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Il mio Giro - di Paolo Viberti: Marco, Campiglio, la stanza 27 - Pantani all'apice della carriera e la caduta più rovinosa di tutte

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Paolo Viberti, classe 1956, 35 anni a Tuttosport, un palmarès visivo ed emotivo di nove Olimpiadi, 28 Giri d'Italia, 8 Tour de France, innumerevoli Mondiali o Europei di ciclismo, basket, sci, fondo, slittino, baseball... Innamorato della bici, ha scalato da solo tutte le vette di Giro e Tour. Ha scritto quattro libri per la Sei: L'Ultimo Avversario, Coppi Segreto, Storia delle Olimpiadi e Storia delle Olimpiadi invernali. Si è visto riconoscere i seguenti attestati: - Premio Coni Ussi 2013 per la "stampa scritta-cronaca e tecnica" - Premio Coni per la saggistica 2012 per il libro "Storia delle Olimpiadi, gli ultimi immortali" - Premio Coni-Primo Nebiolo 2012, Regione Piemonte, quale miglior giornalista - Premio Fisi-Coni, premio Sala Stampa 2004 quale protagonista del giornalismo degli sport invernali. Oggi è freelance, ha adottato un cane da un canile e ha iniziato la seconda parte della sua vita, quella della testimonianza.

 

 

MADONNA DI CAMPIGLIO. Sì, lo so, di Marco Pantani ho già parlato nel corso di questo Giro. Più precisamente nella tappa che si concludeva a Imola, perché là c'è la "biglia" che affianca l'autostrada verso il mare e che Romano Cenni, il patron della Mercatone Uno, fortissimamente volle per ricordare il corridore che più di ogni altro lo trascinò nel vortice emotivo della bicicletta. Ma come faccio a ignorare il Pirata se oggi il Giro prevede che si arrivi proprio a Madonna di Campiglio, laddove il 5 giugno del 1999 Marco venne fermato per ematocrito alto, entrando in un tunnel dal quale non sarebbe più uscito se non consegnandosi all'immortalità del ricordo? No, il Panta trascende l'ordine degli addendi, il Panta può abbandonare la lista d'attesa, scavalcarla, sovrastarla, rimodellarla, stravolgerla. E oggi merita ulteriore considerazione, come se fosse la prima volta che si parla di lui. Perché in fondo emotivamente è sempre la prima volta.

 

Quella mattina ricordo che uscii di buon'ora dal mio albergo per andare al foglio firma per parlare con il dominatore di quella edizione in rosa, oviamente Marco Pantani, che aveva vinto tanto, forse troppo per non alterare gli equilibri "politici" di una corsa importante come un Giro: primo sul Gran Sasso, a Oropa (scavalcando 49 avversari dopo un guaio meccanico...), a Pampeago e appunto il giorno prima in quella stessa località trentina. Il primo essere vivente che incontrai lungo la via fu un grande collega che ormai non c'è più, Gino Sala, cantore sull'Unità. Lo vidi stravolto, emaciato, sofferente: «Pantani! Hanno fermato Pantani! Lo hanno messo fuori corsa. È tutto finito, tutto finito....». Andò via scuotendo il capo e senza attendere una risposta. In quegli istanti mi parve che "Ginetto" (tutti noi lo chiamavamo affettuosamente così....) stesse esagerando. Possibile che si potesse parlare in termini così definitivi ed escatologici? Il tempo che tutto lima e a tutto risponde disse di sì, sentenziò che Gino Sala aveva ragione....

 

Per ricordare Marco Pantani anche oggi, sono andato a trovare i proprietari dell'hotel di Madonnna di Campiglio dove Marco trascorse la sua ultima serata prima dell'espulsione per quel valore ematico illecito e forse frutto di un esame del sangue contraffatto, comunque difficilmente interpretabile e senza dubbio assai diverso da quello cui si sottopose lo stesso Pantani qualche ora dopo in Romagna. Lasciato il Veneto dopo la crono di ieri, ho percorso a riccio tre autostrade prima di lasciare quella del Brennero e puntare al valico Campo Carlo Magno, che divide la Val di Sole con la Val Rendena: e dalla vetta, dopo un piccolo tratto in pendio, ecco Madonna di Campiglio, una delle perle dello sci ma anche meta ambita degli amanti della bicicletta. A destra la mitica pista Miramonti, sulla sinistra nella parte alta del borgo c'è l'eleganza garbata dell'Hotel Touring, che appartiene ai coniugi Dalla Giacoma, sposi da 41 anni. 

 

Marco Pantani nel maledetto giorno di Madonna di Campiglio © www.giornalettismo.com

 

Antonio ha 67 anni, la signora Elena tre in meno. Con loro alla reception lavora il figlio Bruno, 38 anni. L'amore per la montagna è sentimento antico. Il bisnonno del signor Antonio era la guida alpina della principessa Sissi, proprio l'imperatrice d'Austria. Conosco i signori Dalla Giacoma proprio da allora, da quel 5 giugno 1999, il giorno dell'inizio di una fine che venne scritta il 14 febbraio 2004 in un residence di Rimini, con il ritrovamento del cadavere del Pirata...

 

Chiedo di allora, di quei momenti, dell'ultimo giorno in quel Giro della maglia rosa: «Mi ricordo che nel pomeriggio del giorno 4 - esordisce il signor Antonio - Pantani entrò in albergo dopo la premiazione per aver vinto l'ennesima tappa di montagna, ma invece di essere felice lo trovai assai contrariato, quasi nervoso. Nella hall incontrò Felice Gimondi, che quasi lo strattonò dicendogli con ammirazione: "Hai fatto un'impresa incredibile!". Marco rispose quasi senza attenzione, perché non era sereno, né tantomeno felice. Disse a Gimondi che aveva vinto perché nessuno dei suoi avversari era parso pimpante». Insomma, come se non potesse farne a meno...

 

La Mercatone Uno aveva scelto l'hotel Touring perché garantiva un ottimo servizio ristorante. E lo stesso aveva fatto la Saeco di Cipollini e di colui che dopo l'esclusione del Panta dalla Corsa Rosa avrebbe dovuto ripartire da Madonna di Campiglio con il simbolo del primato sulle spalle: stiamo parlando di Paolo Savoldelli, che però rifiutò la maglia ambita. «A proposito di ristorazione - aggiunge Antonio Dalla Giacoma - ricordo che la Mercatone Uno alle ore 18 cambiò tutte le richieste di menu. Prendemmo gli zaini e andammo al supermercato a fare nuovamente la spesa». Fu quella l'unica stranezza della giornata del 4 giugno? «No, non l'unica, perché Pantani rimase nella sua stanza mentre gli altri della squadra stavano cenando. Mi chiesi il perché, quando Marco scese a sua volta, ma erano ormai circa le ore 21. Il Pirata mangiò soltanto riso in bianco, ma in grande quantità, almeno quattro etti. E con lui al tavolo c'era solo Candido Cannavò, il direttore della Gazzetta. Che strano, mi dissi, che nella stessa squadra si mangino cose così diverse... Gli altri della Mercatone Uno, infatti, spazzolarono tutto». 

 

Ed eccoci al dopocena. Che cosa fece Marco? «Discusse a lungo con Cannavò, che rimase qui sino a notte, nonostante non avesse una camera prenotata. Fu una giornata molto intensa per tutti noi: pur con un ristorante da 80 posti, facemmo 150 coperti». E la camera di Pantani? Come doveva essere nei "desiderata" del suo entourage? «Ci chiesero per lui una stanza senza balcone per evitare le irruzioni dall'esterno dei tifosi che cercavano autografi o desideravano fare fotografie. Io ne ho solo quattro di quella tipologia, ma gli trovai la numero 27, al secondo piano. Era a due letti, ma lui dormì da solo e dunque ne lasciammo uno solo all'interno, affinché avesse spazi maggiori. Marco salì in camera piuttosto tardi. Anche quel particolare mi parve inconsueto, visto che il giorno seguente c'era un'altra tappa molto impegnativa». Con il Mortirolo...

 

La notte fu breve per tutti, perché intorno alle ore 6-6.30 arrivarono i responsabili del controllo antidoping: «Mi chiesero i numeri di stanza di Pantani e di Savoldelli, ma non salirono subito per il controllo. Tornarono un'ora e mezza più tardi e a quel punto sottoposero i corridori ai prelievi previsti». Trascorse un'altra ora e fu il finimondo: «All'annuncio dei valori alti nell'ematocrito di Pantani si scatenò una confusione spaventosa. Cercai di chiudere tutte le porte, Marco urlava "Cosa mi avete fatto, cosa mi avete fatto!". E la sua voce si sentiva dal secondo piano sino alla hall. Ebbe anche uno scatto d'ira e spaccò con un pugno il vetro di una finestra, procurandosi un taglio». Assalto dei giornalisti, ma il Pirata resta in camera e non scende, mentre i proprietari dell'hotel Touring telefonano ai Carabinieri. 

 

Alle ore 12 la Mercatone Uno decise di fare una conferenza stampa: «Per noi quella riunione di gente affannata e di cronisti curiosi fu un danno terribile. I media salirono dappertutto, sfondarono sedie e divani, avrò avuto danni per dieci milioni di lire». Ma i danni di quel giorno si concretizzarono in un effetto positivo negli anni a venire: «Da quel giorno di giugno il nostro hotel è diventato un luogo di culto per gli appassionati di ciclismo e per i tifosi di Marco. Ogni anno sono migliaia le persone che vengono da noi e ci chiedono di lui. Sono in gran parte stranieri, americani e giapponesi su tutti». E la morte del Pirata, quattro anni e mezzo dopo il giorno dell'esclusione dal Giro, rese tutto ancora più solenne ed eroico. «È come se venissero qui per riportare il Pirata tra noi...». Già, l'immortalità degli eroi...

Paolo Viberti

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