi fece firmare per il 2000, così restai un anno in più in sala d'attesa».
Come ti descriveresti a chi non ti conosce?
«Sono volenteroso, ma di sicuro anche sfigato. Comunque mi reputo una persona tranquilla, mi concentro sui miei obiettivi e cerco di raggiungerli».
Cosa faresti per il successo?
«Niente; io ci metto il massimo impegno, poi non è detto che uno debba correre esclusivamente per il successo: a me andrebbe bene essere un ottimo gregario, e sarei onorato di poter aiutare Pantani in salita».
E' quel Giro di Svizzera la gara più bella che hai corso?
«Sì, poi quell'anno anche la Tre Valli Varesine e il GP di Zurigo».
E una corsa da vincere?
«Il Giro di Lombardia, credo sia il top per tutti, e poi è la più adatta a me e alle mie caratteristiche. Comunque non è che stia qui a sognarla ad occhi aperti, sono molto realista».
Hai qualche hobby con cui ti rilassi tra una gara e l'altra?
«Sono appassionato di tutto ciò che riguarda la tecnologia, e poi vado spesso a pesca, leggo molti libri, ho tanti amici».
In bici canti?
«No, non canto, semmai mi porto il walkman e ascolto Radio DeeJay».
Sei innamorato?
«No, al momento sono single».
Coppi o Bartali?
«Coppi».
Moser o Saronni?
«Moser».
Bugno o Chiappucci?
«Bugno».
C'è qualcuno che stimi particolarmente nel mondo del ciclismo?
«Martinelli, una brava persona; e Maini».
Vivi a Mestre, ma a Venezia ci vai spesso?
«No, per niente! Pur vivendo a 5 chilometri di distanza, ci vado una volta ogni due o tre anni, in occasioni particolari come il Carnevale».
Navighi in internet?
«Sì, certo».

Marco Grassi    

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