«La Roubaix, poi smetto» - Roberto Petito, non solo gregario
Versione stampabileChe Roberto Petito amasse il ciclismo si era capito un paio di anni fa, allorché, con lo scioglimento della Fassa Bortolo, era rimasto senza squadra e, a 34 anni suonati, pur di pedalare, si era dato al ciclocross, riuscendo a convincere la Tenax a dargli quella fiducia che, nel corso della stagione successiva, avrebbe ampiamente ripagato. Ma ora sente che il momento è arrivato e, con un briciolo di malinconia, ma la forte convinzione di essere sempre stato il compagno di squadra che tutti i campioni avrebbero voluto avere, ci dà la notizia che la Parigi-Roubaix 2008 sarà la sua ultima gara da professionista.
Roberto, cosa ti spinge ad andare avanti ancora una stagione?
«Innanzitutto l'amore per la bicicletta. Io ho passato due terzi della mia vita a cavallo di una bici. Nel 2006 mi è sembrato che fosse giunta l'ora di smettere, fino a quando mi è giunta la chiamata della Liquigas, a cui non ho potuto dir di no; non tanto per l'offerta economica in sé, ma per questioni affettive. Ho accettato perché questa è la mia vita, anche se, con i dirigenti della squadra, ho messo dei paletti temporali. Infatti nel 2008 smetterò dopo aver corso la Parigi-Roubaix; secondo me, dopo un'onorevole carriera. È ora di farmi da parte e di dare spazio ai giovani che stanno crescendo. Ricordo che quando io sono passato professionista avevo molta paura e credevo di poter fare al massimo un paio di anni in questa "giungla", perché allora la vedevo così. Invece mi sbagliavo e dopo 16 anni mi trovo al via dell'ennesima stagione. Però anche questa parentesi tonda sta per chiudersi, dopo quella della gioventù, della scuola, dei divertimenti, dei primi amori, fermo restando che, chiusa questa, se ne apriranno altre, magari in un settore completamente diverso, all'interno di quella grande parentesi graffa che è la vita».
Come mai, da qualche anno ti vediamo ad alti livelli solo nella prima parte della stagione?
«Ormai mi sono ritagliato uno spazio ad inizio stagione, vuoi per caratteristiche tecniche, in quanto sono adatto alle classiche del Nord, vuoi per caratteristiche fisiche, perché in quel periodo il mio corpo rende meglio. Ho abbandonato da qualche anno i Grandi Giri e ciò mi fa essere più fresco e concentrato nelle corse che disputo da gennaio ad aprile. Mi trovo bene con questo programma e penso di aver dimostrato di poter fare delle buone prestazioni, facendomi trovare sempre pronto quando le circostanze lo hanno richiesto».
Vedendo quello che sei riuscito ad ottenere, soprattutto negli ultimi anni, in classiche importanti come Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix, non ti è venuto un po' di rammarico per quello che potevi ottenere correndo queste corse da capitano?
«I miei anni buoni sono stati attorno ai 30 anni, nel periodo della Fassa Bortolo, che in quegli anni aveva corridori molto forti per quelle gare, come Michele Bartoli e Frank Vandenbroucke. La squadra aveva investito molti soldi su di loro ed è stato giusto che fossero loro i capitani ed io il gregario. Quando nel 2005 Cancellara e Flecha, che all'epoca dovevano essere gli uomini di punta della Fassa, sono venuti meno per guai fisici, sono riuscito a liberarmi da questa "morsa" e ho ottenuto un 5° posto al Fiandre, arrivando nel gruppetto immediatamente alle spalle di Tom Boonen, con Klier, Zabel, Ballan e Van Petegem. È stato lì, a 34 anni, che ho capito veramente quello che avrei potuto fare in quelle gare e, in effetti, non nego di aver provato un po' di rammarico, perché la vittoria in una classica come il Fiandre ti può cambiare la vita. Gli anni successivi, al di là del piazzamento esatto, perché 5° o 10° cambia poco, hanno confermato le mie sensazioni: sono arrivato, nel 2006 ancora al Fiandre e quest'anno alla Roubaix, a giocarmi la vittoria fino agli ultimi chilometri».
L'anno prossimo quale sarà il tuo ruolo per le gare finora citate, con la presenza di Pozzato, Bennati e un osso duro come Franzoi?
«Più o meno sarà lo stesso dello anno passato: uomo di esperienza con le gambe per star vicino ai capitani per più tempo possibile. Vi racconto un po' le mie gare dello scorso anno...».
Prego.
«Eravamo partiti al Fiandre con Pozzato e Paolini capitani e ad un certo punto, a 60 km dall'arrivo, mi sono ritrovato Luca sul ciglio della strada, a terra, che voleva ritirarsi. Ho dovuto convincerlo a riprendere la bici e l'ho riportato sotto, e poi onore a lui che ha conquistato un bel terzo posto; alla Roubaix avevamo Pippo in grandissima condizione anche se, per una gara un po' atipica, non è riuscito a venire fuori, e lo dico nonostante tutte le critiche che gli sono piovute addosso per quella gara. Io ho avuto l'occhio di gettarmi nella maxi-fuga con un mio compagno di squadra. In questo caso andare in fuga è stato quasi un vantaggio, perché eravamo in tanti e quindi si poteva rimanere abbastanza coperti, e in più si sarebbero affrontati i primi tratti di pavè senza quell'affollamento che capita quando sei in gruppo, e quindi senza rischio di cadute. Nonostante questo, ero comunque consapevole che il gruppo era lì a pochi minuti e ci avrebbero ripresi quando avrebbero voluto. Dopo la foresta d'Aremberg, infatti, il vantaggio si era assottigliato molto e io ero già con la mente al lavoro che avrei dovuto fare una volta che Pippo e Backstedt mi avessero raggiunto. E invece, per via di tira e molla, chi aspettava l'accelerazione di Boonen, chi quella di Cancellara, i favoriti non arrivavano. Fino a quando, a 30 km dall'arrivo, mi ha chiamato Zanatta dicendomi di salvare le sorti della squadra perché Pippo e Magnus erano tagliati fuori. Io mi sono detto: "Ci provo, ormai ci sono". Alla fine ha vinto O'Grady, per un misto di fortuna e intelligenza tattica. Credo che, se avessi avuto occhio e fossi scattato io nel momento in cui è partito lui, sicuramente la Roubaix me la sarei giocata fin dentro il velodromo».
Con l'organico che la squadra ha approntato per le classiche importanti di inizio stagione, non credi che non vincere nemmeno una tra Sanremo, Fiandre, Gand e Roubaix sarebbe un mezzo fallimento per la Liquigas?
«Sì, sarebbe un mezzo fallimento, perché la squadra è costruita decisamente per queste gare e sono sicurissimo che Pippo e Daniele ne vinceranno almeno una. Sono due ragazzi giovani, forti, belli da vedere in bici, con un pizzico di rivalità che non guasta e che farà trovare loro le giuste motivazioni in gara per dare il 101% per la causa della Liquigas».
Ora, da un veterano come te, un giudizio su tre corridori che in questi ultimi anni hai visto molto da vicino nelle "tue" gare: Franzoi, tuo nuovo compagno di squadra, Boonen, che pare non essere più lo schiacciasassi del 2005, e Alessandro Ballan, vincitore dell'ultimo Giro delle Fiandre.
«Enrico Franzoi è un ragazzo molto giovane che viene dal ciclocross e ci tiene tanto a queste gare del Nord. Ha dimostrato di andare veramente forte su questi percorsi e quest'anno è andato in fuga addirittura sia al Fiandre, sia alla Roubaix, dove è arrivato subito dopo di me. Arrivare davanti alla Roubaix, al terzo anno da pro', quando nel finale non capisci né dove sei, né cosa ci fai lì, sei stanco, non ricordi se hai già superato il Carrefour de l'Arbre, vuol dire che il ragazzo ha talento per queste gare e lo vedremo nei prossimi anni; capitolo Boonen: è vero che quest'anno non ha vinto come gli altri anni, ma io credo che sia solo questione di fortuna e maggior considerazione degli avversari. Io l'ho visto partire dal Qatar e l'ho visto nelle gare più importanti che ha fatto nella prima parte di questa stagione. Secondo me il più forte per questo tipo di gare è ancora lui. Quando accelera fa paura e per questo gli avversari cercano di metterlo alla corda, magari coalizzandosi contro di lui, e quest'anno ci sono riusciti. Se Boonen al Fiandre avesse corso di rimessa, non avendo il peso della corsa sulle spalle, probabilmente avrebbe vinto lui. E, riguardando la Roubaix, mi sono accorto che il più forte era lui, ma ha sbagliato i tempi. E anche quest'anno sarà l'uomo da battere per noi in queste gare; Ballan al Fiandre ha fatto un numero pazzesco sul Muro, ma secondo me ha ancora margini di miglioramento. Ha dalla sua il fatto che non ha vizi, si allena sodo ed è costante per tutto l'anno. Secondo me, nei prossimi anni vincerà almeno un altro Fiandre, una Roubaix e un Campionato del Mondo».
Ci stai dimostrando che il ciclismo, più che un lavoro, per te, è una vera passione. Gira voce che dopo il tuo ritiro vorresti dedicarti alla gestione di un bar con i tuoi parenti nella tua Civitavecchia. Ti mancherà il ciclismo?
«Mi piacerebbe rimanere nell'ambiente, ma credo di essere un po' penalizzato soprattutto geograficamente, perché, secondo me, abitare nel Lazio, quando il fulcro del ciclismo italiano è nel Nord Italia, tra Lombardia e Veneto, non è il massimo, e per di più la concorrenza è spietata. Sto vivendo anche l'esperienza di mio fratello Pino, che ogni anno deve lottare con i denti per strappare un contratto con una squadra, sì di tutto rispetto, ma non con quel blasone che piacerebbe a me. Ormai la scelta è stata fatta e credo che mi vedrete alle gare solo come appassionato, quando il nuovo lavoro me lo permetterà».