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Un americano a Parigi - Armstrong e il suo quarto Tour

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Il lato umano del campione è anche inutile continuare a scandagliarlo: c'è ormai una letteratura infinita sull'incredibile vicenda di Lance, del suo "prima" e del suo "dopo", di come il cancro lo abbia trasformato, maturato, rinforzato, blindato contro qualunque avversità possibile, perché quale battaglia (anche sportiva) può eguagliare la lotta (vinta) contro il terribile male?
A noi, stavolta, interessa guardare soltanto l'aspetto agonistico della quarta affermazione consecutiva di Lance in terra di Francia. Un'edizione del Tour che sarà ricordata come una gara di transizione, di mezzo, tutta proiettata verso il prossimo anno, quello del centenario e della cinquina, due appuntamenti talmente importanti da non poter non coincidere: il centenario del Tour, la cui prima edizione risale al 1903 (vinse il valdostano Maurice Garin), e la cinquina di Armstrong, che non eguaglierebbe Merckx, Anquetil, Hinault, ma solo Indurain, finora l'unico, tra quelli che vantano cinque Tour nel palmares, ad averli vinti consecutivamente.
Eddy Merckx sostiene che per almeno un biennio l'americano continuerà a non avere rivali, e quindi prospetta all'orizzonte un'incredibile filotto di sei vittorie. E' più o meno il programma che ha Armstrong: due altri anni alla grande, poi il ritiro. Non è mai esercizio troppo saggio ipotecare il futuro, specie a così lunga scadenza: lo stesso Indurain cadde dal piedistallo e poi decise di ritirarsi nell'arco di tre mesi, dal Tour perso contro Rijs alla Vuelta che la Banesto lo costrinse a correre e che provocò in lui una vera e propria crisi di rigetto. Non possiamo prevedere cosa avverrà da qui a due stagioni.
Non è però una bestemmia considerare che, veramente, Lance non ha rivali. Quando per anni i distacchi sono più o meno quelli inflitti anche stavolta ai malcapitati che passano davanti a lui (7'17" al secondo, Beloki), c'è poco da argomentare: ci troviamo di fronte ad una superiorità schiacciante. Questo quarto Tour Armstrong l'ha vinto, come i precedenti, in salita, ed è un successo che parte da lontano, da ben prima di novembre, il mese in cui il texano inizia a preparare il luglio successivo. Parte dall'ingaggio di due scalatori del calibro di Heras e Rubiera, che sarebbero capitani in qualsiasi squadra, ma che hanno deciso di essere i luogotenenti di Lance. Una scelta che non può essere spiegata solo con un ricco stipendio, ma che è da cercarsi anche nella grande carica umana di Armstrong, nel suo carisma, nella sua capacità di coinvolgere chi gli è vicino: non si spiegherebbe, altrimenti, perché i due potenziali maggiori rivali dell'americano abbiano scelto di porsi sotto la sua ala protettrice (e di proteggerlo a loro volta).
Il Tour appena finito ha avuto uno svolgimento quasi accademico, e sempre prevedibile: bastava il ritmo imposto in salita dai due angeli spagnoli per fiaccare la resistenza del gruppo, e far passare a tutti la voglia di attaccare. Solo i temerari partiti da lontanissimo potevano trovare spazio, e solo uomini non di classifica. Il ferreo controllo della corsa, e la capacità di Armstrong, poi, di innestare a un certo punto la sua marcia per piantare tutti in asso, nel momento in cui gli avversari boccheggiavano, sono la chiave di lettura del Tour 2002. Addirittura troppo semplice da capire.
Oltre a ciò, va anche detto che il parterre dei protagonisti era in realtà un parterre di non protagonisti, buoni al massimo a fare da sparring partner, ma non di lottare all'altezza dell'americano per la vittoria. Il solo Botero, a sprazzi, ha dato fastidio alla maglia gialla (battendola tra l'altro in una cronometro, a Lorient), ma si è poi confermato corridore troppo discontinuo. Gli altri, da Beloki a Gonzalez de Galdeano, non hanno procurato a Lance il minimo fastidio, forse accontentandosi di correre per il secondo posto (ma non per vigliaccheria, bensì per coscienza dei propri mezzi e di quelli del texano). Rumsas, nome nuovo ma non troppo, è stato il più regolare dei rivali, ma ora emergono oscure ombre di doping su di lui.
Gli altri sono tutti una voragine dietro ad Armstrong, anche gli italiani della partita: ma Basso, migliore dei nostri, è anche stato il migliore dei giovani under 25. E' su questa maglia bianca che si concentrano le speranze degli appassionati orfani di un Pantani.

Marco Grassi

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