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Mondiali 2015: Non è un piano quello che ci serve - Italia: profilo basso, risultato scadente. Si confida negli attuali Under

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Elia Viviani, Diego Ulissi e Manuel Quinziato nel corso del Mondiale di Richmond © Bettiniphoto

Gli azzurri confezionano a Richmond un record, un record negativo. Il mondiale 2015 è quello col peggior risultato della storia (esclusi quelli senza azzurri al traguardo): il miglior azzurro, Giacomo Nizzolo, è 18esimo. Un risultato che peggiora quello conseguito ad Altenrhein, in Svizzera, nel 1983, quando Beppe Saronni fu diciasettesimo; ma in termini più tecnici tra quel Mondiale e questo non c'è paragone, visto che un giovane Moreno Argentin all'epoca fu protagonista dell'azione vincente di Greg Lemond, salvo poi andare in crisi nera. 32 anni dopo a Richmond non c'è nessun Argentin, e tantomeno un Saronni, e l'unico da promuovere degli azzurri è forse Elia Viviani, nel vivo della corsa a due giri dalla fine in un'azione che poteva far male.

 

Viviani "salvato" dai giochi tattici
La prestazione di Viviani svela (?) l'arcano del doppio velocista voluto da Cassani, in una corsa che poi tanto da velocisti non era. Tutto sommato qualche differenza tra Viviani e Nizzolo c'è, nella maggiore confidenza con le pietre del primo; e bravo e stato Elia ad infilarsi in un'azione che poteva far veramente male, complice la composizione stellare (Boonen e Kwiatkowski, possono bastare?). C'è però il rovescio della medaglia: il sacrificio lo ha salvato dal giudizio del finale di corsa, quello che invece ha confermato l'incompiutezza di Giacomo Nizzolo: la sua prestazione è stata mediocre, ma comunque in linea con le ultime prove svolte nelle classiche di agosto (vedere Plouay o Fourmies). Dunque, perchè aspettarsi di meglio? 

 

Trentin tenace ma cotto
Un po' difficile da valutare è stata la prova di Matteo Trentin, che è stato abile a cogliere i tempi esatti per muoversi: attento nelle fasi centrali, sembrava in ottima posizione per una medaglia sull'ultimo passaggio di 23rd street, da lui affrontato in rimonta (era intorno alla decima posizione). A suo dire, un fuoco di paglia: la benzina era ormai finita ed il trentino ha dovuto abbandonare i sogni di podio. Con Fabio Felline rappresenta un duo di giovani (ancora per poco, però) da tempo attesi al varco, che però non sembrano mai sbocciare definitivamente: occorre darsi una mossa, visto che il podio è composto da coetanei. Detto ciò, la prestazione di Felline è stata tra le migliori degli azzurri, col torinese abbastanza sacrificato in ruolo di copertura, troppo per poter dire qualcosa nel finale. 

 

Nibali e Ulissi, peggio che una bocciatura
Ciò che ha fatto veramente male sono le controprestazioni degli unici due azzurri davvero in grado di fare la differenza, ossia Diego Ulissi e Vincenzo Nibali. Per il primo si conferma una certa inaffidabiità nei grandi appuntamenti, con l'alibi certo di un avvicinamento non sereno (però la gamba c'era eccome, a Prato lo ha dimostrato, se non altro per non fare una corsa totalmente impalpabile), ciò non toglie che sia stato il peggiore degli azzurri, sotto qualunque punto di vista. Per Vincenzo Nibali viene addirittura da pensar male: è la prima volta che in un appuntamento così importante non prova un benché minimo tentativo, anche senza speranza. Che sia venuto a Richmond con lo scopo subdolo di cumulare chilometri di gara in vista del Lombardia? Avremo un'idea più chiara tra una settimana, certo nel caso non ce lo verrebbe a dire: quest'anno ha già avuto sufficienti modi per rendersi simpatico al pubblico e ai colleghi. 

 

Una grande regia senza attori validi
Se Lory Del Santo fosse finita tra le mani di Federico Fellini, sarebbe diventata una grande attrice? Forse anche sì, chi lo sa. Ma nel ciclismo una grande regia non trasforma le mezze punte in dominatori, e dunque il lavoro di Daniele Bennati e Manuel Quinziato, seppur valido e rispettabile, sostanzialmente non è servito granché ai fini del risultato, e in circostanze come questa, dove l'Italia non ha perso o vinto, ma semplicemente non ha combinato nulla, una valutazione è anche difficile da dare: mancano le evidenze, le azioni derivanti dalla lettura della corsa. Abbiamo visto giusto il treno azzurro portarsi su ai -6, forse troppo presto, per poi sciogliersi al debutto di Libby Hill: ecco, forse lì qualcosa a livello di squadra ha anche funzionato male. Ma stiamo parlando di dettagli. Ancor meno rilevante la prestazione di Daniel Oss, fermato da una caduta (senza conseguenze) a 100 km dell'arrivo: non che ciò possa aver cambiato qualcosa, del resto Daniel era forse l'azzurro più "mediano" nell'ingranaggio di Cassani.

 

Convocazioni: si poteva davvero fare di meglio?
Quando un Mondiale va male la prima cosa che si fa è guardare indietro alle convocazioni. Fermo restando che l'assenza di De Marchi grida tutt'ora vendetta, avrebbe potuto davvero cambiare qualcosa nel risultato finale? Probabilmente no. Anche Jacopo Guarnieri sarebbe risultato poco utile, se non per fare corsa a sé (e ottenere massimo un piazzamento nei 10, però). È il solito discorso: se manca la punta, tutto il resto è effimero. A percorso oramai testato, verrebbe da pensare che la presenza di due veri uomini da classiche come Enrico Gasparotto e Marco Marcato, tra l'altro entrambi in forma tutt'altro che scadente, potesse fare comodo (sicuramente più che avere due velocisti), e non ci sarebbe stato da stupirsi se Gasparotto alla fine fosse risultato il migliore degli azzurri. Ma il problema non sta tanto nei nomi, quanto nell'atteggiamento

 

Meno tattica, più ignoranza (quando serve) 
Il problema è un altro: che per dipingere una grande parete, ci vuole un pennello grande, in assenza del grande pennello. Cassani sicuramente vive il Mondiale come un appuntamento studiato a puntino, per il quale ha un piano predefinito. Abbiamo apprezzato che l'Italia, meno che altre volte, abbia cercato di prendere l'iniziativa a tutti i costi, ma non basta. In situazioni come questa, quando qualunque carta che hai in mano non è vincente, puoi fare soltanto due cose: o provare a far saltare il banco (come l'anno scorso), oppure fregartene della tattica e lasciare aperte tutte le possibilità di lettura, lasciando che ciascuno corra per sè o quasi. A che pro farcire la squadra di gregari, quando il capitano non c'è? Non sarebbe meglio prendere i nove migliori e buttarli coattamente sul tavolo, a giocarsi un pezzo di gloria?

 

Il mantra è sperare nei giovani
Allunghiamo così la nostra striscia negativa (record anche questa) di mondiali senza podio, giunta ormai alla settima edizione. Ed il mantra è sempre lo stesso: sperare nei giovani. Non che stavolta non abbia qualcosa di concreto, vista la bellissima prova offerta dagli under 23, di cui 2, se non 3, palesemente di luminoso avvenire. Però un tempo anche Felline, Trentin e Ulissi erano giovani. Non è che questo adagio si ripeterà ancora a lungo? Speriamo proprio di no: nel caso la maturazione dei vecchi giovani corrispondesse ad un ingresso straripante nel professionismo dei nuovi, avremmo in mano una squadra ancora capace di dire la sua, nel ciclismo che conta. In caso contrario, almeno per il Mondiale... stiamo freschi. 

Nicola Stufano

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