L'intervista: Caleb, born to be the number Ewan - Il gioiellino venuto dall'Australia si racconta
Versione stampabileEra il 2 gennaio 2012. Una notizia inattesa rimbalzava dall'altra parte del globo in Europa: un diciassettenne australiano, Campione del Mondo dell'Omnium nella categoria juniores, aveva messo nel sacco professionisti affermati del calibro di Allan Davis e Leigh Howard alla Jayco Bay Classic, prova d'apertura della stagione australiana. Due giorni dopo quel ragazzino, papà del Queensland e madre coreana, concedeva il bis e per un solo punto perdeva la challenge da Allan Davis. L'attenzione nei suoi riguardi crebbe di colpo, e le buone impressioni che aveva lasciato vennero confermate in Europa, dove il giovanotto vinse una prova prestigiosa come il Palio del Recioto al primo anno da dilettante, nonché due tappe al Tour de l'Avenir.
Caleb Ewan, classe '94, è la next big thing del ciclismo australiano: non potevamo fare a meno di intervistarlo.
Caleb, domenica ti abbiamo visto alla prova sulle strade del Trofeo Piva. Gara dura?
«Sì, davvero dura, i percorsi del Piva sono difficili e diverse squadre hanno cercato di rendere la corsa ancora più dura».
Il tuo primo anno da dilettante è stato davvero fantastico. Quale vittoria ricordi con maggiore piacere?
«Penso proprio le ultime due, i successi di tappa al Tour de l'Avenir. Per il fatto che fosse il Tour, per i rivali importanti e perché era la Coppa delle Nazioni».
La base italiana ti permette di correre molte corse nostrane. Com'è il livello di queste gare, per la tua categoria?
«È sempre molto alto. Gli italiani ce la mettono tutta per rendere le corse dure e la presenza di tanti atleti stranieri non fa che aumentare il livello. È proprio ciò che noi vogliamo e che ci serve per crescere».
C'è qualcosa che contraddistingue il modo di correre degli italiani?
«Sì, oltre ad esserci molti ragazzi già specializzati come scalatori o velocisti, sono tutti molto aggressivi, non ti permettono distrazioni. È uno dei motivi per cui correre in Italia è utile per imparare la professione di ciclista».
Ti ha sorpreso la vittoria di Jakub Mareczko al Trofeo Rancilo?
«No, non tanto, ho avuto già modo di vederlo alla prova ed è veramente forte. Peccato, pensavo di poter vincere ma pazienza».
Quali sono le principali differenze tra il correre in Australia e il correre in Europa?
«In Australia non ci sono mai tanti corridori nelle gare, oltre al fatto che non c'è la stessa competitività. La prima cosa che noti quando corri in Europa è il numero di partecipanti, decisamente impari a stare meglio in gruppo».
Quali sono i tuoi principali obiettivi stagionali? Che tipo di corridore ti aspetti di diventare? Una volta dicesti che il tuo sogno era quello di vincere il Tour de France.
«Intanto puntiamo sulle prossime due settimane. Spero di far bene subito al Fiandre, forse anche alla Côte Picarde e alla Liegi. Bisognerà aspettare il mio passaggio al professionismo, per capire che tipo di corridore diventerò».
A proposito di questo, sappiamo che passerai nel 2015 in Orica. È programmato uno stage per quest'anno?
«I piani per il finale di stagione non sono stati ancora fatti, passo di sicuro con la Orica ad ottobre. Forse verrà programmato uno stage già da agosto, decideremo».
Sei stato da juniores Campione del Mondo dell'Omnium. L'esperienza della pista cosa ti ha lasciato?
«Penso che gran parte del bagaglio che lascia la pista sia soprattutto tattico. Per vincere devi essere sempre nella posizione giusta, è difficile recuperare se sei troppo dietro: è stupefacente, quando corri, vedere come sia importante partire da una buona posizione in uno sprint».
Non c'è più spazio per la pista nel tuo futuro?
«No, definitivamente».
Sei arrivato alle luci della ribalta in modo rocambolesco, dopo aver battuto da juniores dei professionisti nella Jayco Bay Classic, e le successive conferme non hanno fatto altro che aumentare le attese. Non senti la pressione su di te?
«No, finora non ho sentito la pressione, è una cosa di cui - almeno per il momento - non mi preoccupo più di tanto».
Parliamo un po' d'Italia. Com'è vivere a Varese? Voi ragazzi della nazionale australiana cosa fate quando non siete in bici?
«Diciamo che la vita è completamente differente da quella che si fa in Australia. Anche noi non facciamo le stesse cose: alcuni frequentano l'università, altri sono spesso nell'European Training Center, l'AIS, e quindi siamo per buona parte del tempo lì ad allenarci o a fare test».
Ma voi australiani restate tra di voi o avete anche qualche amico italiano? Magari qualche ragazza...
«No, non ci relazioniamo tanto con gli italiani, giusto con qualcuno che parla un po' d'inglese. Le differenze di lingua non aiutano».
Qual è il tuo piatto italiano preferito? Non vale dire pizza!
«Ahem... (Ci pensa su)... direi spaghetti... coi frutti di mare».
Viste le tue origini, c'è qualcosa che ti rende più coreano che australiano?
«No, non direi proprio, sono nato in Australia e mi sento completamente australiano».
Neanche riguardo al cibo coreano? Sappiamo che ti piace cucinarlo.
«Sì, ogni tanto cucino piatti coreani, ma non così spesso, è un tipo di cucina molto diversa».
E qualcosa di tipicamente australiano invece, ce lo puoi consigliare?
«Uhm, non lo so, ci devo pensare... vi consiglio la nostra bistecca. Oppure, la Chicken Parmigiana, una variante della parmigiana tipica dei pub australiani».