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Il mio Giro - di Paolo Viberti: Jacques Anquetil, il sultano - Un grande campione in bici, amò la moglie, la figlia e la nuora

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Paolo Viberti, classe 1956, 35 anni a Tuttosport, un palmarès visivo ed emotivo di nove Olimpiadi, 28 Giri d'Italia, 8 Tour de France, innumerevoli Mondiali o Europei di ciclismo, basket, sci, fondo, slittino, baseball... Innamorato della bici, ha scalato da solo tutte le vette di Giro e Tour. Ha scritto quattro libri per la Sei: L'Ultimo Avversario, Coppi Segreto, Storia delle Olimpiadi e Storia delle Olimpiadi invernali. Si è visto riconoscere i seguenti attestati: - Premio Coni Ussi 2013 per la "stampa scritta-cronaca e tecnica" - Premio Coni per la saggistica 2012 per il libro "Storia delle Olimpiadi, gli ultimi immortali" - Premio Coni-Primo Nebiolo 2012, Regione Piemonte, quale miglior giornalista - Premio Fisi-Coni, premio Sala Stampa 2004 quale protagonista del giornalismo degli sport invernali. Oggi è freelance, ha adottato un cane da un canile e ha iniziato la seconda parte della sua vita, quella della testimonianza.

 

 

TORINO. Per onorare un bellissimo Giro d'Italia che finisce con il vincitore più degno ho il piacere di raccontare una storia molto forte, straordinaria, imprevedibile, quasi choccante. Riguarda uno dei grandi di Francia, l'elegantissimo Jacques Anquetil, nato nella terra dello champagne a Mont-Saint-Aignan, nel 1934, e stroncato da un tumore a soli 53 anni.

Fu uno dei massimi interpreti dello sport della bicicletta, il secondo dopo Fausto Coppi a centrare l'accoppiata Giro-Tour nella stessa stagione (era il 1964), il primo in assoluto a vincere cinque edizioni della Grande Boucle (oltre a due edizioni della Corsa Rosa) e ancora il primo a comprendere nel proprio palmares almeno un successo nelle tre più grandi corse a tappe, con pokerissimo al Tour ('57, '61, '62, '63 e '64), doppietta al Giro ('60 e '64) e un succeso alla Vuelta di Spagna ('63). Non vinse mai il Campionato del Mondo ma fu uno specialista delle cronometro e un fiero protagonista in montagna.

 

Immediato successore di Louison Bobet - che di Tour consecutivi ne aveva vinti tre, dal 1953 al 1955 - e antesignano di Bernard Hinault, l'eroe degli Anni Ottanta, Jacques Anquetil non fu soltanto un fuoriclasse del pedale ma un eccentrico della vita, un artista in tutto ciò che faceva, un personaggio che amava andare oltre le Colonne d'Ercole, sfidando il destino e il perbenismo, la consuetudine e l'ortodossia.

Ogni sua azione parve un inno all'esagerazione e un inno al culto del personaggio. Sino alla fine, sino all'ultimo respiro.

Ho accennato alla sua eleganza nella vita (pasteggiava a ostriche e champagne, amava il lusso...), ma anche la sua posizione in bicicletta era perfetta, armonica, melodiosa: di lui si disse che avrebbe potuto affrontare una cronometro con una coppa piena di champagne posta sulla schiena senza che una sola goccia di quel nettare delle sue terre si versasse durante l'esercizio, tale era la compostezza del gesto agonistico.

 

Jacques Anquetil @ www.vavel.com

Nel corso del suo primo anno da professionista fece subito parlare di sé, quando a diciannove anni, era il 1953, dominò il Gran Premio delle Nazioni a cronometro, una specie di campionato del mondo contro le lancette.

Fu un personaggio talmente carismatico e affascinante da polarizzare le attenzioni di gregari e avversari, oltre che l'amore di molte rappresentanti del mondo femminile. Corridore eccentrico al punto tale da diventare scomodo e scontroso: dopo la vittoria nella Liegi-Bastogne-Liegi del 1966 e dopo il suo secondo record dell'ora del 27 settembre del 1967 si rifiutò di sottoporsi al controllo antidoping.

Il secondo episodio scatenò un vero putiferio, perché soltanto un mese prima al Tour de France l'inglese Tommy Simpson era morto sul Mont Ventoux a causa dell'utilizzo di sostanze illecite. Quella tragedia aveva dato inizio all'era dell'antidoping.

 

Fu talmente forte e carismatico da arrogarsi il diritto di scelta dei compagni da portare in Nazionale: al debutto nel Tour de France del 1957 pretese che dalla squadra francese venisse escluso Louison Bobet, imitando in qualche modo Coppi che aveva avanzato la stessa richiesta ai nostri ct prima del Tour del '52. I tecnici lo accontentarono e Jacques in tutta risposta dominò quel Tour con un quarto d'ora di vantaggio sul belga Marcel Janssens.

Amatissimo e detestato, quando otto anni più tardi non poté partecipare al Tour de France 1965 per infortunio pensò bene di invitare a cena nella sua dimora regale tutti i capitani delle squadre avversarie, tranne il suo acerrimo rivale Raimond Poulidor.

Era il giorno di vigilia della corsa e alla fine della cena Anquetil si alzò in piedi, tirò fuori dal taschino della giacca un libretto di assegni e firmò un tagliando in bianco rivolgendosi così agli invitati stupefatti: «Questo è per voi, mettete la cifra che vi sembra più equa. Vinca chiunque, ma non Poulidor».

La classifica a Parigi vide primo Gimondi, secondo Poulidor e terzo Motta. Già, l'antagonista Poulidor, il suo rivale di sempre, l'eterno secondo che disputò ben 14 Tour finendo otto volte sul podio, ma mai sul gradino più alto e mai vestendo per un solo giorno in maglia gialla!

 

Ma il Jacques uomo e seduttore fu ancora più sbalorditivo del Jacques corridore. A sedici anni trascorse una notte d'amore con una ballerina di Pigalle, che rimase incinta e pretese poi dal campione la retta mensile sino alla maggiore età del figliolo, che non visse mai con il babbo.

Due anni dopo, era il 1952, Anquetil si innamorò di Janine, che aveva sei anni più di lui e che era la moglie del suo medico. Tenne segreta quella relazione per cinque anni in seguito allo scandalo che una storia adultera assai simile aveva scatenato in Italia tra Coppi e la Dama Bianca.

Poi il 22 dicembre 1958 sposò Janine, che lui chiamava Nanou, e con lei andò a vivere nella Villa degli Elfi, in Normandia, alla periferia di Rachel, in un castello protetto da 170 ettari di bosco che era appartenuto al grande romanziere Guy de Maupassant. Janine portò con sé anche Annie e Alain, i suoi figli nati dal primo matrimonio.

 

La storia d'amore con Janine fu coinvolgente e totale, ma soltanto alla fine della sua massacrante e vorticosa carriera agonistica Anquetil pensò di arricchire quell'unione con la nascita di un figlio che anche la sua compagna desiderava fortemente. Ma dopo mille tentativi infruttuosi, nel 1970 Janine conobbe un'amara verità: non avrebbe più potuto diventare mamma per una patologia legata al suo secondo parto e diventata inguaribile dopo i quarant'anni.

E a quel punto accadde l'imprevedibile: Janine non vuole perdere il suo amato e osa chiedede a sua figlia Annie, che ha 21 anni, di fare ciò che a lei è ormai precluso. Annie acconsentì con entusiasmo, perché a sua volta innamorata del secondo marito della mamma.

 

E così nel 1972, dopo due anni in cui le notti del sultano Jacques iniziavano nel letto matrimoniale e terminavano in quello di Annie, nacque Sophie, che nel 2004 svelò i termini di una relazione complessa e sbalorditiva in un libro che si intitola sintomaticamente "Pour l'amour de Jacques" e non "Pour l'amour de mon père", in cui non c'è una sola riga di astio, di risentimento, ma solo ringraziamento, amore, adesione a un progetto folle. «Sono stata figlioletta di due mamme che hanno vissuto per quindici anni sotto lo stesso tetto».

Un libro toccante di una ragazza che si rivolgeva a suo padre che era anche il marito di sua nonna... Nonostante l'anticonformismo dei protagonisti di quella relazione allargata, l'atmosfera nella Villa degli Elfi si fece con gli anni sempre più pesante, perché Annie e Janine diventarono rivali, rivendicando ciascuna il ruolo di regina del sultano.

Alain se ne andò infastidito, dopo essersi sposato con Dominique dalla quale ebbe Steve. E che cosa pensò di fare Anquetil per riportare a sé l'interesse di Janine e di Annie? All'età di 50 anni, era il 1984, incominciò a sedurre Dominique e da quella seconda relazione contorta nel 1986 nasce Christopher, che dopo la morte del papà corse in bici a modesti livelli, ma con identico ed elegantissimo stile.

 

Dominique diventò così la nuova regina della Villa degli Elfi, dopo essersi separata da Alain, che se ne andò disperato. Janine e Annie non vennero più a trovare il marito e padre che aveva scelto la moglie del figlio di sua moglie, oppure la moglie del fratello della compagna dalla quale aveva avuto la prima figlia.

Sempre e soltanto protagonista, sempre e soltanto vincitore, Jacques non fece però i conti con un avversario assai più ostico di Poulidor, di Gimondi o di quel Merckx che aveva reso più celere il suo ritiro. E più coriaceo di tutte le donne che erano cadute ai suoi piedi: fu un avversario che sorprese l'uomo e non il corridore, un nemico che si chiamava cancro e che gli stava mangiando lo stomaco.

Seppe di dover lottare contro la morte alla fine del 1986, lo incontrai sulle strade del Tour de France 1987, quello vinto da Roche su Delgado; Anquetil mi disse che aveva i mesi contati ma che non avrebbe desistito sino alla fine, perché in fondo il più forte restava lui.

Alla fine di quella edizione della Grande Boucle, che seguì in gran parte come opinionista, Jacques fu ricoverato in ospedale dove ricevette la visita dell'eterno rivale Poulidor, che cercò di rincuorarlo e al quale il campione invincibile rispose con cinica flemma: «Mi dispiace Raymond, ma anche stavolta arrivi secondo: muoio prima io!». Ecco l'eterno e sprezzante Anquetil, l'uomo che rappresenta la Francia orgogliosa di sé, a tratti insopportabile, ma sempre convinta dei propri mezzi.

La morte sorprese Anquetil il 18 novembre di quel 1987 e il suo funerale assomigliò a uno splendido film di François Truffaut, "L'uomo che amava le donne". Dietro il feretro del sultano sfilarono tutte le sue donne. Prima fra tutte, distrutta dal dolore e da un'amore che l'aveva portata a concedere la sua stessa figlia a quell'uomo adorato, ecco Janine, che per tutta la vita rimase fedele al suo Jacques.

Paolo Viberti

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