Tour de l'Avenir 2014: Vervaeke, impresa con dedica - Coppa delle Nazioni al Belgio, classifica a López. Ciccone caduto
- Tour de l'Avenir 2014
- Aleksey Rybalkin
- Alexander Foliforov
- Brayan Stiven Ramírez Chacón
- Campbell Flakemore
- Emanuel Buchmann
- Giulio Ciccone
- Guillaume Martin
- Jack Haig
- Joaquim Silva
- Jérémy Maison
- Loic Vliegen
- Louis Vervaeke
- Loïc Chetout
- Manuel Senni
- Marc Soler Giménez
- Miguel Ángel López Moreno
- Pierre-Roger Latour
- Przemyslaw Kasperkiewicz
- Quentin Jaurégui
- Robert Power
- Sindre Skjostad Lunke
- Søren Kragh Andersen
- Tao Geoghegan Hart
- Pianeta giovani
Una giornata che difficilmente verrà dimenticata presto, tra gli addetti ai lavori in Belgio. Da una parte, la grande gioia del successo alla Coppa delle Nazioni, propiziato da una cavalcata solitaria di Louis Vervaeke per 60 km su e giù per salite storiche come la Croix de Fer e La Toussuire; dall'altra, l'immenso dramma di Igor Decraene, morto in circostanze misteriose a Zulte. Si parla ormai apertamente di suicidio, con tutto lo sgomento che ne consegue, per un ragazzo che nel fiore degli anni, per di più essendo un'eccellenza a livello mondiale (Campione del Mondo Juniores a Firenze nella prova a cronometro), decide di togliersi la vita per motivi che probabilmente resteranno ignoti.
A Decraene è dedicato il minuto di silenzio che precede una guerra totale, scatenatasi sin dal Col de la Molard. Il Belgio ha tutta l'intenzione di onorare la tappa, ma anche i francesi vogliono replicare lo stile di corsa messo all'opera nella tappa di ieri. Accade così che pronti? Via! Parte subito una fuga di 7 atleti, tra i quali c'è il nostro Manuel Senni; dentro la Francia ha messo Chetout e Martin, il Belgio Vliegen, la Spagna Soler, la Danimarca Søren Kragh Andersen, la Polonia Kasperkiewicz. All'inizio del Col du Molard il vantaggio è già sul minuto; partono allora in contropiede prima Brozyna e poi Vervaeke, riportandosi entrambi sui fuggitivi nonostante il vantaggio sia già intorno al minuto e mezzo sul gruppo. Maison, nono in classifica, tenta di stare dietro a Vervaeke ma non riesce a tenere il ritmo del belga.
Vliegen e Chetout fanno da pesci pilota, dannandosi l'anima su questa prima salita per guadagnare sul gruppo e sulla squadra colombiana. La prima vittima è però Senni, costretto a cedere e a rifugiarsi nelle retrovie. Dopo lo scollinamento, la Francia riprova a portare uno dei suoi uomini di classifica sulla fuga, con Jauregui che spiana la strada a Latour in discesa. Nonostante la grande disinvoltura del crossista di Cambrai, e l'aiuto di Martin, l'aggancio non riesce e Latour comincia la Croix de Fer con 30" di ritardo dai fuggitivi. Nel frattempo, Vliegen ha esaurito la sua azione e Vervaeke è rimasto con Kasperkiewicz, Soler e Andersen, mentre il gruppo si è già ridotto ad una trentina di unità ed è ad un minuto e spiccioli di ritardo.
È sulla storica salita del Tour de France che il belga spaventa davvero López, imponendo un forcing che leva presto di ruota i suoi compagni di fuga ed allontana Latour ed il gruppo. Il francese si rialza per evitare il fuorigiri. Il vantaggio aumenta e Vervaeke scollina con 2' sul gruppo, trainato da López rimasto solo con Brayan Ramirez; dopo tutto il "gruppo" è ormai un drappello di una quindicina di unità, tra le quali manca purtroppo Ciccone che tra l'altro, in discesa cadrà e finirà la sua corsa: solo botte per lui, nessuna frattura. Il belga della Lotto fa la discesa a rotta di collo ed arriva a guadagnare 2' sul fuoriuscito Soler e 2'50" sul gruppo, ben più del 1'39" che lo separa dalla vetta della classifica; il vantaggio tocca una punta massima di 3'15", ma il fondovalle che porta a La Toussuire e l'aiuto a López degli australiani, presenti ancora in forze, riduce lo scarto. E le energie per Vervaeke stanno per esaurirsi, come quelle di Soler che si rialza.
Flakemore e Ramirez fanno un grande lavoro, e quando esauriscono il loro compito davanti sono rimasti solo in 6: i primi 5 della classifica ed il tedesco Buchmann. E a questo punto, come ieri, López capisce che deve prendere in mano la situazione per salvare la maglia gialla: attacca ai -10 ed anche stavolta il primo a rispondere è Power, in un secondo momento anche Foliforov e Rybalkin riescono a riportarsi sui primi due della generale, mentre Latour accusa. Ai -3 ormai il vantaggio di Vervaeke è sotto il 1'39", ma pazienza: il belga stringe i denti e va a godersi una vittoria bellissima, con tripla dedica: a Decraene, a Goddaert e a suo nonno.
Foliforov, Rybalkin e López arrivano in quest'ordine distanziati di 34", con Power esausto poco dietro. Bisogna aspettare 1'54" per vedere arrivare Latour, 2'06" per Buchmann, tre minuti e mezzo per Maison ed il portoghese Silva: gli altri a quasi sei minuti. Una tappa come questa non poteva che scavare distacchi abissali. La classifica resta però invariata, con López che va a prendersi il Tour de L'Avenir su Power a 30" e Rybalkin a 44".
Una vittoria importante per il ciclismo colombiano, considerata la maretta che ha portato la federazione ad iscrivere una vera squadra nazionale e non una selezione degli uomini di Saldarriaga a l'Avenir; a un certo punto dell'anno sembrava che i colombiani neanche dovessero presentarsi. Era stata finora sottovalutata questa generazione di colombiani, guidata da Suaza Arango e da López, considerata inferiore ai suoi predecessori: ma stando ai risultati probabilmente così non è. E Miguel Angel López (vincitore anche della classifica scalatori) è anche abbastanza giovane, classe '94. Ancor più giovane Robert Power, che dunque conferma di essere un fortissimo scalatore, come raramente in Australia si è visto: magari l'anno prossimo tornerà all'Avenir per vincerlo. I russi, con Rybalkin terzo e un redivivo Foliforov quarto a 51", confermano di essere una squadra rognosa (vincono nettamente il titolo a squadre), ma avrebbero potuto osare di più e da qualche anno non riescono a confermarsi nel professionismo: Ignatenko, Novikov e Cherentskiy sembrano già delle meteore.
Vervaeke (1'15") soffia il quinto posto a Roger Latour (2'25"): la Francia come al solito è stata molto generosa, forse troppo in questa edizione, ma va detto che ogni anno tutti i corrodori della selezione transalpina spremono ogni energia. Ed una bella rivelazione è Jérémy Maison, nono a 5'54". Settimo Buchmann, a 3'16", preannunciato alla vigilia come possibile outsider e così è stato; più lontano, all'ottavo posto, il portoghese Joaquim Silva a 5'37". Chiude la top ten il britannico Tao Geoghean Hart: l'ultimo vincitore della Lunigiana (speriamo non sia davvero l'ultimo) non è stato appariscente ma ha condotto con regolarità questa corsa portandosi ad un lusinghiero piazzamento. Ritardo, 8'56": l'anno prossimo potrebbe essere uno dei favoriti.
Per gli azzurri si conclude una spedizione luci ed ombre. Indubbiamente il ritiro di Ciccone fa pendere la bilancia verso il basso, ma quello che preoccupa davvero è che saremmo stati nulli in salita se l'abruzzese non fosse stato ripescato: la nazionale è stata completamente formata da elementi di Colpack e Zalf, le due squadre più forti in Italia a livello dilettantistico, escludendo le Continental, e ci sarebbe da chiedersi se per questi corridori non sia necessaria una maggior varietà di percorsi per crescere al meglio. Molto al di sotto delle aspettative Senni e Filosi, bene invece Moscon, presente nelle tappe miste, e Zurlo, il quale ha dimostrato che sebbene in Zalf faccia il velocista, ha sin da ora doti da corridore completo. Pieno encomio invece per Davide Martinelli, che porta a casa la maglia verde e dimostra quanto sia meritato il suo imminente passaggio al professionismo, a dispetto di chi ha pensato che il suo essere figlio d'arte corrispondesse ad essere raccomandato.