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Mondiali 2015: Si chiama Elizabeth, ed è la nuova regina - Armitstead vince la gara in linea su Van der Breggen e Guarnier. Longo Borghini quarta con tanti rimpianti

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Elizabeth Armitstead quasi non crede di aver vinto su Anna Van der Breggen e Megan Guarnier © Bettiniphoto

You make me dizzy, miss Lizzie! La voce del giovane Lennon risuona nella mente mentre la vertiginosa Elizabeth Armitstead (detta appunto Lizzie) vince il Campionato del Mondo di Richmond. Era la favorita, è andata vicinissima a restare con un pugno di mosche in mano, si è giovata del fatto che l'Olanda abbia praticamente corso per lei (che invece era rimasta senza squadra), e alla fine si è imposta su tutte le migliori.

La sua treccia scura soppianta quella bionda di Pauline Ferrand-Prévot sul tetto del mondo, i suoi bellissimi occhi chiari s'intoneranno in maniera perfetta all'iride che indosserà nei prossimi 12 mesi, e il suo nome continuerà a scalare posizioni nell'empireo popolato delle più forti cicliste britanniche, laddove si è già installata nel solco tracciato dalle Cooke e dalle Pooley, dalle Pendleton e dalle Trott.

A breve non sarà più miss Lizzie, visto che si sposerà (con un ciclista: Philip Deignan, irlandese in forza alla Sky), ma quello di "signorina" sarà l'unico titolo che perderà, avendo unificato (come si dice nella boxe) l'iride orizzontale e quello verticale, lei vincitrice, prima del Mondiale di oggi, della Coppa del Mondo (imperlata dai successi di Cittiglio, Philadelphia e Plouay), l'ultima edizione tra l'altro, visto che dal prossimo anno la CDM sarà soppiantata dal nuovo World Tour femminile. Un WT che non potrà che avere lei come donna-immagine, visto che laddove si parla di mondo, nel ciclodonne 2015, si parla di Armitstead.

 

Italia gagliarda e un po' sfortunata
Alla gioia grande eppure trattenuta (come le lacrime sul podio) della quasi 27enne dello Yorkshire, fa da contraltare l'amarezza con cui si è chiusa la prova dell'Italia di Dino Salvoldi. A un certo punto pareva addirittura che le azzurre si stessero per giocare la vittoria, con la piccola grande Valentina Scandolara, la cui gara odierna regala nuove sfumature al vocabolo "generosità"; poi invece la responsabilità di fare risultato è passate sulle spalle di Elisa Longo Borghini, la quale ha risposto da campionessa (qual è) sul suo terreno, la salita, o diciamo piuttosto lo strappo (ché di salita vera a Richmond non ce n'è); ma poi, ahilei, nulla ha potuto sul terreno avverso, quello della volata, nella quale ha provato a fare più di quel che avrebbe potuto, e si è fermata a un passo dal podio. Esattamente lo stesso piazzamento colto da Giorgia Bronzini un anno fa a Ponferrada, tra l'altro.

L'Italia se l'è giocata; magari altre volte le ragazze han corso meglio, o diciamo pure che hanno trovato percorsi più adatti alle loro caratteristiche, ma la prestazione di squadra per le nostre è stata positiva, certo tra alti e bassi (non tutte hanno reso al massimo), ma possiamo continuare a rivendicare con ottime ragioni di essere uno dei fari del ciclismo femminile mondiale. In assenza di medaglie, ci si aggrappa alla filosofia...

 

Gara quasi asciutta, latita la battaglia
Piove, non piove, piove, non piove, alla fine non è piovuto sull'angolo di Virginia che sta accogliendo i Mondiali di ciclismo. La pioggia, fosse caduta (l'ha fatto, in realtà, ma solo per una breve parentesi), avrebbe reso molto più selettiva la corsa; non che non lo sia stata in assoluto, visto che alla fine le ragazze sono arrivate al traguardo a gruppetti; ma comunque il percorso, pur esigente alla lunga, resta facilino, e ciò porta ad assistere a gare in cui non è che succeda un rivolgimento dietro l'altro.

In effetti la gara è stata in gran parte povera di contenuti, per poi accendersi nettamente negli ultimi due degli otto giri. Le prime tre tornate non sono state battagliate, al di là di qualche breve schermaglia sugli strappetti del finale; l'Olanda ha cominciato a farsi vedere in testa al gruppo, controllando la situazione con Germania e Gran Bretagna. Solo al quarto giro, quando ci si avviava verso metà corsa, ha iniziato ad accadere qualcosa: prima una caduta in curva ha messo fuori dai giochi una delle possibili protagoniste, l'americana Shelley Olds; poi si è visto il primo vero attacco della giornata, con la russa Svetlana Vasileva partita a fine tornata (ai -66), ma destinata ad essere ripresa (ai -59) dopo aver avuto quasi 20" di vantaggio sul gruppo.

 

A metà prova iniziano le schermaglie
Nel quinto giro è stata l'Australia a premere sull'acceleratore, lanciando prima Kathrin Garfoot, poi Lizzie Williams, poi di nuovo la Garfoot con Rachel Neylan; tentativi estemporanei su cui il gruppo ha chiuso agevolmente (in questa fase è stata Elena Cecchini a svolgere le mansioni di controllo per l'Italia, mentre nelle tornate precedenti era toccato a Marta Bastianelli e Valentina Scandolara stare sul chi va là).

Al sesto giro ci ha provato l'Olanda con Chantal Blaak, a 45 km dalla fine, ma quando sui muretti hanno cominciato a muoversi alcuni pezzi grossi (Trixi Worrack per la Germania, Armitstead per la Gran Bretagna, Emma Johansson per la Svezia, Katarzyna Niewiadoma per la Polonia, poi Evelyn Stevens per gli Stati Uniti) l'azione della Blaak è stata annullata in vista del passaggio e la situazione - pur molto fluida - è tornata per un attimo ad essere di gruppo compatto. Di lì a poco, però, sarebbe nata l'azione che avrebbe caratterizzato le ultime due tornate e - quasi - l'intera corsa.

 

Scandolara tiene alte le quotazioni azzurre
A 30 km dal traguardo - si era da poco entrati nel settimo e penultimo giro - si è mossa ancora l'australiana Neylan; al suo inseguimento si è formato un gruppetto di 8 atlete diciamo di seconda fascia: ovvero, forti sì, ma non tra le capitane designate di questo Mondiale. Emilia Fahlin (Svezia), Amy Pieters (Olanda), Audrey Cordon (Francia), Malgorzata Jasinska (Polonia), Romy Kasper (Germania), Coryn Rivera (Stati Uniti), Lauren Kitchen (Australia); e, per l'Italia, ancora Scandolara, che nonostante avesse già lavorato abbastanza ha avuto la brillantezza di accodarsi ad un'azione in cui praticamente tutte le nazionali più forti erano rappresentate. Mancava solo la Gran Bretagna, che però a quel punto poteva contare quasi solo sulle forze della Armitstead, rimasta drammaticamente sola a gestire un finale di gara tanto complicato.

Ai -25 le 8 contrattaccanti si sono portate su Neylan, e hanno continuato a guadagnare terreno su un gruppo in cui nessuno si decideva a tirare, e l'Australia (ottimamente rappresentata davanti, con due delle sue tra le nove battistrada) aveva buon gioco a fare da tappo, permettendo al margine delle prime di dilatarsi. A nulla è valso un tentativo di scatto della Armitstead sul secondo muro in pavé del circuito, il vantaggio per le nove volava verso il minuto.

 

Un sogno per Valentina
Non che l'accordo davanti fosse perfetto: sulle salitelle del settimo giro prima la Rivera (ottimamente marcata dalla Scandolara), poi la Jasinska hanno forzato; la polacca ha preso margine in vista dell'ultimo passaggio sotto lo striscione d'arrivo (ai -17), e ha proseguito l'azione personale fino ai -9, quando le altre otto hanno chiuso su di lei. C'era comunque fermento, la Kitchen aveva già tentato un paio di allunghi ma Scandolara l'aveva stoppata in entrambi i casi.

Al terzo tentativo, ai -8, la cosa ha funzionato meglio: ovvero, Valentina anche stavolta si è portata sull'australiana, ma le due in quest'occasione hanno preso un po' di margine, e allora l'azzurra ha deciso di collaborare con l'avversaria. L'azione procedeva a meraviglia, e subito le due son sembrate irraggiungibili per le altre 7. Se il gruppo non si fosse risvegliato per tempo, Scandolara e Kitchen sarebbero andate a giocarsi la vittoria, ma il problema per loro era di colore arancione, e si chiamava Olanda.

 

Il ritorno veemente del gruppo
Con un'ultima tornata a rotta di collo, le olandesi stavano infatti trainando il plotone (o quello che ne rimaneva), togliendo le castagne dal fuoco per l'impaziente ma impotente Armitstead. All'imbocco del primo dei tre muri finali, il gruppo s'è ingoiato le atlete intercalate, mentre alle due battistrada rimanevano 15" da difendere. Purtroppo per loro a quel punto stavano entrando nuovamente in scena le big, e sul secondo muro, a 2.5 km dalla fine, si è concluso il sogno di Valentina e Lauren: la Niewiadoma, con una progressione paurosa, ha riportato tutte sotto.

In cima al muro, ai -2.3, un'altra australiana ha tentato il contropiede, Tiffany Cromwell, ma nel giro di 500 metri è stata raggiunta da Armitstead, Niewiadoma, Megan Guarnier e un'inesauribile Scandolara, che era ancora riuscita ad accodarsi a questo bel treno. Sulla discesa però sono rientrate anche diverse altre atlete (tra cui Cecchini, Giorgia Bronzini, Longo Borghini).

Ai 1300 metri l'olandese Lucinda Brand ha tentato un anticipo, ma sull'ultimo strappo del circuito, ai 900 metri, Armitstead ha dato una botta delle sue; non ha fatto il vuoto, perché prima Niewiadoma, poi una Longo Borghini a tutta, hanno chiuso su di lei, portandosi appresso altre 5 atlete (Ferrand-Prévot, Guarnier, Johansson, Anna Van der Breggen e la biker svizzera Jolanda Neff), che poi erano quelle che sarebbero andate a sprintare per la vittoria; ai 400 metri si è accodata anche la bielorussa Alena Amialiusik, mentre Bronzini sul più bello, quando avrebbe ancora avuto la possibilità di rientrare (dopo aver perso qualche metro sulla rampetta), ha rotto il cambio, dicendo addio al sogno della terza maglia iridata.

 

La volata e la vittoria di Armitstead
Elizabeth Armitstead si era trovata in testa al drappello sul rettilineo finale, non propriamente la posizione ideale per sprintare al cospetto di cotante avversarie; ancora l'Olanda le ha dato una mano, nella persona di Anna Van der Breggen (non la più lungimirante del gruppo, in tema di tattica): costei ha lanciato la volata per prima, anticipando ai 200 metri e offrendo a Lizzie la possibilità di mettersi agevolmente nella sua scia, e di superarla poi in dirittura d'arrivo.

Uno sprint incerto nonostante la superiorità della britannica, elemento che lascia qualche rimpianto a Van der Breggen, la quale avrebbe anche potuto vincere se avesse scelto un po' meglio i tempi del suo lancio. Alle spalle delle prime due, Elisa Longo Borghini ha sputato l'anima per riuscire ad agguantare il podio, ma non è riuscita a sopravanzare la Guarnier, che ha regalato agli Usa l'ennesima medaglia di questa settimana mondiale.

Per la piemontese un quarto posto che lascia tanto amaro in bocca («Avrei voluto essere io quella che rompeva il cambio, e che Giorgia fosse al mio posto a sprintare!», ha dichiarato emozionata subito dopo l'arrivo), anche se alle sue spalle si è piazzata tanta nobiltà del ciclismo femminile: al quinto posto la Johansson, al sesto la campionessa uscente Ferrand-Prévot, al settimo la Niewiadoma, all'ottavo la Amialiusik, al nono la Neff. Al decimo posto, a 9" dalle prime, Ellen Van Dijk ha regolato il secondo drappello; nel terzo, a 17", Elena Cecchini ha chiuso al 18esimo posto, con Scandolara 23esima e Bronzini che ha poi tagliato il traguardo a piedi, a 38" da Armitstead. Un epilogo sfortunato che non rende troppa giustizia alla gagliarda prova della nazionale azzurra e che lascia spazio a troppi rimpianti: i complimenti fanno sempre piacere, ma a loro, alle ragazze di Salvoldi, non bastano: volevano le medaglie!

Marco Grassi

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