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Corsivo - Le allegre pronunce di Gold Bulbarelli

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Auro Bulbarelli è da qualche anno la voce del ciclismo italiano. Quelli che lo apprezzano dicono che ha una sua cifra stilistica, che ha un bell'affiatamento con l'opinionista Cassani, che nelle sue telecronache trova gradevolmente modo di spaziare e di parlare anche dei luoghi in cui si svolgono le corse e della storia dei medesimi, e infine che è sinceramente appassionato alla materia.
Quelli a cui non piace lo trovano un po' saputello, pronto a correggere in corsa Cassani su qualsiasi argomento, e però poi capace di sbagliare molto spesso lui in prima persona, e lo accusano di avere gravi lacune sulla storia del ciclismo.
Di fatto, l'eredità (pesante) che ha ricevuto dall'indimenticabile Adriano DeZan lo pone in una condizione non facile: il confronto con il fuoriclasse che l'ha preceduto a quel microfono sarebbe ingeneroso per chiunque. D'altro lato, la sua relativamente giovane età ci dà la certezza che, se non ci saranno cataclismi, con Bulbarelli convivremo per molti anni ancora. E quindi, come succede nei matrimoni di lunga durata, converrà venirsi incontro, e trovare qualche compromesso per non finire con l'odiarsi.
Per quanto ci riguarda, la questione che ci sta a cuore più di ogni altra è quella delle pronunce. Le pronunce dei nomi e dei cognomi dei corridori stranieri, per essere più precisi. Non sappiamo se Auro si rivolga a colleghi di altri paesi per avere delle dritte in merito, ma l'impressione che si ha è che lui preferisca fare da sé, improvvisare, dare un tocco personale alle sintassi di mezzo mondo, forse con l'intima ambizione di migliorarle.
Altrimenti, perché insistere su Voèckler, con l'accento sulla prima e non sulla seconda "e", come invece suggerirebbe la nazionalità francese di T-Blanc? Cassani ci ha pure provato, durante il Tour, a chiamarlo correttamente Voecklèr. Ma il democratico Auro lo ha subito riportato all'ordine, stabilendo che "noi preferiamo pronunciare Voèckler" (parlava a nome di entrambi, o addirittura dell'intero popolo italiano?), e la spiegazione a tanta ostinazione l'ha data subito dopo: "I francesi hanno l'abitudine di accentare sempre l'ultima sillaba". Chiaro, no? Ma pensa te cosa ti vanno a fare questi bislacchi di francesi! Dovremo proprio fargli cambiare abitudini, e dopo tenteremo di convincere gli spagnoli a usare la "gn" in luogo della loro troppo esotica "ñ", e quindi passeremo a imporre agli inglesi di cambiare il loro articolo universale "the" perché ci sarà senz'altro qualcuno che lo confonde con la nota bevanda delle 5.
Bulbarelli non si ferma davanti a niente: "Sì, sappiamo che si dice Vinokoùrov, ma noi continueremo a chiamarlo Vinòkourov", dice mal celando mire riformistiche sull'alfabeto cirillico. Deve avercela in modo particolare con gli accenti, Auro, forse un trauma infantile rimosso, perché poi regala altre perle. Hìncapie o Càdel (Evans, e si dovrebbe dire "Chèidel"), anglofoni in tutto e per tutto, diventano Hincapì e Cadèl, l'ungherese Bodrogi diventa Bodrogì. Ma non erano i francesi ad accentare l'ultima sillaba?
Ma siccome lo spirito innovativo ci deve sempre accompagnare, ultimamente Bulbarelli ha avuto un vero colpo di genio: ha iniziato ad italianizzare i nomi propri dei corridori latini. Troppo difficile dire Benjamìn (con la forte aspirazione in mezzo, ne viene fuori qualcosa come Benhamìn) Noval? Niente paura, si risolve tutto ribattezzando il gregario di Armstrong come Beniamino Noval. Alejandro Valverde? E' superato, ora si chiama Alessandro. La coerenza, però, imporrà che non solo gli spagnoli vengano sottoposti a tale traslazione. Quindi aspettiamoci di qui a poco l'arrivo sulle strade del ciclismo di Gianni Ullrich, o di Enrico Zabel, o di Tommaso Boonen, o di Michele Boogerd. E poi perché limitarsi? Allarghiamo il campo anche ai cognomi! Lasciamo perdere Fabian Wegmann, troppo difficile, d'ora in poi sarà Fabio Uomo-Via; Robert Hunter? Perché sforzarsi tanto quando il suo vero nome è Roberto Cacciatore? Va da sé che la Vuelta 2001 l'ha vinta Angelo Guardiano, e non certo Angel Casero.
Come si vede, c'è un bel lavoro da fare. Resterebbe solo da rendere l'impresa ufficialmente pubblica e nota anche nel resto del mondo, e perché ciò avvenga bisognerà internazionalizzarsi un po'. Quindi, per puro amore della scienza, chiediamo a Bulbarelli un estremo sforzo: la smetta di farsi chiamare, in maniera troppo provinciale (un latinismo nel nome, poi! Che inutile snobismo!), Auro. Molto meglio un più riconoscibile ed esportabile Gold: Gold Bulbarelli. Suona bene, no?

Marco Grassi

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