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La marcia trionfale - Chi fermerà l'invincibile Armstrong?

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Ogni pronostico si è facilmente tramutato in realtà e il Tour de France ha seguito un leitmotiv oramai praticamente tradizionale, visto che va avanti da quattro anni: un uomo solo al comando, la sua maglia è a stelle e strisce, il suo nome è Lance Armstrong. Il texano ha quasi finto di preoccuparsi dei suoi pseudorivali (pseudo perché, sportivamente parlando, non gli arrivano neanche alle spalle) e poi ha fatto a modo suo.
Ha fatto, cioé, nell'unica maniera che gli è familiare: ha spaccato la resistenza di chi sperava di fargli le scarpe sin dalla prima tappa di montagna. Sui Pirenei (a La Mongie) Armstrong ha immediatamente buttato giù dalla torre Igor Gonzalez de Galdeano, che osava indossare la casacca che, per indiscutibile diritto divino, è destinata alle spalle di Lance: quella gialla. Grazie all'aiuto dei suoi gregari d'oro (Heras e Rubiera si sono dimostrati insostituibili) ha fiaccato progressivamente le forze degli uomini della Once, e, bissando a Plateau de Beille il successo di ventiquattr'ore prima, ha tenuto a distanza anche Beloki, che pareva l'unico in grado di stare vicino al Campione, in certi frangenti.
Il basco ha poi avuto il fatto suo sul Mont Ventoux: Armstrong senza compagni, stavolta, e Joseba che si fa preparare il terreno da Azevedo e poi, sventurato, attacca. Senza pietà Lance non solo non ha concesso un metro all'avversario, ma con due colpi di pedale se lo è scrollato di dosso ed è andato a scavare un altro solco tra sé e il resto del mondo.
Con questi chiari di luna, le Alpi (e l'ultima crono) saranno una pura formalità per l'americano che pare affamato come se non avesse vinto mai nemmeno un traguardo volante. Il poker, come (quasi) tutti prevedevano, sta per essere completato. A parte l'imponderabile, non pare davvero esserci, neanche all'orizzonte, l'uomo che farà piangere Lance.
Di fronte ad un simile fuoriclasse non si può neanche essere invidiosi (e se se ne ha la tentazione, basta ripensare alla storia dell'americano per pentirsi): bisogna soltanto fare tanto di cappello e, nel caso di noi italiani, sperare di averne, prima o poi, uno simile.
Proprio il Tour, per guardare nel nostro orticello, ci sta proponendo un tenace, efficace, caparbio Ivan Basso: è giovane, guarda ad Armstrong come ad un mito e ad un esempio, e forse sogna di poterlo, un giorno, emulare. 

Marco Grassi

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