L'inchiesta: «Team Continental? Si spende di meno» - L'avvocato Jacopo Tognon: «I vantaggi fiscali sono enormi»
Per capire meglio a livello giuridico la regolamentazione del nuovo sistema delle Continental italiane abbiamo parlato con l'avv. Jacopo Tognon, presidente della Corte Federale della Federciclismo e membro italiano al TAS di Losanna; docente di Diritto e politica europea dello sport presso l'Università di Padova ed esperto di diritto sportivo e del lavoro, ci ha dato il suo parere per quanto riguarda i temi fiscali e normativi delle neonate formazioni tricolori.
Come si colloca la legge 91/1981 a livello storico? Da quali esigenze è nata? Chi l'ha promossa e su quali individui produce effetti?
«È la legge sul lavoro sportivo professionistico e viene creata dall'esigenza di disciplinare un settore che non aveva alcuna regolamentazione certa. Nasce in seguito al clamoroso blocco del calciomercato dell'estate 1978 quando un pretore, Giancarlo Costagliola, decretò la sospensione delle attività per violazione della legge dell'epoca sull'intermediazione dei lavoratori. Il percorso parlamentare, partito incentrato sulla natura autonoma del rapporto, ha finito per trasformarsi nella presunzione di lavoro subordinato a tal punto che sarà definita un "brutto cappello sulla testa sbagliata". È una legge quindi che compie ormai 33 anni e mostra molte crepe. Purtroppo la realizzazione di un'ipotetica riforma avrà, presumo, tempi biblici. Sono solo sei le discipline che vi hanno aderito (calcio, ciclismo, golf, pallacanestro, pugilato e recentemente sport equestri) ma solo nelle categorie apicali come le prime quattro divisioni maschili di calcio o la Serie A maschile di pallacanestro».
Quali sono le principali falle di questa normativa e perché discipline con un elevato giro d'introiti (come la pallavolo) mantengono lo status dilettantistico?
«Studiata per regolamentare una serie di lavoratori sportivi di livello normale, quasi impiegatizio, ha finito invece per essere applicata ai professionisti esasperati e quindi, come tale, applicando tutte quelle che possono essere le conseguenze di un rapporto lavoro subordinato (pagamento di contributi, INAIL, INPS). È chiaro che poi, a quel punto, il costo del lavoro per uno sportivo professionista tende ad essere sensibilmente superiore rispetto ad un lavoratore dilettantistico tale per cui conviene mantenere uno status non professionistico per motivi, appunto, fiscali e previdenziali: per un atleta professionista, uno stipendio di 100 mila € netti al lordo costa 200 mila € ad una società; per un atleta dilettante, invece, uno stipendio di 100 mila € netti al lordo costa 130-140 mila € ad una società. La differenza quindi c'è ed è molto importante».
Come mai la Fci stabilì a suo tempo che solo l'attività professionistica maschile su strada venisse disciplinata da tale legge? Qual è per la Fci l'attività professionistica maschile su strada?
«La Fci è stata la prima federazione assieme alla Figc ad attivare un settore professionistico con, tra l'altro, una peculiarità non da poco: non esiste infatti un accordo collettivo come, ad esempio, nel calcio e, per questo motivo, i collegi arbitrali di cui all'art. 4 comma quinto della legge 91/1981 per dirimere le controversie non sono mai stati costituiti. La scelta della strada maschile come unica attività ad essere disciplinata da tale legge venne fatta in quanto considerata, a differenza dell'attività femminile oppure dalle altre discipline, la parte ricca del movimento. È emersa anche la possibilità, per gli Élite italiani militanti in squadre straniere, di affiliarsi alla legge 91 in base all'art.3, stipulando un contratto da lavoratore autonomo».
I corridori di team Continental vengono considerati dilettanti, non professionisti.
«In effetti, potendo loro correre sia con gli Élite che con gli Under 23, si crea un doppio binario. Tuttavia la federazione ha deciso di creare la nuova legge anche per favorire la formazione di questi giovani atleti, richiamando anche la normativa Uci in materia che permette questa distinzione. Bisogna chiederci se, oltre al dato formale, valga ancora un'idea di questo tipo o se non si debba privilegiare, come ha sempre detto la Corte di Giustizia, l'attività di natura economica come indicatore di differenza tra attività dilettantistica e professionistica».
Esistono altri casi a livello europeo in cui gli atleti di team Continental hanno uno status simile a quello dei nostri dilettanti?
«Da quanto mi risulta, solo l'Italia ha questa distinzione bizzarra della legge 91: in tutti gli altri casi si applica per il rapporto di lavoro una legge "normale" a seconda della natura dell'attività, se più o meno orientata economicamente, se amatoriale o meno».
Quali sono i vantaggi fiscali nel registrare un team come dilettantistico anziché come professionistico, con riferimento alla legge 398/1991 (scarica qui il documento [3])?
«I vantaggi fiscali di un team dilettantistico rispetto ad uno professionistico sono enormi. Non solo in riferimento alla 398/1991 e alle sue modifiche, ma anche per una tassazione IVA agevolata, per zone di non tassazione per le sponsorizzazioni fino a 200 mila € e soprattutto per i redditi degli atleti che sono considerati come diversi. Per cui non c'è la tassazione da lavoro a cui sono sottoposti gli omologhi professionisti. Tutto ciò che non è classificato come lavoro non produce quindi quella problematica legata a contribuzioni assistenziali e previdenziali che è una delle voci più importanti di uscite di un team».
Come indica la nuova normativa Fci, la legge 91/1981 permette di considerare un'intera categoria nell'alveo del dilettantismo, anche se la stessa categoria ha caratteristiche riconducibili al professionismo (come il numero di ore lavorative o per il fatto che l'attività ciclistica sia il principale lavoro dell'atleta).
«Questo è uno dei grandi bug del sistema, fermo restando che spetta alle federazioni stabilire quali siano le categorie che giovano della legge. In realtà non è che la legge 91/1981 permetta di considerare un'intera categoria nell'alveo del dilettantismo; piuttosto c'è da chiederci come mai ci siano sacche dove l'attività economica è preponderante che non ricadano nell'applicazione della legge. Purtroppo il problema è sempre legato al costo del lavoro: un dilettante che volesse farsi riconoscere come professionista non ha la possibilità di ottenere una pronuncia che gli applichi la legge 91/1981, può invece ottenere una pronuncia che gli applichi le regole sul lavoro subordinato classico come qualche tribunale ha riconosciuto sia per ciclisti sia per altri sportivi».
Sarebbe possibile, in linea teorica ed in conformità con la normativa italiana, tesserare nello stesso team sia dilettanti che professionisti?
«In effetti con la nuova riforma c'è la possibilità per gli atleti delle nuove formazioni Continental di correre in due sistemi differenti, come se un calciatore giocasse continuativamente sia in Serie A che nel campionato Primavera. Credo che la ratio della nuova normativa sia quella di permettere di fare esperienza ai giovani talenti anche contro avversari di maggiore rango e, personalmente, non ritengo sbagliata questa novità. Poi è chiaro che quando si creano queste zone grigie contemporaneamente spuntano problemi. Per risponderle, non c'è alcun impedimento a livello giuridico nel tesserare sia dilettanti che professionisti nella stessa formazione».
A livello di regolamenti comunitari la presenza di team Continental che hanno vincoli minori rispetto alle altre formazioni, come rapporti economici differenti e la non obbligatorietà del passaporto biologico, può costituire un caso di concorrenza sleale?
«Più che concorrenza sleale vedrei una possibilità di depotenziamento del sistema del professionismo dato che, abbattendo il costo del lavoro, è chiaro che si finisce per creare un'alternativa più appetitosa e alla quale in molti vogliano partecipare. Sempre per fare un esempio di tipo calcistico, nel panorama attuale per una squadra di Serie D è molto più facile attrarre calciatori rispetto ad una formazione che milita in Lega Pro, visto che paga meno tasse. La tanto auspicata riforma della legge 91/1981 dovrebbe portare una figura di lavoratore subordinato diverso rispetto a quella attualmente in essere, eliminando queste diversità».
Nella nuova normativa (scarica qui l'intero testo [4]), all'art. 2.1 paragrafo d) comma 6, si definisce un criterio anagrafico per quanto riguarda gli atleti tesserati nelle nuove Continental: questo non è discriminatorio nei loro confronti?
«Ci sono molte discriminazioni in base all'età negli ordinamenti sportivi; secondo me la cosiddetta "tutela della riserva indiana" può valere sulla base della nazionalità con certi limiti. Anche se è una regola sportiva, che quindi viene stabilita in autonomia dalla federazione, questo criterio potrebbe dare adito a problemi come avviene spesso nel mondo del calcio per le discriminazioni in base alla cittadinanza».