Tocca a lui il rilancio - Under 23: le ricette del ct Amadori
Versione stampabileMarino Amadori e la Nazionale italiana hanno camminato sempre a braccetto. L'ex corridore romagnolo, classe 1957, nelle sue 13 stagioni da professionista ha saltato solo due Campionati del Mondo: quello del 1978, quando era neopro', e quello nipponico del 1990, vale a dire l'ultimo anno della sua carriera, condita tra l'altro da 7 vittorie. Ben 11 Mondiali, quindi, di cui solo uno visto dai box in veste di riserva. Appesa la bici al chiodo Amadori si dedica un paio d'anni ai "dilettanti" della sua terra, per poi dare una svolta alla sua carriera da tecnico grazie all'ambizioso progetto della Sanson, la squadra femminile con la quale inizia il suo lungo percorso nel ciclismo in rosa. Fino al 2000, infatti, Amadori si occuperà solo di ciclismo femminile, portando Fabiana Luperini a ottenere i successi più importanti della sua carriera e chiudendo questa sua lunga parentesi col successo della Ziliute al Tour del '99. Prima di ritornare in Nazionale come commissario tecnico della squadra femminile dal 2005 ai primi mesi del 2009, per poi passare da maggio sull'ammiraglia della Nazionale Under 23, il tecnico di Predappio ha anche vissuto una breve parentesi sportiva con la Mercatone Uno di Marco Pantani, negli ultimi due anni da professionista del Pirata: il 2002 e il 2003.
Credo che senza dubbio undici Mondiali con Alfredo Martini costituiscano un bagaglio tecnico più che sufficiente per poter cominciare la carriera da direttore sportivo.
«Quando ho smesso di correre e ho iniziato la mia seconda carriera nel mondo del ciclismo ho sempre avuto come punto di riferimento gli insegnamenti di Alfredo. Nelle sue Nazionali mi ero ritagliato uno spazio ben preciso e in un decennio ho avuto modo di poter cogliere gli insegnamenti, anche più sottili, che il grande maestro trasmetteva. Ma anche i due anni con Marco Pantani mi hanno segnato moltissimo, sia dal punto di vista personale che dal punto di vista tecnico. Purtroppo il progetto che si era messo in piedi non andò a buon fine, ma l'esperienza, benché sia stata breve, mi ha lasciato un segno indelebile».
Nel corso della sua carriera da ds delle squadre femminili ha avuto qualche rimpianto?
«Sì, con la Nazionale femminile l'anno scorso a Pechino. Quel podio della Guderzo quasi mi stava stretto. Ho sempre creduto in lei e nelle sue potenzialità, perché se cogli un argento mondiale al secondo anno da élite vuol dire che sei un vero talento; e poi quest'anno a Mendrisio Tatiana l'ha dimostrato, venendo ripagata dei tanti piazzamenti ottenuti in passato».
E dire che per lei, dopo l'oro di Stoccarda con la Bastianelli, poteva trattarsi del secondo successo iridato. Fino ad aprile infatti era sull'ammiraglia della Nazionale femminile.
«Eh sì, proprio ad aprile eravamo andati con le donne in trasferta in Olanda. Poi quando mi è arrivata da Di Rocco questa nuova proposta di passare alla Nazionale Under 23, ho deciso di mettermi in discussione perché gli stimoli nuovi fanno solo bene».
È stata una proposta improvvisa o già era nell'aria?
«Già in inverno Di Rocco mi aveva accennato al fatto che si poteva presentare quest'eventualità. Si erano creati particolari problemi di gestione tra Rosario Fina e il Consiglio Federale, ma tengo a precisare che tra me e Rosario il rapporto è ottimo. Siamo molto amici, lo stimo molto come tecnico e ho avuto il piacere di dargli una mano lo scorso anno al Giro delle Regioni. Certamente non è che mi abbia fatto tanto piacere dover sostituire un amico, ma la situazione che si è venuta a creare era quella e non ci si poteva far nulla».
Neanche il tempo di cambiare ammiraglia che già due importanti appuntamenti bussavano alle porte.
«Sì, soprattutto la Federazione teneva ai Giochi del Mediterraneo perché si tenevano in Italia, e lì abbiamo vinto due ori con Peruffo e Malori. Poi puntavamo forte anche all'Europeo, perché vincendo avremmo ottenuto automaticamente il sesto uomo da schierare ai Mondiali, ma purtroppo così non è stato, nonostante la stupenda prova dei nostri e la medaglia di bronzo di Modolo».
Già, quell'uomo in più che volendo si poteva ottenere, come successe nel 2008, partecipando alla Coppa delle Nazioni. Come mai quest'anno l'Italia ha rinunciato a questa possibilità che, col senno di poi, avrebbe giovato alla Nazionale?
«È un discorso che il Consiglio Federale aveva affrontato in inverno e che quindi in certa misura ho dovuto accettare. Si arrivò a quella decisione in sintonia con le squadre dei ragazzi che durante la stagione preferiscono avere i propri corridori sempre a stretto contatto, anziché mandarli in giro con la Nazionale. Infatti già l'anno scorso delle squadre non avevano concesso alcuni corridori alla Nazionale degli Under per le prove di Coppa, per cui si è preferito privilegiare le società, che comunque devono lavorare in un certo modo con i propri ragazzi, approntando un programma di corse impegnativo in vista degli appuntamenti azzurri».
Pensa che comunque a Mendrisio, se avessimo avuto la possibilità di correre in sei, il risultato finale sarebbe stato migliore?
«Non saprei, è difficile dirlo. Senza dubbio avrebbe fatto comodo l'uomo in più, ma non credo che avrebbe stravolto il risultato finale. Sono rimasto soddisfatto della prestazione dei ragazzi, non posso fare loro molti rimproveri. La nostra strategia era chiara: in queste gare o si decide di entrare nelle fughe, o si decide di tirare; noi abbiamo scelto fin dall'inizio di entrare nelle fughe. Questo in certe situazioni è successo e in altri frangenti non è successo, per cui ci siamo ritrovati a tirare e quando siamo stati costretti a farlo lo abbiamo fatto bene, come dimostrano le prestazioni di Pagani e Ratto. Purtroppo ai ragazzi capita a volte di essere in giornata e dare il 101%, ma altre volte possono dare solo l'85%».
Si riferisce in particolare a Caruso, leader designato della nostra squadra?
«Sì, alla fine quando toccava a lui nel finale si è visto che non era il miglior Caruso, ma anche gli altri quando si doveva entrare in certe fughe sono mancati. Ma il mio non è un rimprovero, dico solo che è lecito non essere sempre al top e non rendere sempre al massimo. Anzi, a quest'età avere degli alti e bassi anche negli appuntamenti più importanti significa essere puliti. Tante volte abbiamo assistito ai numeri di certi fenomeni che poi negli anni si pèrdono, meglio quindi essere un po' più discontinui, ma pur sempre presenti. Questi ragazzi non sono certo delle macchine. Voglio fare un esempio: la domenica precedente al Mondiale abbiamo corso al Trofeo Bianchin con tutta la squadra. In salita il russo Silin, che poi è arrivato 3° a Mendrisio, ha fatto il diavolo a quattro e Damiano Caruso non ha avuto la minima difficoltà a seguirlo. Al Mondiale invece non è andata così, purtroppo Damiano all'ultimo giro ha dovuto arrendersi, ma ciò nonostante si è battuto come un leone prima di alzare bandiere bianca».
E a tal proposito come mai si è scelto di convocare un professionista? Dopo Santambrogio nel 2005 a Madrid, per tre anni l'Italia ha deliberatamente fatto a meno dei pro', criticando anzi le altre Nazionali che vincevano tra gli Under 23 con i vari Ciolek, Velits e Duarte.
«La scelta è stata presa insieme al ragazzo e al suo direttore sportivo. Lui aveva espresso questo desiderio ed è stata fatta la richiesta al Presidente Di Rocco, che l'ha accolta anche perché il percorso era perfetto per le sue caratteristiche e poi ci dava delle garanzie. Oltre a lui non credo ci fossero altri corridori del suo calibro, con la sua esperienza e che ci dessero le stesse garanzie».
Al Bianchin avevamo ammirato anche un grande Pirazzi, autore di una azione spettacolare. In molti se lo aspettavano titolare a Mendrisio perché aveva dimostrato di essere in gran forma.
«Tutti i ragazzi al Bianchin hanno dimostrato di essere in gran forma, non solo Caruso che ha stoppato Silin, o Pirazzi autore di una lunghissima fuga. Questo dimostra ancora di più che Mendrisio è stato un episodio: qualcosa è mancato nelle gambe dei ragazzi e poi abbiamo forse pagato oltremodo l'evoluzione della corsa. Per quanto riguarda Pirazzi, al Mondiale io avevo bisogno di qualcuno che tatticamente mi desse più garanzie nella gestione della corsa, per come volevamo impostarla».
Anche nella cronometro iridata abbiamo assistito a una giornata no del corridore più atteso: Adriano Malori.
«Sì, Adriano era il favorito ed era in condizione. Aveva lavorato bene con i tecnici della sua società ai quali avevamo permesso di salire in ammiraglia, poiché abbiamo creduto che giovasse ai corridori avere l'apporto dei propri tecnici e sentirne gli incitamenti al megafono. Però quando non si è in giornata non c'è nulla da fare. Il suo piazzamento è stato onorevole, anche se da lui ci si aspettava di più. Balloni e Boaro sono stati invece autori di due prestazioni maiuscole, quindi tirando le somme non direi che si deve rimanere troppo insoddisfatti dagli esiti della cronometro iridata».
Nel 2009 è salito in corsa sull'ammiraglia degli Under 23, il prossimo anno potrà invece programmare meglio la stagione.
«Abbiamo due appuntamenti importanti: l'Europeo in Turchia e i Mondiali a Melbourne. A metà novembre voleremo in Australia per scoprire questo percorso, che in molti giudicano già abbastanza veloce. Quindi in teoria si potrebbe anche approfondire la collaborazione con la Nazionale della pista, valorizzando quei corridori che fanno la doppia attività. Una volta tornati dall'Australia, potremo cominciare a concertare con le varie società dei programmi per vedere se si può lavorare insieme per il bene dei ragazzi, delle società e della Nazionale».
Pensa che potrà esserci spazio per un ritorno al passato per quanto riguarda il capitolo Coppa delle Nazioni e rincorrere così il fatidico "uomo in più"?
«Io penso proprio che ci si potrà organizzare bene per la Coppa delle Nazioni, così come credo molto nella strutture Strada e Pista e nelle possibili sinergie tra questi settori».