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Giro d'Italia 2015: Sboccia Formolo, grande spettacolo - Davide vince a La Spezia. Bagarre tra i big, Urán perde terreno

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Davide Formolo coglie il primo successo in carriera © Bettiniphoto

Alzi la mano chi pensava, dopo la quattro giorni ligure, di avere solamente una quindicina di nomi ancora in lotta per le prime dieci posizioni della classifica generale. La Chiavari-La Spezia è stata la cosiddetta ciliegina sulla torta di un inizio di corsa stupenda: dalla cronometro a squadre sanremese, passando per la volata di Genova e la movimentata tappa di Sestri Levante, il bilancio del grand départ era ampiamente positivo. Ma dopo quanto accaduto oggi, con una tappa che ha letteralmente sconvolto il classico scenario delle prime settimane delle corse a tappe, il Giro 2015 si candida ad essere pieno di momenti spettacolari.

 

Pronti, via, ed è gran ritmo. Parte una maxi fuga
Non appena Stefano Allocchio ha abbassato la bandierina poco fuori Chiavari si sono subito succeduti a ripetizioni tentativi di attacco, da Daniele Colli a Sylvain Chavanel, da Adam Hansen a Fumiyuki Beppu. La fuga, e che fuga, è partita attorno al km 18 sotto l'impulso di Franco Pellizotti: il Delfino di Bibione, dopo la giornataccia di ieri con i crampi che lo hanno costretto ad abbandonare le velleità di classifica, ha tentato un allungo a cui hanno risposto in parecchi. Ecco i loro nomi: Matteo Montaguti (AG2R La Mondiale), Simone Stortoni (Androni-Sidermec), Dario Cataldo, Davide Malacarne e Andrey Zeits (Astana Pro Team), Sonny Colbrelli e Edoardo Zardini (Bardiani CSF), Darwin Atapuma e Amaël Moinard (BMC Racing Team), Sylwester Szmyd (CCC Sprandi Polkowice), Arnaud Courteille (FDJ), Tsgabu Grmay (Lampre-Merida), Maxime Monfort (Lotto Soudal), Andrey Amador e Giovanni Visconti (Movistar Team), Alessandro Bisolti (Nippo-Vini Fantini), Esteban Chaves, Simon Clarke e Pieter Weening (Orica GreenEDGE), Mauro Finetto e Yonathan Monsalve (Southeast), Thomas Danielson e Davide Formolo (Team Cannondale-Garmin), Chad Haga (Team Giant-Alpecin), Martijn Keizer (Team Lotto.Nl-Jumbo), Salvatore Puccio e Kanstantin Siutsou (Team Sky), Roman Kreuziger (Team Tinkoff-Saxo).

Allo scollinamento del gpm di Colla di Velva (Zardini-Pellizotti-Visconti il passaggio) il gruppo, dal quale si era inesorabilmente staccato Gianni Meersman (poi il belga della Etixx-Quick Step si è ritirato verso metà tappa), pagava ben 3'30" di ritardo; nella successiva discesa, che ha visto un'innocua caduta di Chris Juul-Jensen (Tinkoff-Saxo), Tanel Kangert (Astana Pro Team) e dei due Trek Factory Racing Eugenio Alafaci e Calvin Watson, il vantaggio si è dilatato oltre misura. Se il gruppo della maglia rosa andava tranquilla, con tanto di soste pipì per tutti i big, non altrettanto si può dire per chi era in avanscoperta: ritmo alto a più non posso e il vantaggio che si dilata fino a toccare i dieci minuti.

 

Kreuziger staccato e poi rientra. Ma la Tinkoff va nel pallone
E qui nella prima discesa di giornata si è assistito ad un insolito scenario di gara: un susseguirsi di azioni di piccoli gruppetti che spezzettano in più tronconi il folto plotone di testa. Rimangono in testa Amador, Clarke, Courteille, Danielson, Formolo, Haga, Keizer, Moinard, Monsalve, Montaguti, Pellizotti, Visconti e Zeits. Nel frattempo, nel gruppetto in cui spicca Kreuziger, riesce a rientrare il leader della classifica degli scalatori, il russo Pavel Kochetkov (Team Katusha).

Il citato gruppetto Kreuziger non riesce a restare (c'è un altro motivo? chissà...) con la testa della corsa per cui, assieme al corridore ceco, troviamo altri nomi di livello come Atapuma, Chaves, Monfort e la coppia Sky formata da Puccio e Siutsou. Da questo plotoncino si stacca Cataldo che, con un importante azione solitaria, riesce a riportarsi sui battistrada, aiutato nelle ultimissime battute dal compagno Zeits.

Con il passare dei km anche i restanti componenti della fuga originaria riescono a riportarsi in testa, in occasione dell'ascesa al Passo del Bracco. Quando mancano 90 km all'arrivo il vantaggio sul gruppo rimane costantemente nell'ordine dei nove minuti nonostante dietro si stiano avvicendando in testa Etixx-Quick Step, in funzione ovviamente di Urán data l'assenza di uomini di Lefevere in fuga, e Tinkoff-Saxo. La condotta di gara della squadra di Oleg Tinkov è quantomeno bizzarra e, a conti fatti, si rivelerà assai modesta (in tutta sincerità era palese anche in diretta, nonostante l'opinione contraria del ds Bruno Cenghialta).

Vedere tirare a più non posso i sempre efficaci Ivan Rovny e Matteo Tosatto quando davanti puoi contare su Roman Kreuziger (ripetiamo, Roman Kreuizger, non certo uno qualsiasi) che, fra quanti stavano davanti, era l'uomo con più blasone e che dava maggiori garanzie sulle tre settimane, bè, è stato parecchio strano. Siamo sicuri che con Bjarne Riis non avremmo assistito ad una situazione kafkiana come questa.

 

Attacchi e contrattacchi in serie, ma nulla di fatto
Sull'ascesa del Passo del Bracco, impegnativa ma non inserita tra i gran premi della montagna, provano l'allungo Montaguti e Pellizotti; prendono qualche centinaio di metri di vantaggio, dato che da dietro non rispondono. Da segnalare per onor di cronaca uno scontro tra Keizer e un bambino a bordo strada, per fortuna senza conseguenze per il giovane appassionato (mentre l'olandese, nel dopotappa, dichiara di aver perso una catenina a cui era molto legato). Allo scollinamento il margine dei due azzurri in testa è minimo; il gruppo inizia recuperare progressivamente, ma il ritardo è sempre superiore agli otto minuti.

Nella successiva discesa verso Levanto altro sparpaglio in testa, con Pellizotti che si sbarazza di Montaguti prima di venir raggiunto dai due Movistar Amador e Visconti e in seguito dal resto della compagnia. Prima dell'imbocco del Passo del Termine inizia un'ulteriore sequenza di scatti e controscatti che rendono la corsa ancor più caotica di quanto già non sia stata sino ad allora: ci provano Colbrelli e Moinard, a cui si aggiungono il sempre attento Amador e Keizer; poco dopo è la volta di tutti gli altri, in una sorta di involontario elogio del "tutto cambia affinché nulla cambia" di gattopardiana memoria. E varia di poco anche il distacco del gruppo, trainato in particolar modo dalla Etixx-Quick Step.

 

L'Astana prende in mano la corsa e la frantuma. Matthews saluta la maglia
Se nel drappello di testa continua l'anarchico andamento con scatti e controscatti, con il gruppetto a scollinare dal Passo del Termine composto da Amador, Cataldo, Chaves, Clarke, Colbrelli, Formolo, Kreuziger, Moinard, Monfort, Monsalve, Puccio, Siutsou, Visconti e Zeits (Formolo-Amador-Puccio il passaggio in vetta), nel gruppo salta totalmente la corsa. A fare la voce grossa è l'Astana che letteralmente distrugge la concorrenza, dimostrandosi la squadra più solida e più competitiva in appoggio al proprio capitano. Già in prossimità dell'inizio della salita lo squadrone celeste aveva portato il ritardo a 7'15" grazie ad un sensibile aumento del ritmo operato da Luis León Sánchez. Ma una volta che la strada ha iniziato ad inerpicarsi l'azione si è fatta prepotente, propria di un team che vuole comandare la corsa.

Il difficile colle viene subito preso ad alta andatura, causando una repentina decimazione del numero di componenti del plotone: ne fa le spese la maglia rosa Matthews, che deve salutare anzitempo la testa della classifica. Si staccano anche nomi tenuti d'occhio come Carlos Betancur e Ilnur Zakarin, che pagheranno pesantemente all'arrivo (13'15" il colombiano e 17'23" il russo). Pagano, e qui arrivano le principali sorprese, le rivali della compagine kazaka: se il discorso della Etixx, con Urán lasciato solo sin dalle pendici, era assai prevedibile, lo era molto meno quello relativo a Tinkoff e Sky. Con Contador rimaneva il solo Michael Rogers (al quale pare di intuire non sia andata a genio la condotta di gara scelta in ammiraglia), con Porte il duo formato da Leopold König e Mikel Nieve. In totale il gruppo di poteva contare su Urán, Contador, Rogers, Porte, König, Nieve, i due Movistar Rubén Fernández e Ion Izagirre, il BMC Damiano Caruso, l'FDJ Alexandre Geniez, il Lampre Przemyslaw Niemiec, il Lotto Soudal Jurgen Van den Broeck, il Katusha Yuri Trofimov e il Nippo Damiano Cunego. Oltre ad Aru e ai suoi fedelissimi Tanel Kangert, Mikel Landa, Diego Rosa e Paolo Tiralongo.

 

Formolo rischia e ha ragione. Nel gruppo bene i big, male Urán
Scollinati con poco meno di sei minuti di ritardo dai battistrada, il gruppo Aru ha avuto in dote un altro preziosissimo vagoncino: dall'ammiraglia hanno saggiamente fatto fermare il fuggitivo Zeits, che, una volta riassorbito, ha trainato il plotone fino a La Spezia, abbattendo il distacco sino a 1'38" in occasione del passaggio sotto il traguardo. Nel frattempo davanti, poco dopo aver tagliato la linea bianca, prova un allungo Davide Formolo: lo scalatore di Marano di Valpolicella attacca in un tratto in pianura, lui che è un peso piuma (62 kg per il veronese). Ma non ha esitazioni, non si volta indietro e inizia la salita finale con del margine sugli ex compagni di avventura.

Sulle prime rampe de la Biassa provano a riportarsi sotto Moinard e Visconti, ma il loro distacco si aggira attorno ai 15". Ed è dietro che cominciano le danze: alla terza tappa in linea del Giro i pretendenti per la vittoria finale iniziano a darsene di santa ragione. Il ritmo di Rosa prima e Tiralongo poi causa problemi a molti, con Niemiec, Nieve e Rogers staccati sin dalle prime rampe. Si capisce che qualcosa bolle in pentola e arriva, secco, l'attacco di Aru; alla sua ruota, come un ombra, si porta Contador, imitato poco dopo da Porte. Tenta di agganciarsi anche Van den Broeck, ma lo scalatore belga manca di poco il treno giusto. Chi paga è invece Rigoberto Urán, che sale col suo ritmo assieme a Caruso, Geniez, König, Landa e Trofimov; Cunego è poco distante ma, a sua volta, non riesce a stare con il gruppetto del colombiano.

Davanti Formolo continua a mettere in pratica la sua pazza idea, scollinando con 33" su Moinard e Visconti e con 42" sul gruppo Aru, che nel frattempo ha ripreso i restanti attaccanti di giornata. Nella discesa prosegue la splendida azione del ventiduenne talentino cresciuto nella Petroli Firenze che continua a pedalare forte, raggiungendo la prima vittoria in carriera da professionista all'età di 22 anni e 199 giorni; per tornare ad un italiano così precoce a vincere al Giro bisogna tornare a Diego Ulissi, con la sua vittoria nel 2011. L'unico appunto che si può fare al buon Formolo riguarda l'arrivo, con il traguardo tagliato con la maglia aperta: per far contenti gli sponsor speriamo che possa rimediare sin da subito, magari nelle prossime tappe di montagna che ci attendono in questo Giro d'Italia.

Il gruppo, a 22", viene regolato da Simon Clarke che esulta pensando di aver conquistato la prima frazione al suo debutto nella corsa rosa; a riportarlo sulla Terra ci pensa Giovanni Visconti, oggi buon quarto e preceduto da un altrettanto combattivo Yonathan Monsalve (che sia finalmente giunta la sua ora?); poco male per l'australiano trapiantato in Italia, visto che il premio di consolazione si chiama maglia rosa. Per l'Orica GreenEDGE è il terzo rappresentante che indossa la maglia in quattro tappe, e il ciclismo aussie festeggia un piccolo ma significativo primato: con tre atleti in rosa raggiunge il Belgio e la Francia, rispettivamente nel 1976 (Sercu, De Vlaeminck e De Muynck) e nel 1982 (Hinault, Bonnet e Fignon), come nazioni capaci di indossare con tre rappresentanti diversi l'insegna del primato nello stesso anno. E non è detto che un quarto se ne aggiunga, date le capacità di Richie Porte.

Aru, Contador e Porte arrivano sul traguardo a 22" dal vincitore, guadagnando 42" sul gruppetto Urán. Oltre al colombiano e a chi lo accompagnava da segnalare i ritardi patiti da Ion Izagirre (4' tondi), Ryder Hesjedal (5'03"), Steven Kruijswijk (8'05"), Beñat Intxausti (8'59") e Francesco Manuel Bongiorno (12'53") nei confronti del trio dei big. Che hanno iniziato a rivaleggiare sin dalla prima occasione utile. La seconda arriva domani, con l'Abetone tanto caro a Gino Bartali. Ma di questo Giro, finora, non l'è tutto sbagliato o tutto da rifare. È quanto di meglio potevamo sperare.

Alberto Vigonesi

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