La difficile vita del ds - Riflessioni su un lavoro bellissimo
- Uomini [1]
E poi ci sono i direttori sportivi, quelli che stanno sulle ammiraglie, quelli che non li riconosce nessuno. Li abbiamo incontrati, visti tutti insieme, ne abbiamo conosciuto qualcuno di persona. Gran lavoro, quello del direttore sportivo. Noi poveri mortali ci perdiamo dietro ai videogiochi manageriali, per avere l'illusione di cavalcare l'auto dei sogni, quella da cui muovi i fili, da cui dài gli ordini e passi le borracce, da cui speri stando in fondo al gruppo, e da cui non puoi non provare un senso di impotenza, perché poi alla fine le gambe sono quelle dei corridori, ma se fossero le tue gliela faresti vedere a tutti.
I direttori sportivi, quelli che fanno quello che tutti noi vorremmo fare, quelli che catalizzano le nostre ambizioni segrete e le nostre conoscenze, quelli che invidiamo senza sapere che non è che tutto sia poi da invidiare.
Quelli che vorrebbero tanto parlare, dire delle cose, ma si mordono la lingua, fino a farla sanguinare, esattamente come l'ulcera allo stomaco che li tartassa da anni.
Quelli che hanno smesso di fare i rivoluzionari, anzi forse non lo sono mai stati, e accettano quello che succede con una fisiologica dose di fatalismo.
Quelli che a parole sono tutti d'accordo, e poi due ore dopo si fanno i fatti loro e riemerge l'individualismo che li contraddistingue.
Quelli che sono rimasti a spasso, perché gli sponsor fuggono, il Pro Tour è una mannaia sulle squadre medio-piccole, e i giovani rampanti che vengono direttamente dal gruppo sono tanti.
Quelli che però venire dal gruppo non significa essere nati "imparati", e che non capiscono che bisognerebbe fare dei corsi di aggiornamento ogni tanto.
Quelli che al contrario sono "imparati" perché fanno il ds da 30 anni, solo che lo fanno con le logiche di 30 anni fa e non si rendono conto che ciò non va del tutto bene.
Quelli che non saprebbero fare altro, e allora sono lì, galleggiano in attesa di un'altra occasione, e al limite danno una mano alla squadra di dilettanti della zona, dicendosi che è un apporto di esperienza che danno ai giovani, e desiderando in realtà di essere da tutt'altra parte.
Quelli che due anni fa erano i padroni del mondo, e ora sempre più malinconici hanno capito che cosa vuol dire soffrire, ma soffrire veramente, quando il treno riparte e tu sei sempre fermo in stazione, che lo vedi allontanarsi.
Quelli che hanno un ego talmente ipertrofico che avrebbero bisogno di un'altra ammiraglia al seguito per trasportarlo, ma hanno anche tanto charme e il sorriso pronto per ogni evenienza.
Quelli che avevano un po' di soldi da parte e li hanno investiti per fare una squadra, e poi non bastavano più, e hanno perso le case, e sono ancora nei guai. E sono tanti, perché non ti rassegni mai a lasciare questo lavoro.
Quelli che pur di restare in sella, accettano di rischiare ancora, legandosi a personaggi che sono delle vere voragini finanziarie. Che il cielo gliela mandi buona.
Quelli che dicono che qualche anno fa si sarebbero disperati se qualcuno gli avesse detto che non sarebbero morti in ammiraglia. E che però oggi sono disgustati da questo ciclismo.
Quelli che non si vogliono arrendere, beati loro, all'idea che il ciclismo di vertice sia formato solo da atleti dopati. Ma se poi gli chiedi per tutta la sera di darti 3 nomi di corridori puliti, sì da averci un occhio di riguardo quando impagini il sito, non si espongono, non si sbilanciano, dicono che non possono, che non sarebbe giusto, che non hanno le prove certe, manco si trattasse di una denuncia anonima al KGB.
Quelli che non si espongono perché non l'hanno mai fatto, ché in fondo è meglio non cercarsi rogne.
Quelli che forse hanno un po' esagerato con certe pratiche, da corridori, ed ora gli altri gli dicono dietro che sembrano degli zombi che camminano.
Quelli che anche senza aver esagerato, attirano comunque le frecciatine delle malelingue.
Quelli che, a turno, sono malelingue (praticamente tutti).
Quelli che 20 anni fa correvano tutti nella stessa squadra, e anche oggi, pelati e imbolsiti, si siedono vicini e la buttano in caciara, in fondo all'aula.
Quelli che sono sempre via da casa, e non appena vedono una donna il testosterone gli va a mille, epperò non sono giovani e belli come i corridori, e ai due di picche ci hanno fatto il callo.
Quelli che alle 10 di sera sono già a letto, cascasse il mondo, perché fanno ancora vita da atleta.
Quelli che invece amano sedersi a tavola e raccontare, raccontare fino a tardi, gli aneddoti di un'intera esistenza spesa tra ruote e telai, borracce e ragazzi irrequieti.
Quelli che poi non appena possono vanno in discoteca, e se capita ci portano anche i loro corridori. (In realtà questo è uno solo, Giuliani, nell'ambiente lo prendono per il matto che è, e noi ovviamente speriamo di rivederlo al più presto sull'ammiraglia di una squadra vera).
Quelli che tirano a campare con ingaggi di diecimila euro all'anno, ed è già tanto che non debbano rimetterci di tasca loro la benzina dell'ammiraglia.
Quelli che non si rendono conto dell'estrema tragicità della loro figura, bellissimi personaggi da romanzo, ma il ciclismo è romanzo sì, ma è anche vita quotidiana e pagnotta da portare a casa.
Quelli che si incontrano una volta all'anno, o forse ogni due, e qualcuno di loro pesca dal bagaglio delle banalità, ma forse qualcuno ha ancora qualcosa di nuovo da dire.
Li aspettiamo, siamo qui.
Noi siamo qui.