Il Portale del Ciclismo professionistico

.

Giro d'Italia 2014

Certo che per un paese ad alto tasso di scaramanzia come l'Italia, associare la partenza del Giro al Titanic è un azzardo non da poco. Ma chi paga (ovvero i nordirlandesi) vuol lanciare il Titanic Memorial, appunto, fresco di inaugurazione (nel 2012) e quindi pronto per una bella strategia di marketing: proprio davanti al complesso monumentale inizierà la cronosquadre d'apertura della corsa rosa, poco meno di 22 km tutti sviluppati sulle strade di Belfast. Nei primi 2 km, tutti nei pressi della foce del fiume Lagan, non mancano le curve (3 a destra e 2 a sinistra), ma ci si immette poi su una sorta di superstrada, 5 km praticamente in rettilineo fino al parco di Stormont. Qui si svolta a sinistra e si affronta l'unico strappetto di giornata, appena 500 metri al 7% che culminano davanti al parlamento nordirlandese. Quindi svolta a destra e discesina che reimmette sulla superstrada di cui sopra, che - dopo curva a gomito a destra - verrà percorsa a ritroso fino a passare nuovamente sul fiume. Attraversato il medesimo, i 7 km finali sono un po' più tecnici, visto che presentano altre curve: 4 a destra (l'ultima a 300 metri dal traguardo posto davanti al municipio di Belfast) e una a sinistra, e in più qualche semicurva (soprattutto sul lungofiume, che viene percorso per un tratto).

Prima tappa in linea, probabile volata ma attenzione alle sorprese. Il giretto da Belfast a Belfast sarà più che altro un'occasione per mostrare al mondo le bellezze della selvaggia costa nordorientale del paese, con tanto di passaggio dalle parti del Giant Causeway (il "Selciato del Gigante", spettacolare conformazione geologica di origine vulcanica). I primi 85 km, praticamente pianeggianti, servono solo a puntare a nord e raggiungere appunto la costa, nei pressi di Portrush. Da qui, svolta a destra e litoranea di ritorno verso Belfast (per altri 130 km), su una strada che presenta (soprattutto in questa prima fase) tratti ricchi di curve e strappetti (di poco conto), ma che soprattutto è esposta al vento proveniente dal mare: se tale vento sarà sostenuto, potrebbero esserci sviluppi imprevisti nella tappa (ricordiamo ad esempio i ventagli di Middelburg in Olanda al Giro 2010). A livello altimetrico, i due Gpm piazzati sul percorso sono molto facili, praticamente due falsopiani, ma se il secondo (a 24 km dalla fine) nemmeno verrà avvertito sotto le ruote dei prof, il primo, da Ballycastle (a oltre 100 km dalla fine) si farà quantomeno notare, coi suoi 10 km di leggera ascesa. Per quanto riguarda il finale, con l'arrivo davanti al municipio di Belfast bisognerà fare attenzione a un'insidiosa curva a destra ai 350 metri.

Ci si sposta un po' verso l'entroterra per il via della frazione che unisce idealmente le due Irlande. I primi 80 km sono tutti un susseguirsi di strappetti (un paio di questi valgono anche come Gpm: il primo a Markethill, il secondo a Fews Forest, ed entrambi constano di 2 km tra il 4 e il 6%), ma negli ultimi 100 la situazione si semplifica parecchio e sostanzialmente non ci sono più rampette. Anche il litorale, che pure viene toccato a tratti, non presenta una conformazione tale da suggerire possibili colpi di mano; resta il fatto che i 20 km conclusivi verso Dublino, tutti sul mare, dovranno essere presi con le pinze prima del preventivabile volatone finale.

Teoricamente la tappa più facile del Giro è quella che accoglie la carovana rosa al ritorno in Italia dopo le tre frazioni irlandesi e il primo giorno di riposo. Si parte da Giovinazzo (che conferma la sua vocazione ciclistica, dopo il via dato al Giro femminile nel 2013), si fa un giro antiorario passando da Molfetta e Bitonto (in una fase di tappa che prevede pure 6 km di falsopiano per quella che resterà l'unica asperità della giornata), e dopo poco più di 35 km si approda a Bari, dove il gruppo sarà impegnato in 8 giri di un circuito di 8.3 km che si snoda in gran parte sul lungomare e che culmina, dopo aver circumnavigato la città vecchia, in Corso Vittorio Emanuele. Soprattutto il tratto finale del circuito, con qualche curva (l'ultima, a sinistra, a poco più di 500 metri dal traguardo), potrebbe spingere qualcuno a tentare un anticipo che però, verosimilmente, verrà piegato alla logica dello sprint di gruppo.

Taranto vuol dimostrare che non è solo Ilva, ma certo se il gruppo, in partenza, si troverà sottovento, i corridori saranno obbligati a trattenere il respiro per lunghi minuti, prima di uscire dal raggio d'azione dei miasmi delle acciaierie e delle raffinerie della zona; sarà questa la principale difficoltà dei primi 60 km di tappa, completamente pianeggianti lungo la statale ionica. Dopo Metaponto si svolta a destra verso l'entroterra lucano, e i discorsi cambiano: un falsopiano di 10 km precede la rampetta verso Montalbano Jonico (paese di Domenico Pozzovivo), quindi 3.5 km di discesa molto tecnica riportano a valle per una cinquantina di chilometri in piano (o meglio, in falsopiano, ma leggerissimo: all'1%!). A poco più di 70 km dalla conclusione la strada si inerpica in maniera più decisa, con 8 km di ascesa (al 4.5% medio) fino al Valico di Serra San Chirico, primo Gpm di giornata. Da qui non c'è vera e propria discesa (a parte un breve tratto intorno alla località di San Pietro), ma 25 km decisamente da mal di testa: le curve non si contano, e fino alla Diga del Pertusillo (dove si inizia a costeggiare il lago omonimo e si trova infine un po' di rettilineo) il terreno è molto favorevole a chi vorrà attaccare; e anche a qualche imboscata, nel caso. Lasciato alle spalle il lago, rimangono i 30 km finali: pianeggianti fino a Villa d'Agri, ma poi il discorso cambia nettamente: si sale (in falsopiano per i primi 5 km, al 6-7% negli ultimi 3) per 8 km fino a un primo passaggio dal traguardo per inerpicarsi, ancora più su, fino al centro di Viggiano. Quasi 6 chilometri di discesa, non ripidissima ma con diversi tornanti, riporterenno il gruppo (o quel che ne sarà restato) quasi ai piedi della salita già affrontata. Gli ultimi 5 chilometri fino al traguardo sono nuovamente all'insù, e come già per il precedente passaggio, solo gli ultimi 2 sono realmente complicati. Potrà resistere qualche ruota veloce e resistente? Molto difficile, quasi impossibile; del tutto da escludere invece che qualche squadra possa tenere la corsa ermeticamente chiusa nei 70 km conclusivi.

Secondo finale consecutivo su strappetto, anche se questa tappa, rispetto a quella lucana, avrà uno svolgimento senz'altro più lineare, ad onta del fatto di essere la seconda più lunga del Giro, coi suoi quasi 250 km. I primi 50 km sono i più mossi, con lo strappetto di Scorzo a spiccare coi suoi 3.5 km al 6.6% di pendenza media. Ma una volta scollinati, la strada in direzione di Salerno è molto facile, completamente piatta, e nemmeno il Gpm previsto a Cava de' Tirreni (sulla salitella di San Pietro) presenta grosse difficoltà: la rampa vera non misura neanche 3 km, e la pendenza va di poco oltre il 4%. Superata Cava, si continua a tagliare la Campania verso nord, per tutta la sua interezza, e non si trovano più difficoltà altimetriche. Per quelle, ogni discorso è rinviato agli ultimi 8 km, ovvero quelli che da Cassino portano, attraverso la bellezza di 8 tornanti (e mezzo) al traguardo posto davanti all'Abbazia di Montecassino. Certo che non mancano ampie spianate, lungo l'ascesa, ma la pendenza media supera il 5%, ci sono dei tratti comunque non banali: di sicuro sarà volata di gruppetto, resta da capire quanto nutrito sarà il drappello che si presenterà in cima.

Si procede a spron battuto verso settentrione, con un'altra lunga tappa che, all'apparenza facile, cela delle insidie. A partire dai primissimi chilometri, visto che da Frosinone si punta verso l'Appennino, si passa subito da Alatri (4 km di salita al 4%) e si prosegue a salire fino agli Altopiani di Arcinazzo, su una salita che è sì per lunghi tratti un falsopiano, ma che contiene una parte vera di scalata lunga 8 km (per metà al 4%, per metà al 6). Il Gpm è posto un po' più avanti rispetto al culmine di questo tratto, ma di fatto quando ci si arriva ci si è lasciati alle spalle i primi 30 km di tappa praticamente tutti in salita: non proprio quel che si definirebbe un avvio di tutto relax. Né nei 25 km successivi si può inserire il pilota automatico, visto che fino a Subiaco si tratta di discesa a gradoni alternata a tratti in piano sui quali bisognerà comunque tenere gli occhi aperti. Seguono 15 km facili, ma appena si arriva a lambire il confine con l'Abruzzo la strada ritorna a salire, per 6 km al 5% (passando dal centro di Arsoli). Dalla cima non si scende ma si prosegue su questo simil-altopiano (siamo sui 550 metri s.l.m.) per circa 25 km pianeggianti, fino al Lago del Turano, da cui, dopo lo strappetto di Posticciola, si scende su una strada un po' più bassa in direzione di Rieti e poi dell'Umbria. Dopo 25 km di pianura si entra nella fase più movimentata della frazione, 40 km di saliscendi: la rampetta dopo Vignaletto (un paio di chilometri facilissimi) è solo un antipasto, ma dal Lago di Piediluco (ai -70 dal traguardo) si sale per 3.5 km al 4%, prima di 6 km di picchiata verso Arrone. Da qui, altri 6 km all'insù, verso Montefranco e oltre: il dato della pendenza media (4%) è bugiardo, visto che si alternano rampe che vanno oltre il 10% a brevi discesine; dalla cima, 3 km di discesa e un paio in piano fino alla località di Strettura, da cui si inizia a scalare il Valico della Somma, 4.5 km di ascesa al 6.3% medio (più duri nella prima metà). Dal Gpm al traguardo sono poco più di 40 km, i primi 12 di discesa non difficile verso Spoleto, gli ultimi 28 finalmente di pianura schietta fino all'arrivo di Foligno. Qui, dopo un giro largo per circonvallazioni, si punterà al centro cittadino per uno sprint a cui, al termine di una frazione così piena di insidie, parteciperanno molti velocisti, ma forse non tutti i rappresentanti della categoria.

Il week-end appenninico inizia con una tappa che è il primo dei tre omaggi a Marco Pantani, nel decennale della scomparsa del grande campione di Cesenatico: il finale della frazione si sviluppa proprio sulle strade su cui il Pirata si allenava, con l'irrinunciabile salita della Carpegna prima della scalata verso il traguardo. Tappa non lunghissima ma che si annuncia molto impegnativa. I primi 125 km da Foligno attraverso Umbria e Marche non sono complicatissimi, ma non mancano interessanti passaggi sulle dolci colline di Nocera Umbra (intorno al km 20, 3 km in salita al 4%), di Osteria del Gatto (al km 40) o del Valico della Scheggia (altri 3 km al 3% abbondante poco prima del km 60), affrontato dal versante facile. Ancora al km 90, a Bellaria, 2.5 km di salitella al 4.5%, ma a questo punto l'attenzione di tutti sarà rivolta all'imminente prima salita di giornata, la Carpegna appunto. Dallo svincolo di Lunano (-59 km) a Belforte all'Isauro (-53), 6 km di falsopiano, quindi altri 6 km di salita più sostenuta (nella prima metà si viaggia tra il 7 e l'8%) fino a San Sisto; da qui, rapido spostamento (4 km praticamente in piano) fino al centro di Carpegna, da cui, dopo un paio di chilometri facili, si va ancora su fino al Cippo di Carpegna, per quasi 6 km durissimi, per metà al 9% e per metà al 10.5. Una volta in vetta, siamo a 36 km dalla conclusione della tappa, e le fatiche non sono certo finite: i 17 km di discesa fino a Maciano sono nella prima parte ricchi di tornanti, ma le velocità più alte si raggiungono entrando a Pennabilli (qui la pendenza supera il 10%). Non ci sarà assolutamente spazio per rimettere insieme le squadre, perché poi da Maciano si riprende a salire: 9 km fino al Gpm di Villaggio del Lago (pendenza quasi sempre vicina al 7%), quindi 3 km di discesa che anticipano il gran finale verso Montecopiolo, altri 6.5 km di salita a gradoni, con gli ultimi 4 molto duri (vicini all'8% medio) e la rampa d'arrivo verso l'Eremo della Madonna del Faggio (gli ultimi 200 metri) al 13%. Inutile dire che la classifica potrà uscirne rivoluzionata.

Se non fosse bastato il sabato appenninico, la domenica si replica, con una tappa che è quasi una fotocopia della precedente, a partire dal chilometraggio (identico). A dire il vero, c'è di diverso che la prima parte (i primi 112 km, diciamo) sono completamente piatti, e in gran parte si sviluppano sull'infinito rettilineo della via Emilia, fino a lambire Bologna per poi abbandonare la Pianura Padana e dirigere verso l'Appennino. In località Osteria Vecchia inizia la prima salita, 15 km fino al Gpm di Sant'Antonio. Ora, non si tratta di 15 km di salita e basta, diciamo che i primi 5 sono i più duri (di poco superiori al 5% medio), ma poi ce ne sono 4 praticamente pianeggianti prima dell'ultimo tratto tra il 4 e il 5%. Si rimane in quota passando da Pavullo nel Frignano, quindi 8 km di discesa con un tratto finale fantastico (14 tornanti in 4 km!), 4 km di fondovalle, e seconda salita nel menu, quella di Rocchetta Sandri: solo 5 km di ascesa, ma le pendenze iniziano a diventare più impegnative (quella media è del 6.2%, e ci sono punte dell'11). Dal Gpm mancano 24 km al traguardo, e quelli facili (in discesa) sono solo i primi 3, seguiti da un paio di chilometri pianeggianti; perché poi si risale per gli ultimi 19 km di salita fino a Sestola. I primi 10 sono chiaramente da rapporto, qui i gregari (quelli rimasti) potranno ancora fare il loro sporco lavoro, su pendenze che in media non superano il 5% (anche se non manca qualche muretto qua e là); arrivati a Sestola, il tempo di attraversare la cittadina (un paio di km al 4%), che proseguendo si affronta la rampa decisiva, 3 km all'11% fino a Pian del Falco; e una volta giunti qui, non è ancora finita, perché ci sono ancora 4 km al 4% su cui chi si fosse avvantaggiato nel tratto duro potrà scavare veri e propri solchi su quei corridori andati in difficoltà sulle rampe più toste. Una tappa tutt'altro che banale prima del secondo giorno di riposo del Giro 2014.

Ripartenza soft per il Giro nella seconda settimana, con una frazione che sarà più che altro l'occasione per passare dalle zone colpite dal terremoto del 2012. A livello tecnico, i contenuti sono abbastanza risicati: partenza da Modena, giro in provincia, puntatine nel mantovano e dalle parti di Reggio prima di spostarsi verso Parma. Superato il capoluogo ducale, si riprende la via Emilia per poi lasciarla all'altezza di Fidenza. Qui si svolta verso Bagni di Tabiano dove inizia uno strappetto di un paio di chilometri abbastanza facili (500 metri al 6%, il resto al 3%), che metterà in fila il gruppo e farà sicuramente perdere posizioni a qualche velocista meno avvezzo alla salita. Dalla "cima" mancano comunque 7 km al traguardo, e c'è lo spazio per recuperare. Una rotonda poco prima dell'ultimo chilometro e una svolta a destra agli 800 metri sono le ultime difficoltà per i treni, ma l'arrivo (che tira leggerissimamente all'insù) è anche preceduto, ai 300 metri, da un curvone che va preso in velocità ma con 100 occhi aperti per evitare ruzzoloni.

La tappa più lunga del Giro non sarà al contempo la più difficile, visto che presenta i tipici tratti della frazione interlocutoria; ma offrirà un finale in cui i big della classifica dovranno stare molto attenti, e in cui ci sarà spazio per il colpo di mano di un (gruppetto di) finisseur. Il primo obiettivo del gruppo, alla partenza da Collecchio, sarà di raggiungere il litorale: e per fare ciò bisognerà scavalcare l'Appennino, nella fattispecie il Passo Tre Croci: la salita si incontra dopo poco più di 50 km e consta di ben 13 km di ascesa al 4.6% di pendenza media (e la parte più dura sono i 4 km conclusivi, al 6.5%). Dalla cima - che segna peraltro il confine tra Emilia e Liguria - 13 km di discesa abbastanza tecnica fino a Varese Ligure, quindi un'altra ventina di chilometri non del tutto lisci (presentano uno strappetto a Torza) prima di raggiungere la via Aurelia a Sestri Levante. Da qui a Savona, 100 km tutti sul mare, sostanzialmente pianeggianti, ma non privi di un paio di interessanti strappetti: il muro di Monte Cucco a Chiavari (2 km al 9% medio ma con punte oltre il 20!) a 130 km dal traguardo, e la salitella di Monte Esoli (5 km con pendenze che oscillano tra il 5 e il 7%) ai -115. Non c'è però da aspettarsi grandi cose in questo tratto, vista la grande distanza che lo separa dal traguardo. A Savona, sede d'arrivo, si approda dopo 204 km di tappa. Ci si fermasse qui, sarebbe volata assicurata; e invece ci si tuffa nell'entroterra, perché il piatto forte della portata ligure è la salita di Naso di Gatto, che svetta a 28 km dalla fine dopo una scalata lunga quasi 8 km; la pendenza media è del 7.7% (notevole), i 2 km centrali sono all'11 e comunque fino a 1500 metri dal Gpm la salita continua ad essere particolarmente arcigna. Un paio di chilometri di discesina precedono un altro chilometro e mezzo all'insù (ma su pendenze blande), quindi 20 km di discesa per chiudere il giro antiorario e rientrare su Savona. Non una picchiata da 80 orari, ma una discesa su cui occorrerà spingere. Né gli attaccanti di turno si potranno rilassare una volta arrivati in fondo, sugli ultimi 4 km completamente pianeggianti prima del traguardo.

La provincia di Cuneo, tra le più presenti negli ultimi Giri d'Italia, ospita una delle tappe più importanti, la già ribattezzata "cronometro del vino": come definire altrimenti una frazione che parte da Barbaresco e arriva a Barolo? A livello tecnico, parliamo di una crono lunga ma non lunghissima (poco più di 40 km), che in origine sarebbe dovuta essere più pianeggiante, ma che successivamente ha visto l'inserimento di una salita in avvio che renderà molto difficile trovare il ritmo giusto. Si parte praticamente subito in salita, sulla strada che da Barbaresco porta a Benevello, passando da Boscasso, dove si svetta dopo 12.6 km di ascesa. La scalata non è eccessivamente impegnativa in sé, ma lo sarà nell'economia dell'intera tappa: solo un breve scalino al 9% nei primi 3 km di falsopiano, quindi un paio di chilometri più impegnativi (al 5-6%), prima di una nuova spianata (altri 4 km in falsopiano). Gli ultimi 3 km sono i più duri, tutti sopra il 6% medio, fino al Gpm. Gli 8 km di discesa fino a Ricca sono per metà ripidi (e con diversi tornanti), ma comunque in gran parte su una strada abbastanza ampia, quindi più dolci fino ad arrivare a un rettilineo di 5 km in piano che conduce ad Alba. Superato il centro celebre per il tartufo, si procede per altri 8 km pianeggianti e praticamente senza curve sensibili, prima di approdare, al km 34, a un nuovo strappetto: 3 km di salita al 4% che conducono a Castiglione Falletto e sono seguiti da un paio di chilometri ancora pianeggianti prima della breve picchiata (meno di 2 km) al 7% che conduce ai piedi dell'ultima rampa di giornata: poco più di un chilometro e mezzo al 4% (l'ultimo km al 5%) per concludere nel cuore di Barolo una crono davvero esigente, da terminare letteralmente con la lingua di fuori.

Schiacciata tra la cronometro e il secondo week-end di alta montagna, la 13a tappa non poteva che essere molto facile. Da Fossano si punta a nord e al Canavese sfiorando Torino prima di una probabilissima volata di gruppo. Primi 70 km senza alcunché da segnalare, quindi la salitella di Bardassano (praticamente alle spalle di Superga) è uno strappetto di un paio di chilometri fra il 3 e il 5%, dalla cui "cima" mancano 85 km alla conclusione. Lasciatosi alle spalle il capoluogo piemontese non si punta dritto a Rivarolo ma si fa un giretto attraverso Lombardone (a cui seguono 10 km di leggerissimo falsopiano all'insù), Rocca Canavese e Rivara, due località entrambe precedute da strappetti: 4 km in falsopiano il primo (a 40 km dalla fine), 1.2 al 6% il secondo (ai -34), valevole come unico Gpm di giornata. Nulla di che, ma giusto qualche increspatura per vivacizzare (forse, ma forse no) il finale. Quando si giunge a Rivarolo mancano ancora 23 km di un circuitino antiorario che dirige a Cuorgnè, dove a 13 km dalla fine si affronta uno strappetto di nemmeno un chilometro su cui potrebbe tranquillamente non accadere nulla prima del riapprodo a Rivarolo per lo sprint conclusivo. L'ultimo chilometro inizia con una rotonda, presenta 500 metri che tirano leggermente all'insù, e dopo l'ultima rotonda-svolta a destra offre 500 metri di rettilineo conclusivo su cui gli sprinter sprigioneranno tutta la loro potenza.

Seconda frazione in memoria di Pantani (che qui fece una delle sue imprese più belle). Il percorso propone il giro alto del biellese con le sue tre salite più tradizionali. Una miccia tuttavia già è posta al km 24 dove si approcciano gli ampi tornanti della Serra d'Ivrea, lo scalino geologico che introdurrà il gruppo sul teatro della battaglia, la conca digradante della provincia di Biella. Una introduzione dolce, con pendenze moderate, seguite da un lungo tratto di larghi rettilinei raccordati da poche semicurve che porterà all'estremità orientale della tappa e alla rampa di lancio. Il breve colle di Sostegno sarà fatto di slancio, ma da lì al traguardo ci sono 80 km di ottovolante. La prima salita è la più aspra, Alpe di Noveis. Da Crevacuore. E già la località richiama sospiri. Ombrosa e regolare per 3 km, a Venarolo la prima stilettata: le carte la segnano come punta di pendenza massima, ma la vera Alpe di Noveis inizia quando una cappella silvestre compare sulla sinistra, oltre un muretto di sasso, circa 500 metri più avanti: la Madonna della Brugarola. Da lì sono altri 4 km sempre oltre il 10% di pendenza, nel bosco, prima di una discesa di 9 km tortuosa, stretta, da sfioro di parapetti. La seconda salita di questo finale, quella di Bielmonte, è subito di seguito. Un ponticello, un tornante, e siamo già su un colle di 18 km. Qui è un'altra musica. Strada ampia, giardini intorno a scandire chilometri più pedalabili: 6 km poco meno, altri 6 poco più, ma la salita continua quasi regolare sul 6-7 % fino al dodicesimo. Qui occorrono gregari, sia per chi è davanti, sia per chi è dietro. Ma, dopo Noveis, con quella discesa, dietro, potrebbero essere piuttosto sparsi. Dal km 12 al km 18, la terza parte, brevi rampe si alternano a spianate e contropendenze, ormai in vista dell'ampia conca di Bielmonte. La discesa, 30 km fino a Biella, richiede di essere assecondata con il massimo rapporto fin dall'inizio, su strada sempre larga. Ma i rilanci, e la fatica, non dovrebbero essere un gran che. Poche curve, quasi mai si perde velocità. Un tornante a metà, un tornantino pochi metri prima del fondovalle, a Rosazza, e qui bisognerà solo fare attenzione a qualche breve tratto in pavè, fino a Biella. Poi, ovviamente, la resa dei conti sul classico arrivo di Oropa. Il veleno arriva, la variante di Favaro, dai tempi del Pirata, è diventata un must. Aggiunge pepe perché fa passare dal comodo 4-5% dei primi 5 km ad una prima erta, segnata come 13%, per raggiungere l'imbocco del paese. Un breve respiro su uno sconnesso pavè, e, uscendo da Favaro, l'ampio curvone sul 10% immette nel cuore di questa classica, riportando la corsa sulla strada principale proprio dove questa comincia a dare scosse. Sono ancora 4 km, senza tornanti, dei quali almeno 3 rifilano colpi ben più duri del 7.5% medio dell'altimetria ufficiale. Sinuosa, segue il fianco del monte fino ad una retta di circa 300 metri, allo scoperto, dura, un cartello segna ancora il 10%. Quello è l'ultimo baluardo. Poi si cambia versante e appare l'imponente santuario. Tappa che risultò indigesta ad Indurain, e quel giorno mancava l'Alpe di Noveis. Oropa come finale mette alla prova molto più di quello che si legge sulle carte.

La 15a frazione propone l'arrivo in salita secco. Tipologia di tappa in genere non troppo indigesta ai cronoman, con sforzo massimale finale da poco meno di un'ora. L'alto milanese e la dolcemente ascendente Val Cavallina prospettano una tappa dallo svolgimento piuttosto regolare. Qualche restringimento della carreggiata nel costeggiare il lago di Spinone, forse qualche tentativo di anticipo nel fondovalle camuno. Una fuga con qualche scalatore che vuole capire dove può arrivare prendendo una salita del Giro con un paio di minuti di vantaggio sugli uomini di classifica. In cima a Montecampione è impresso il grande nome, ancora quello del Pirata. Le sue rasoiate, su una salita che, vederla aggredita così, sembrava veloce, scorrevole. Abbondantemente sopra il 20 la media. Dunque a ruota si stava bene e infatti Tonkov tenne botta a lungo. Eppure fin dall'inizio non manca la fatica. Il quarto, l'ottavo e l'undicesimo chilometro non sono da meno del 9% medio. Tanto per far capire quanto bisogna volare, per sciropparseli al 20 all'ora. 11 km per raggiungere Alpiaz, 2.5 di falsopiano, altri 7 per colmare l'ultimo dislivello fino al Plan. Salita anche regolare, ma come un braccio di ferro che, a momenti, preme di più. Asfissiando, poiché a questi minimi aumenti di pressione, non segue un respiro, ma la stessa fatica di prima. Salita che inizia ai 230 metri di altitudine. Bassa. Di fondovalle, il lago (d'Iseo) a 10 km. Questo significa afa sicura, se fa caldo, per lo meno fino alla prima spianata, 11 km e circa mezz'ora dopo. Solo lì, la velocità nutre il corpo, madido, di aria fresca. Gli ultimi 7 chilometri in realtà danno maggiormente l'impressione di poter essere decisivi. Innanzitutto, i 5 minuti di relativo recupero, danno modo a chi ne avesse di recuperare quel qualcosa, il guizzo giusto. Inoltre, la pendenza media sale di un punto, l'8.7%, da rispettare. 11 tornanti distanti tra loro poche centinaia di metri, a costringere a rilanci più frequenti. Vero, salita in generale regolare, che può regalare fuochi d'artificio più che altro con gambe provate da altre ascese. Proposta come salita singola, può trovare un gruppo anche numeroso anche per tutta la prima parte. Per andarsene bisogna fare velocità. Qualche forte corridore da cronoscalate ce la potrebbe fare.

Riproposta pari pari dopo l'annullamento per neve nel 2013, riportiamo allora quanto scrivemmo prima dell'ultimo Giro. È la tappa delle mille domande: Gavia e Stelvio, per la prima volta insieme, basteranno a produrre qualcosa a livello spettacolare, malgrado siano seguiti da un ampio tratto di recupero e da una salita conclusiva che non è certo trascendentale, quanto a pendenze? La brevità della frazione, 139 km, avrà ricadute di che tipo sullo svolgimento della corsa? Come la mettiamo se nevica, con due passi over 2500? Le salite, che non necessitano di presentazioni: il Gavia da Ponte di Legno prevede praticamente 16.5 km di scalata, dopo la breve discesa dei primissimi km di tappa; la salita è veramente dura, col suo 8% medio ma con punte che vanno oltre il 15%. E se nel primo terzo di ascesa le pendenze sono più morbide e di tanto in tanto si può rifiatare un attimo, da Santa Apollonia alla vetta non troviamo nemmeno questi sprazzi di "umanità". Ai 2618 metri si scollina e si prende la strada per Bormio, 26 km di picchiata per metà abbastanza ripida e per metà molto più dolce. Dal crocevia valtellinese, al km 49, si inizia lo Stelvio, altri 21.5 km di mito assoluto. Le pendenze sono più dolci del Gavia (la media è comunque superiore al 7%), ma in compenso le fatiche iniziano a sommarsi, e gli ultimi 3 km all'8% secco potranno far davvero male. 2758 metri s.l.m. è la quota della Cima Coppi del Giro 2014, e la successiva discesa fino a Prato allo Stelvio misura 25 km in gran parte tecnici, con 48 tornanti su cui qualcuno potrebbe tentare un colpo gobbo. Approdati alla pianura, al gruppo spettano 10 km in altopiano, quindi un altro pezzetto di discesa fino a Coldrano, per un totale di poco più di 20 km favorevoli a chi insegue (anche perché il vento è quasi sempre contrario alla marcia, e ciò mette i bastoni tra le ruote a eventuali attaccanti solitari). L'ascesa finale (22 km) è irregolare, non delle più toste ma al termine di una simile cavalcata potrebbe scavare solchi in classifica. Primi 6 km all'8%, quindi breve contropendenza e altri 7 km più leggeri (tra il 6 e il 7); un muretto al 14% ai 6 km precede una spianata su cui i corridori dovranno raccogliere le forze per dare tutto negli ultimi 2 km tra il 9 e il 14%.

Un pregio del Giro 2013: alternare tra loro quiete e tempesta. Gli attaccanti recuperano brillantezza, viene più voglia di sfruttare i percorsi in tutto quello che propongono, senza i 4000 metri di dislivello del giorno prima. Così, dopo il trittico delle salite regine di questo Giro, per lo meno quanto a quota, arriva questa tappa che promette vita di gruppo agli uomini di classifica. Un po' di fresco forse in partenza, planando rapidamente a valle dalle alture della Val di Non, la graduale risalita in Val Sugana a far balenare i monti da scalare, domani. Tappa apparentemente discreta per le fughe. Buona anche per gli scattisti, i corridori da classiche, con dentelli ripetuti nel finale. Il valico che porta a Pergine dovrebbe servire a lanciare una fuga. Qualche dissonanza, storica, lungo i tornanti, le scale, di Primolano, dove cadde il grande Fausto. Ma per la tappa poco più di un gradino, 120 metri di dislivello. Tendenzialmente, si scende. Non male per chi è in avanscoperta. Ma gli ultimi 65 km sono mossi. Si tratta di brevi strappi a scadenze regolari. Km 141, Quero, a cavallo del Piave: una rampetta, dislivello 70 metri. Km 159, Santo Stefano: 160 metri di ascesa, 3 chilometri, una sgasata. Km 177, Refrontolo: 60 metri, un tornante largo, un colpo. Km 185, Cà del Poggio. Questa è diversa, trattasi di muro, recita il garibaldi. 140 metri di dislivello in un chilometro, poco più, in tre strappi rasentanti il 20% alternati a brevissimi respiri. Una retta dura, due semicurve, il tratto peggiore. Poi volta a destra, asperrima, e ti deposita su un pianetto trovato chissà come. Riprendi fiato pochi metri e ti riattacca dal tornante, a sinistra, in poi. Spiana molto gradualmente, ma l'ultima curva dove finalmente vedi l'orizzonte è di nuovo al 15% e lì è apnea. Da grande potenza. Potenza che deve bastare però fino all'arrivo 18 km più avanti. Non facile. C'è da lottare anche con un altro falsopiano ascendente, verso Ogliaro. Strada quasi retta, molto scoperta, purtroppo. Si rimane alle viste anche con 40 secondi di vantaggio, insomma ci vuole anche fortuna. Lo sprint, tuttavia, il velocista deve sudarselo.

Per aprire i tre giorni decisivi di questo Giro i suoi disegnatori hanno scelto questa tappa atipica. Una salita lunga, dura, selettiva molto lontano, troppo lontano. Un'altra breve, irregolare, poco più di una côte, preceduta e seguita da una selva di curve, saliscendi, strettoie. Si finisce per infastidire, ma probabilmente non selezionare, i corridori di classifica, tormentare il mezzo della tappa. Infine, un altro arrivo da tre quarti d'ora abbondanti di soglia e fuorisoglia. Lunga-corta-lunga, a logorare, più che a suggerire. Per nulla incentivato, ad esempio, un attacco dal sapore antico sui durissimi tornanti finali, tra il 16 e il 18%, del San Pellegrino, a 120 km dall'arrivo, dopo il bivio Valles. Quando il percorso si incunea nella selvaggia val di Cembra gli orizzonti si restringono, curve e dislivelli si susseguono. Tanta attenzione e tanti rilanci. Un primo balzo verso Brusago, 280 metri di dislivello, una spianata sull'altopiano di Baselga, poi una svolta brusca. Tre chilometri altrettanto acidi verso il Redebus, sempre tra il 10 e il 12%. Il cardiogramma ora si regolarizza. Discesa lunga, non difficile, ma la strada è a corsia unica, taglia un versante ripido, poco margine di errore. L'atipico tracciatore a questo punto snobba l'attacco diretto all'arrivo poco oltre Pergine e sceglie di orientarsi al periplo del lago di Caldonazzo e raggiungere l'erta finale, a Levico, da sud. Riempiendo di 12 km piatti la distanza tra i colli. 12 km solitamente ben soleggiati e ventilati, aperti, caldi. Notare che chi è in gruppo può godere del primo segmento non accidentato e costeggiato da strapiombi dopo circa 60 km. Qualcosa finalmente si può mangiare e bere con relativa calma prima dell'ora decisiva. La salita finale lunga è una costante di questo Giro. Tranne Oropa, comunque non corta, e Montecassino, sono tutti arrivi da almeno tre quarti d'ora di sforzo massimale. L'ouverture è di 3 km, il tempo di raggiungere il primo panoramico tornante e di entrare nel bosco, dove si dispiegano tornanti a distanze regolari. Altri 14 km quasi sempre tra l'8 e il 9%. Seria. Il mostro non è ancora qui, ma, essendo salita da velocità vicine ai 20, perdere le ruote ha un prezzo elevato.

Cronoscalata di livello raramente visto. Il Grappa da Semonzo, già affrontato nel 2010, è un gigante. Si son viste cronosalate corte e dure (Nevegal 2011, Oropa 2007), lunghe e pedalabili (Polsa 2013), con salita e discesa (Riomaggiore 2009, Sestriere 2000), tutte difficili, ma questa può essere paragonata soltanto alla cronoscalata del Ventoux, vista qualche anno fa al Delfinato. Sono 19.3 km per 1540 metri di dislivello. Con l'aggiunta di 8 chilometri pianeggianti iniziali. Già l'interpretazione di questa porzione di cronometro d'acchito pone problemi. Varrà la pena lasciarci 30-40" per scaladare gradualmente la gamba in vista di un più sereno attacco della salita? In genere nella crono non si lasciano per strada nemmeno le briciole, fin dalla partenza salvo evitare strattoni, scatti spaccagambe. Qui però, in vista di 1500 metri di dislivello dove anche solo 50 metri di VAM, pochi watt, in più o in meno si traducono in quasi 2 minuti di differenza, va meditato meglio. Però 9-10 minuti di crono pianeggiante da 45-50 all'ora costituiti essenzialmente da due rettilinei raccordati da una curva a 90 gradi, pedalati anche solo al 90% potrebbero già costare troppo. Ma, al di là dei problemi ermeneutici della fase introduttiva, la salita poi si capisce facilmente. È molto regolare per tutta la risalita del primo alto versante del monte, fino al chilometro 9 della salita, 17 della crono. Ripresa di fiato, intermedio di Campo Croce, al km 19.3 della tappa, si vede la cima. Poi, come recita il manuale della salita hors catégorie, il peggio arriva alla fine. Gli ultimi 7 km sono al 9% medio, con un primo segmento di 5 km tempestato di strappi oltre il 10, da forte rischio di impiantata. Essendo il duro così in alto, dopo già più di 45' minuti di sforzo ulteriore, la meditazione su quei primi 10 minuti di crono pianeggiante si fa oltremodo seria. Molto lunga, dura alla fine. Siamo all'università. Dote imprescindibile: estrema sensibilità nel dosare il filo del fuorigiri.

La resa dei conti. Tappa singolarmente simile, in scala più grande, a quella di Oropa di una settimana prima. Il Pura è una salita a tornanti regolarmente distanti, e regolarmente dura. 6 km consecutivi oltre il 9% di pendenza media sono già musica per scalatori. Nel cuore della salita proprio i 7 tornanti corrispondono al tratto più aspro. Aprire il gas qui significa accendere la corsa quasi facilmente considerata la pendenza. Se la giornata è iniziata male, lo sforzo pesa il doppio, nelle gambe e nella testa, perché la testa sa bene che la fine è un oceano di sofferenza più avanti. La discesa è un respiro, il lago di Sauris arriva subito, c'è una galleria stretta, illuminata, il fondo è perennemente umido. Se la mente è oltre, cosa anche facile, può diventare una piccola trappola. Una diga su un orrido impressionante e attacca la salita verso Sauris, nel prato. Nemmeno questa è pedalabile, se non a tratti, tra le frazioni di Sauris. 15 km. A 3 dalla cima c'è uno sfregio nel monte, un frana. La strada, costretta, s'impenna fino oltre il 15%. Questa però finisce qui. Il tratto da apnea è giusto in cima. La discesa che inizia subito dopo è meno pedalabile di quello che sembra, strada anche sconnessa, non larga, piccole curve continue tolgono visibilità. Si può anche sparire, con 30" guadagnati proprio in cima, sul più duro. Qualche tornante, ma pochi, quindi poco sforzo per mantenersi veloci. Il campanile pendente di Prato segna un tratto di breve pianura. Il fondovalle finisce presto. Del mostro Zoncolan, dei suoi 6 km infernali, ormai, non sono rimasti segreti. La scia, non conta. A ciascuno conviene salire per conto suo. Ma se ne devi seguire uno a tutti i costi, se quello ha un briciolo in più di forza, diventa un calvario. Anche in questa tappa, notare, arrivo in salita lungo, da 40 minuti abbondanti. Spiana solo prima delle gallerie in cima: un cicloturista, sostanzialmente, è arrivato, mancheranno 800 metri. Ma al corridore, all'uscita, bisogna rammentare che serve un'altra fiammata. C'è l'ultimo, esiziale, 18%. Ne possono andare anche altri 20 decisivi secondi.

Il Friuli, dopo aver deciso il Giro col suo Zoncolan, si avoca la passerella di inizio tappa; alla Venezia Giulia spetta invece il coltello tra i denti dell'ultimo circuito da velocisti della corsa rosa 2014, in quel di Trieste. Partenza a Gemona e quasi nulla da segnalare (sì, un Gpm di 1 km al Passo di Monte Croce, ma sarebbe sorprendente se la maglia azzurra di migliore scalatore dovesse decidersi con questi 2 punti scarsi da assegnare dopo 17 km). Dopo 95 km si arriva al lungomare che porta al capoluogo giuliano, si passa accanto al Castello del Miramare, e a Trieste, dopo 110 km, ci si accinge a 8 giri di un circuito di 7.3 km: non semplicissimo, esposto al vento proveniente dall'Adriatico, e comprendente uno strappetto di mezzo chilometro al 7%, seguito da un falsopiano e da una picchiata al 10% che si concluderà a 2.5 km dal traguardo, posto sul lungomare davanti alla splendida, enorme Piazza Unità d'Italia, prevista come scenografica sede per le premiazioni conclusive.

RSS Facebook Twitter Youtube

30/Jul/2017 - 20:30
ESCLUSIVO: le immagini del folle che ha tagliato la strada al gruppo facendo cadere decine di corridori al Giro d'Italia

24/May/2016 - 21:06
All'An Post Rás giornata di gloria per James Gullen nella tappa "di montagna": Fankhauser diventa leader

24/May/2016 - 17:07
Giro, nel giorno della nuova delusione di Vincenzo Nibali vince Alejandro Valverde davanti a Kruijswijk e Zakarin

23/May/2016 - 22:12
An Post Rás, nella seconda tappa vince il padrone di casa Eoin Morton

23/May/2016 - 16:00
Giornata di rinnovi: André Greipel e Marcel Sieberg alla Lotto Soudal fino al 2018, Geraint Thomas prolunga con la Sky

23/May/2016 - 13:11
Benjamin Prades vince l'ultima tappa del Tour de Flores ma non basta, la generale va a Daniel Whitehouse

23/May/2016 - 12:39
Brutte notizie per il ciclismo elvetico: l'IAM Cycling comunica che cesserà l'attività a fine stagione

23/May/2016 - 11:22
Conclusi i Campionati Panamericani: l'ultimo oro è dell'ecuadoriano Jonathan Caicedo

22/May/2016 - 23:59
Il Tour of California si conclude con una imperiosa volata di Mark Cavendish. Classifica finale a Julian Alaphilippe

22/May/2016 - 23:39
Il Tour of Bihor si chiude nel segno dell'Androni Giocattoli-Sidermec: tappa a Marco Benfatto, generale a Egan Bernal

22/May/2016 - 23:20
Women's Tour of California: gioie finali per Kirsten Wild e Megan Guarnier. Le altre corse: ok Bertizzolo e Lepistö

22/May/2016 - 22:44
Velothon Wales, Thomas Stewart supera Rasmus Guldhammer e Ian Bibby

22/May/2016 - 22:24
Dilettanti, ulteriori vittorie per Nicola Bagioli e Riccardo Minali alla Due Giorni Marchigiana

22/May/2016 - 22:22
Scatta l'An Post Ras: la prima tappa va all'olandese Taco Van der Hoorn grazie ad un colpo di mano