Mondiali Under 23 2010: Matthews sorriso d'Australia - Vittoria in volata dell'uomo di casa su Degenkolb. Colbrelli 6°
- CAMPIONATO DEL MONDO SU STRADA UNDER 23 2010
- Alex Dowsett
- Andrei Krasilnikau
- Arnaud Démare
- Benjamin King [Aus]
- Benjamin King [Usa]
- Enrico Battaglin
- Guillaume Boivin
- Jean-Lou Païani
- Jelle Wallays
- John Degenkolb
- King Lok Cheung
- Massimo Graziato
- Michael Matthews
- Moreno Moser
- Nelson Filipe Santos Simoes Oliveira
- Sonny Colbrelli
- Taylor Phinney
- Tom Dumoulin
- Tony Gallopin
- Pianeta giovani
C'era una certa attesa per la prova iridata degli Under 23, sia per vedere all'opera alcuni dei gioielli del ciclismo futuro (e non possiamo dire di essere rimasti delusi), sia per farsi un'idea di quanto e come potrà pesare nelle gambe dei corridori il circuito di Geelong (e qui invece un po' di disincanto si afferma nella mattinata). Una corsa non brutta, quella dei ragazzi, neanche indimenticabile, di sicuro con un'Italia che in qualche modo si è fatta valere (meno al conquibus, pazienza), e che alla fine premia forse il favorito numero uno della vigilia, quel Michael Matthews che conferma una superiorità quasi imbarazzante del pedale anglosassone di questi tempi: solo Cancellara (tampinato però dal britannico Millar) ha sottratto una medaglia alla nouvelle vague del ciclismo, quella nouvelle vague che per ora ha piazzato un americano sul trono della crono Under 23, un'inglese su quello della prova femminile contro il tempo, e un australiano, oggi, nella corsa in linea dei giovani.
Veniamo alla ricca cronaca.
Si parte, e giusto per non far confusione (e per non parlare inglese...), si muovono i due Ben King del gruppo. Uno, l'americano, se ne va in fuga tutto solo al km 3; l'altro, l'australiano, lo insegue, anch'egli da solo, a una distanza che oscilla tra i 2'30" e i 3'. Il gruppo lascia amorevolmente fare, con l'eccezione di chi? Di un altro King, l'hongkongese Lon Cheung, che esce alla fine del secondo giro e va a comporre questo evento probabilmente senza precedenti, con tre omonimi (i primi due in tutto e per tutto, il terzo solo per il cognome) all'attacco. In mezzo a tanta monarchia si inserisce l'uomo del popolo (bielorusso) Krasilnikau, che al terzo giro prende l'asiatico e al quarto lo molla per congiungersi con l'oceanico.
Cheung comunque si rifà sotto, e al termine del quarto giro (su 10) abbiamo il massimo vantaggio del Ben americano sul gruppo: 6'08" per lo statunitense, coi tre intercalati a 2'58". Le maggiori nazionali europee, fin lì poco attive, si scuotono e in salita Le Bon, in nome della Francia, abbatte il gap dal battistrada, portandolo nel corso di un solo giro (il quinto) a 3'54" (i tre son sempre a 2'50").
La sesta tornata è una sorta di pietra angolare della competizione, e lo è grazie all'impegno di Moreno Moser, nipote di cotanto zio, e primo azzurro a farsi vedere in testa già al terzo giro (per dire quanto fremeva). Nel tratto più duro della prima salita del circuito (The Ridge) il trentino emerge dal plotone e si porta sui tre inseguitori di Ben l'Americano, i quali sono ormai più o meno al lumicino. Il britannico Dowsett imita Moser e copre lo stesso spazio dal gruppo al drappello intercalato; e identico percorso compiono al settimo giro l'eritreo Teklehaymanot e il russo Kuznetsov; col fuggitivo sempre a oltre 2', e il gruppo comunque vicino, i più in forma del neocomposto settetto capiscono che non c'è troppo da indugiare: sempre su The Ridge è Dowsett a partire, e l'unico a reagire è Moser, mentre il plotone riprende gli altri 5.
All'italiano la gamba scappa particolarmente, e sulla seconda salita del circuito (quella che porta ad Aphrasia Street) stacca Dowsett, per raggiungere non troppo tempo dopo (a 50 km dalla conclusione) King e staccarlo sul rettilineo d'arrivo. Al passaggio sotto lo striscione del traguardo Moser ha 21" su Ben, 43 su Dowsett e 1'15" sul gruppo tirato dall'Australia.
Ma il percorso, coperto a un ritmo troppo blando in avvio di Mondiale, evita di fare troppa selezione, e le squadre riescono a organizzarsi al meglio. L'ottavo giro Moser se lo fa tutto solo in testa, ma il ritorno del plotone è prepotente, e prima della nona scalata a The Ridge, il trentino viene riassorbito. Di fatto, la corsa vera e propria, quella dei protagonisti più attesi, inizia qui.
E a menare le danze è la Francia, con Tony Gallopin che allunga non appena è stato ripreso Moser, e che viene raggiunto da un buon Battaglin, da Degenkolb e Dumoulin lungo la seconda salita del circuito. Il quartetto è troppo pericoloso per dargli spazio, e l'Australia ancora una volta chiude: all'inizio dell'ultimo giro il gruppo è sempre abbastanza compatto, alle spalle di del belga Wallays intento a provare un estemporaneo allungo.
L'ultima occasione per anticipare la volata prende corpo sul solito Ridge, allorquando un gruppetto di una quindicina di uomini (nel quale la rappresentanza italiana è limitata al solo Battaglin) si avvantaggia, ma il discorso è sempre quello: la forza propulsiva di chi insegue pare trovare terreno adatto a dispiegarsi, e lo fa: nonostante gli scatti del francese Paiani, dello spagnolo Herrada e ancora di Gallopin (Degenkolb e Battaglin sono anch'essi ben presenti nel vivo dell'azione), non c'è la selezione che ci si attenderebbe.
Il tedesco Degenkolb insiste anziché riservare energie per la sempre più probabile volata, e scatta sulla seconda salita, ma è ancora una volta Gallopin a offrire l'azione più convincente, partendo in cima, approfittando del gioco di squadra (Hardy stoppa il portoghese Oliveira che prova a inseguire) ma non riuscendo nell'impresa di anticipare lo sprint: ai 2 km il gruppo (quel che ne rimane, ovvero una cinquantina di uomini) si ricompatta, e a quel punto tutte le carte sono rimescolate e ci si avvia alla volata.
L'Italia c'è e si fa vedere, pure troppo presto, visto che già ai 500 metri Battaglin è in testa a fendere l'aria a Colbrelli. I francesi provano l'ennesimo colpo di mano per lanciare Demare, ma è l'Australia a tuonare di fronte al (non numeroso) pubblico di casa: del resto, quando si ha un Michael Matthews in squadra, è difficile non fare di tutto per metterlo in condizione di colpire.
E lui, Bling (l'uomo dei piercing che gli luccicano addosso), esplode la sua potenza e vince in maniera più che netta, esultando come un bambino felice (quale in fondo è: ha compiuto 20 anni appena domenica scorsa) e non curandosi della grande lotta alle sue spalle: Degenkolb si prende un meritato secondo posto (la Germania fin qui è andata a medaglia in tutte e quattro le gare disputate in questo Mondiale), per il terzo si deve allargare il podio, visto che Phinney (venuto fuori alla ruota di Matthews) e il canadese Boivin, sul lato sinistro della strada, terminano completamente appaiati, e il fotofinish sancisce un ex aequo che mette in imbarazzo l'organizzazione (non ci sono due medaglie di bronzo e i due nordamericani devono dividersene una sul palco delle premiazioni...).
Arnaud Demare è quinto, Sonny Colbrelli, trovatosi chiuso a più riprese negli ultimi 300 metri, porta a casa un sesto posto in linea con le prestazioni azzurre viste fin qui: benino, niente di eccezionale. Gli altri azzurri li troviamo al 15esimo posto (Agostini), al 25esimo (Graziato), al 49esimo (Battaglin) e all'85esimo (un Moser che non ne ha voluto sapere di ritirarsi, pur dopo il grande sforzo della fuga, e ha accumulato 5'46" di ritardo).
Quel che rimane di questa giornata, oltre alla gioia incontenibile di Matthews (destinato a far parlare molto di sé da qui a 15 anni, ma non è certo l'unico tra i protagonisti della gara), e a un po' di delusione nelle file italiane, è la consapevolezza che su questo circuito bisognerà lavorare molto per fare la differenza (parliamo ovviamente in prospettiva professionisti). Diciamo subito che l'esito della prova under non va traslato per forza alla corsa di domenica (a Stoccarda quattro anni fa i dilettanti fecero volata di gruppo, tra i big arrivò un quartetto); ma sicuramente Bettini avrebbe dormito sonni più tranquilli se non ci fosse stato questo sprint oggi: perché, come tutti i lettori sapranno, l'Italia non ha un velocista da giocarsi tra due giorni, e se uno si immagina la faccia di (un nome a caso) Oscar Freire e la associa alla gara vista oggi, probabilmente inizia a sospettare che qualcosa non sia del tutto a posto per la nostra Nazionale, chiamata, ora più che mai, a fare corsa dura se non vuol tornare a casa con le pive nel sacco.