Liegi-Bastogne-Liegi 2012: Gilbert, Schlecks e gli altri delusi - Anche Valverde e Cunego nel novero
- LIÈGE - BASTOGNE - LIÈGE 2012 [1]
- RadioShack - Nissan 2012 [2]
- Alejandro Valverde Belmonte [3]
- Andy Schleck [4]
- Damiano Cunego [5]
- Fränk Schleck [6]
- Johan Bruyneel [7]
- Kim Andersen [8]
- Maxim Iglinskiy [9]
- Peter Sagan [10]
- Philippe Gilbert [11]
- Uomini [12]
L'anno scorso ci trovavamo a festeggiare alla Liegi la vittoria di un vero campione, Philippe Gilbert, mentre le altre monumento venivano vinte da carneadi o corridori emergenti. Quest'anno ci troviamo in una situazione quasi opposta, con la Sanremo sempre appannaggio di un australiano "in medias res", la settimana santa in mano a un campione vero e la Liegi conquistata da un kazako per la seconda volta in 3 anni, ma stavolta non stiamo parlando di sua maestà Vinokourov, ma di Maxim Iglinskiy vassallo del podere delle Strade Bianche, corridore di discreta fattura, ma che in pochi credevano capace di un assolo in una classica monumento. Come in pochi credevano capaci i vari Zaugg, Vansummeren, Nuyens, Gerrans.
D'altro canto, emerge una crisi del campione vero, sempre più incapace di far rispettare il pronostico. Ed oggi di corridori plurititolati in crisi ne abbiam visti parecchi.
Facciamone una carrellata, a partire dal campione tirato in ballo poco sopra: si conclude una campagna del nord a dir poco disastrosa, se confrontata con l'equivalente dell'anno passato. Doveva essere l'anno della consacrazione anche sul pavé, per Philippe Gilbert, ed invece sul pavé è stato inconsistente; timidi segnali di ripresa sono arrivati sulle Ardenne, culminati col podio alla Freccia, ma la Liegi è stata spietata con lui. Aveva una sola cartuccia da sparare, l'ha sparata andando all'inseguimento di Nibali sulla Roche-aux-Faucons; dopodiché, è rimasto a ruota per poi sciogliersi definitivamente a Saint-Nicolas. Non ci sono spiegazioni esaustive per la crisi di Gilbert ma gli converrà riprendersi per il mondiale olandese. Per il momento, potrà rifarsi con le quintalate di birra annunciate per la festa in suo onore: fuori dalle corse una bella bevuta di quella che è da molti considerata la birra più buona del mondo male non farà...
Se l'anno scorso Gilbert fu il re, gli Schleck furono i suoi paggetti. Quest'anno, piuttosto che recitare un ruolo di contorno, i fratelli più chiacchierati del mondo delle due ruote hanno preferito eclissarsi: fuori dai giochi già alla Roche-aux-Faucons. È stata senza dubbio la prima parte di stagione più brutta della carriera degli Schleck. Non solo di Andy, per il quale, si sa, la prima parte di stagione è la Liegi e la seconda è il Tour de France; ma soprattutto di Fränk, sempre lontano dalle posizioni che contano in tutte le corse alle quali ha preso parte. Pesano probabilmente gli affari interni alla RadioShack, vittima di una lotta intestina (non che sia una grande novità, per i team di Bruyneel), tra il ds belga, che vorrebbe decidere il programma per i lussemburghesi, e il clan Schleck, supportato da Kim Andersen, già loro tutor ai tempi della Saxo. I temi di disputa, almeno quelli noti, sono rappresentati dalla presenza di Andersen al Tour (Bruyneel ha già deciso che non parteciperà alla spedizione) e l'eventuale dirottamento di Fränk al Giro per poi supportare Andy al Tour, opzione ormai scartata. Fatto sta che mentre tra Bruyneel e gli Schleck non c'è accordo, il team, pur fortissimo, è in severa crisi di risultati (solo 2 successi, realizzati peraltro da Cancellara). Ultima perla: alla partenza Andy indica come favorito numero uno suo fratello. Una volpe, non c'è che dire.
Una delusione "annunciata" è quella di Alejandro Valverde, unico dei partenti a potersi fregiare di 2 successi alla Doyenne, il quale già non era apparso in palla ad Amstel e Freccia, perdendo le ruote dei migliori nei momenti cruciali. Oggi la malasorte l'ha tagliato fuori anzitempo, con un guasto meccanico sulla Redoute, ma è lecito pensare che non avremmo visto di meglio; il murciano era sempre in coda e non dava l'idea di aver le gambe per fare una gran gara. Su di lui pesano probabilmente i due anni di assenza dalle corse e il fatto che sia sulla cresta dell'onda già da gennaio: quanto ha ottenuto finora è già tanto e il murciano può serenamente concentrarsi sul Tour de France.
Da Damiano Cunego ci aspettavamo qualcosa, ma aspettarsi qualcosa da Cunego per poi non ottenere conseguenti risultati è nell'ordine delle cose e ce ne siamo fatti una ragione. Ha una notevole giustificazione nel salto di catena avvenuto all'imbocco della Roche-aux-Faucons; quando succede una cosa del genere la gara è finita per chiunque o quasi. Però si insegna sin dalle categorie giovanili che quando la catena salta dal passaggio dal 53 al 39 è sfortuna fino a un certo punto; significa anche che il momento scelto per cambiare non è stato dei più adeguati. Quindi sì, sfortuna, ma anche mancanza di lucidità da parte di Cunego. Sulle gambe resta invece il punto interrogativo.
Finita la carrellata. Forse bisogna arrendersi all'evidenza che, nell'era dell'iper-specializzazione, il campione vero, quello che vorremo veder dominare in GT e classiche, soccombe alle leggi del livellamento odierno di questo sport e cede qualcosa da una parte per guadagnare dall'altra. La speranza è che non sia sempre così, che un nuovo Hinault nasca o sia almeno alle porte, ma segnali non se ne vedono, a parte quel Sagan che però sembra già abbastanza orientato, anche lui, nell'ottica di un ciclismo di specializzazione.