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L'intervista: Una squadra fresca, un bel progetto - Francesco Pelosi: «Cunego il nostro capitano, ma con maggior serenità»

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Francesco Pelosi, General Manager della Nippo-Vini Fantini-De Rosa © Sun-TIMES CommunicationFrancesco Pelosi è un 31enne spezzino. Imprenditore, nove anni fa ha fondato la Sun-TIMES Communication, agenzia di comunicazione con sede nel capoluogo di provincia più a est della Liguria. Oggi Francesco si appresta a ricoprire un incarico leggermente diverso: sarà infatti General Manager della Nippo-Vini Fantini-De Rosa, squadra abruzzese che ha fatto il grande salto: da Continental, nel 2015 diverrà Professional. Un progetto all'insegna dell'innovazione, che a ben vedere si basa su princìpi semplici, quasi naturali: un impianto manageriale in cui ciascuno svolge il proprio ruolo, una serie di marchi da coinvolgere nel progetto e far entrare nel ciclismo, alcune professionalità prese da altri mondi. Ovviamente la Nippo-Vini Fantini-De Rosa non sarà solamente questo: scopriamo così i dettagli di questa start-up abruzzese che sogna di prender parte alle grandi corse, magari al Giro d'Italia, ed ha ingaggiato anche Damiano Cunego, atleta di punta del team (ma ci sono tanti atleti d'esperienza ed altrettanti giovani nella rosa dei sedici).

Francesco, cosa te ne pare, fino ad ora, di questa nuova avventura?
«È appena iniziata, ti potrò rispondere meglio tra qualche mese. Almeno un semestre fammelo fare. A livello manageriale, per questi primi tre mesi, la trovo molto bella, stimolante, la sento nelle mie corde, nel senso che mi sono occupato di tanti fattori nei team, quindi so tirare un po' le fila. C'è un impianto già ben strutturato da Rocco Menna, quindi non mi sono ritrovato a partire da zero. Questo è molto importante».

Quali saranno nello specifico i tuoi compiti?
«Ho un ruolo manageriale che prevede la coordinazione di tutte le attività del team, la condivisione e la scelta del calendario insieme ai direttori sportivi, che costruiscono l'impianto delle corse da fare. In quello il mio apporto è soprattutto nella scelta di Paesi strategici per i nostri sponsor. Ovviamente avremo un'attenzione particolare al calendario europeo ed a quello asiatico. Lavorerò su tutto quello che è il board dell'attività di comunicazione e mi occuperò - non io direttamente ma tramite la struttura - di gestione amministrativa e contabile. Sarò il General Manager, quello che tira le fila di tutta l'azienda-squadra. Gestirò la parte manageriale delle sponsorizzazioni a livello amministrativo, burocratico e di sviluppo di quello che i brand che investono nel ciclismo vogliono. Coordinerò le persone della squadra tramite uno staff in cui ognuno riveste il suo ruolo. Ho la fortuna di avere Hiroshi Daimon che è un team manager, il quale quindi mi aiuterà nella gestione della squadra insieme ai direttori sportivi. Non ho mai preso decisioni in corsa né vorrò mai prenderne, altrimenti ci sarebbe una sovrapposizione di ruoli».

Sin da subito avete basato molto di ciò che riguarda il team sull'immagine. Ci dovranno essere dei risultati.
«È stato travisato il concetto di immagine e sembra che quest'ultima vada a discapito della performance agonistica. In realtà l'immagine esalta anche la performance agonistica. L'immagine di un team si compone dell'immagine coordinata (come presenti i mezzi, gli atleti, i completini, le biciclette); l'immagine che dai quando arrivi alle corse (come si comportano gli atleti tanto con i fan quanto con gli altri corridori e gli altri addetti ai lavori, la bella immagine che vuoi dare di squadra, con toni contenuti, mai sbagliati); c'è poi l'immagine che dai quando fai una bella performance. Non andremo certo alle corse solo per mostrare il pullman o portare in giro il marchio dei nostri sponsor, siamo pur sempre una squadra di ciclismo e vincere piace a tutti. Però immagine significa anche: facciamo una bella fuga, una bella azione, completiamo un gioco di squadra che ci porta a vincere una corsa - e lo speriamo - o a fare un podio. Bene: esaltiamo questo gioco di squadra. L'immagine è tutto questo. Poi sceglieremo le corse strategiche in base ai nostri sponsor, quello sì. Tra una corsa asiatica ed una croata vedremo quella che sarà più importante per i nostri partner, perché il bello del ciclismo è che dà internazionalità, quindi puoi scegliere dove andare a correre. O meglio: cerchi di meritarti, come noi, certi inviti, ma puoi decidere dove andare a cercarne altri. Purtroppo è stato travisato il concetto d'immagine, tutto qui».

Venite da un 2014 che vi ha portato 12 vittorie: non malissimo per una Continental.
«È stata fortunata la stagione, ci ha strizzato l'occhio anche il destino, con l'arrivo di Grega Bole. Purtroppo non siamo riusciti a tenerlo con noi, ma con lui c'è un ottimo rapporto. Era nel World Tour, poi è venuto da noi, quindi ha trovato una squadra che poteva supportarlo meglio di noi, perciò ci siamo salutati. Però è stato un buon saluto, ecco. E poi c'è stato un Grosu in cui crediamo, perché è un corridore poliedrico, ama il cross, la strada, ama tutto quello che riguarda la bici. Il grande merito di questa squadra è stato il gruppo che Stefano Giuliani è riuscito a costruire. E con il gruppo arrivi alle vittorie. Per la nostra Continental è stata una stagione eccezionale».

Per Grosu hai speso molte belle parole. In lui che potenziale vedi?
«Mi affido alle parole di Giuliani: "Grosu lo dobbiamo ancora scoprire". Si presenta come un velocista ma deve ancora lui capire dove può arrivare. Il fatto che sia poliedrico è una cosa positiva, ovviamente noi lo dobbiamo mentalizzare per dedicarsi bene alla strada. Ha ancora quella voglia... Insomma, gli brillano gli occhi quando vede una bici, qualsiasi essa sia. È giocoso, però ha anche intelligenza tattica. Deve migliorare tantissimo sulla preparazione, sull'alimentazione, deve tener sotto controllo il peso perché facilmente ingrassa (è un problema comune a molti corridori), però è un cantiere aperto. Secondo me può venir fuori un ottimo corridore completo, sicuramente un passista veloce, non un velocista puro, assolutamente».

Tanti i neoprofessionisti tra i nuovi arrivati, Da Marini a Berlato, da Filosi a Nibali junior.
«Li abbiamo seguiti fra i dilettanti ed ho la fortuna di avere dei tecnici che hanno scelto bene. Le scelte degli atleti non le ha fatte Francesco Pelosi: le abbiamo fatte in maniera congiunta, ma con un peso specifico maggiore che è stato quello di Stefano Giuliani. In questa squadra chi fa la parte tecnica, fa la parte tecnica per davvero! Ovvio che il corridore di punta, come altri innesti, l'abbiamo deciso insieme, ma la costruzione della squadra è stata gestita da chi si occupa della parte tecnica. Marini è un super velocista, crediamo in lui e con Giuliani può imparare molto, essendo tra l'altro il più giovane del team. Berlato è un altro giovane interessante, ma lui è più passista-scalatore, come caratteristiche. Insieme all'altro neopro', Iuri Filosi, è l'atleta forte anche in salita, tra i giovani. A questi tre unisci Antonio Nibali che è una scommessa per tutti. Lui per primo deve capire dove può arrivare, ma è un altro giovanissimo. Diciamo che Berlato e Filosi hanno una grande opportunità: imparare da Damiano Cunego come ci si muove in gara, perché sono atleti con caratteristiche simili».

Aver preso Antonio Nibali, che conosciamo come un buon corridore, è stata anche una bella mossa di marketing.
«Antonio ha degli ottimi margini di miglioramento. È un corridore tutto da scoprire. Essere il fratello di un grande campione può essere la sua fortuna oppure la sua sfortuna, tra virgolette. Io penso che Antonio, per certi motivi, poteva magari arrivare in altre squadre, non ultima quella del fratello. Ha preferito fare la sua strada, camminare con le proprie gambe e mettersi alla prova. Sa che con Giuliani dovrà fare fatica, conquistarsi il posto e dimostrare di valere. Non l'abbiamo preso per fare un'operazione di marketing, l'abbiamo preso perché era un piacere ed un onore avere il fratello di un grande campione con noi, sapendo che voleva mettersi alla prova e che eravamo l'ambiente giusto per farlo, ecco».

In entrata dalla Neri Sottoli ci sono Daniele Colli e Mattia Pozzo.
«Colli ha avuto una serie di sfortune che è incredibile. Potremmo scrivere un libro su di lui. Ha una bella storia umana, lui è una bella persona ed un talento. Lo conosco dai tempi in cui era Campione Italiano Juniores, siamo praticamente coetanei (ho un anno in meno di lui) ma lo conosco, avendo vissuto in questo mondo. So che meritava l'occasione di mettersi alla prova e di misurarsi. Il team crede profondamente in lui e sono felice che abbia accettato questa proposta. Pozzo è più giovane: adora le fughe, il Nord, è un corridore moderno, è sveglio e dinamico. Anche lui verrà messo alla prova. Con Colli si colloca, nella nostra piramide, tra quei corridori con esperienza e classe. Siamo sicuri che tireranno fuori dei bei numeri».

Si dice che Pozzo voglia essere molto leader.
«Non mi risulta. Pozzo ama fare gruppo e lavorare bene al servizio della squadra. È un ragazzo determinato, quando va forte ti sa andare in fuga e se arrivano in quindici davanti è tagliente, veloce. È vincente di testa ma non s'impone su di un gruppo. Se acquisirà spazio sarà perché glielo avremo dato noi. Pozzo è uno di quegli ingredienti necessari per fare gruppo».

Veniamo all'innesto più importante, senza dubbio: Damiano Cunego.
«È il capitano. Nella nostra piramide di atleti abbiamo un'ottima base di giovani (Berlato, Marini, Antonio Nibali, Filosi, Stacchiotti, Viola, tre eccellenze del ciclismo giapponese come Ishibashi, Kuroeda e Yamamoto). Corridori di sostanza come Colli e Pozzo, Grosu, Malaguti e De Negri. In testa alla piramide c'è Cunego. Damiano con noi si deve solo ritrovare: ritrovare - come sta facendo - la voglia di divertirsi in bicicletta e di lavorare in un gruppo giovane, a cui lui, anche solo spiegando quelli che sono stati i suoi anni d'esperienza, trasmetterà tantissimo. Se vuoi un aneddoto...».

Prego.
«In ritiro ho preteso che al mattino facessimo mezz'oretta di running tutti insieme. Bene, abbiamo percorso il primo pezzo, poi tornando verso l'albergo sono partiti i vari Marini, Berlato. I giovani hanno iniziato ad accelerare. Cunego prima è rimasto dietro con me e Giuliani. Poi ha detto: "Vediamo come vanno". Ha accelerato, li ha ripresi ed è arrivato da solo in albergo. Se a 33 fai una cosa del genere senza che tu sia in bicicletta è la dimostrazione che hai ancora voglia di far fatica e divertirti. Non ha niente da dimostrare a noi, nel senso che ci fidiamo della sua classe e delle sue qualità, ma si vede chiaramente che ha voglia di tornare a toccare certi risultati. Magari con l'approccio un po' più leggero, un po' più divertente».

Perché Damiano ha scelto proprio voi?
«Aveva sul piatto altre offerte ma ha valutato di venire qui prima di tutto perché c'è dietro un progetto (ne abbiamo uno triennale con l'obietivo di diventare quinquennale in ottica Tokyo 2020. Le Olimpiadi sono l'appuntamento focus di Nippo, il nostro sponsor asiatico), una squadra nuova e fresca che vuole unire novità e figure giovani. L'età media del nostro staff è di 35 anni, però hai anche l'esperienza di un uomo come Stefano Giuliani, che nella vita ha fatto il corridore, il biker, il manager, il direttore sportivo e vuole lavorare con i giovani. Unito a tutto ciò, c'è un team di professionisti - ad esempio, Damiano è rimasto stupito dal lavoro fatto a livello osteopatico durante il primo ritiro - e dunque si forma quel mix per cui sente di aver fatto la scelta giusta. Ecco, ha preferito noi per progetto, professionalità, voglia di fare, di emergere e la novità di una squadra che ha questi obiettivi».

Non pochi lo davano come un corridore finito.
«Aveva sicuramente bisogno di nuovi stimoli ma non è assolutamente un corridore che vuole appendere la bici al chiodo. Con noi ha preso un impegno di due anni. Ovviamente è un ragazzo intelligente che sta pensando al suo futuro: l'essersi iscritto a Scienze Motorie dimostra che è un bel cervello, ha voglia di mettersi di nuovo in discussione e in gioco con noi. È sceso di categoria, da una World Tour ad una Professional, e vuol dire che ha voglia di mettersi in gioco. Se avessimo pensato che aveva perso la fiamma dell'agonismo, la voglia di mettersi alla prova oppure anche solo la qualità atletica, non l'avremmo cercato. Per noi Cunego può ancora dare tantissimo perché è un talento cristallino».

Scendere di categoria potrebbe anche facilitarlo.
«Ma non tanto per la qualità delle corse, quanto per la tensione un pochino allentata. Essendo un corridore che ha vinto quello che ha vinto, ha sempre avuto molti riflettori puntati addosso, con tantissimi obiettivi di livello mondiale: sopra a quegli obiettivi non c'era altro. Qui avrà comunque degli obiettivi importanti, sia in gare anche un po' minori ma anche in qualche corsa che speriamo ci dia fiducia e che rappresenta per noi un traguardo di primo livello. Lui lì sarà chiamato a dare il massimo, sempre se riceveremo gli inviti. Bene, in quelle occasioni sarà al pari, a livello di pressione, degli altri anni, con la differenza che lo farà con un approccio nuovo. Con una squadra che gli chiede solo di dare il meglio. Non che in Lampre lo pressassero o chissà che, però è stato un atleta da cui tutti si aspettavano molto. Noi ci aspettiamo tanto da lui, ma senza mettere un cerchietto attorno ad una corsa specifica o ad una settimana della stagione. Cunego dovrà avere il suo periodo d'oro tra aprile e giugno: dovrà farsi trovare al massimo e al meglio di tutta la sua qualità».

Tra aprile e giugno c'è anche il Giro d'Italia.
«Come per tutte le Professional italiane o estere, sarebbe un privilegio esserci. La corsa più bella del mondo, nel paese più bello del mondo non è un claim inventato a caso. Stiamo lavorando per meritarci la fiducia. Non dipende assolutamente da noi ma da RCS che ha questo compito difficile di selezionare, non potendo invitare tutte le squadre. Se avremo la fiducia da parte di RCS, ci andremo con una squadra la cui filosofia sarà quella di correre da protagonisti. Come avviene un po' ovunque del resto, ma a maggior ragione se si è al Giro. I risultati arriveranno in misura della nostra qualità, del gruppo che faremo e un po' anche del destino e della fortuna, ecco».

Tornando alla vostra rosa, è completa con questi quindici atleti?
«Sedici. Saranno sedici, visto che abbiamo confermato Bisolti. Anche lui ha una bella storia, per un anno è rimasto fermo ed è andato a lavorare. L'abbiamo riportato in bicicletta nella stagiona scorsa, con gli alti e bassi derivanti da un anno fermo».

Che mi dici dei due marchigiani, Riccardo Stacchiotti ed Antonio Viola?
«Sono l'esempio di un progetto nato nella categoria Under ed arrivato nella Professional. Entrambi giovanissimi, possono dare tantissimo. Stacchiotti è un passista veloce, Viola è un velocista, tutti e due con buoni margini di miglioramento. Conoscono benissimo la filosofia di questo gruppo e di Stefano Giuliani. Hanno da dimostrare anche loro il loro valore, ma gli si deve dare il premio alla carriera, diciamo, per essersi fidati di noi sin dalla categoria Under. Sono quei corridori di cui sai che ti puoi fidare e che daranno il 200% per la squadra».

Hai parlato prima di Malaguti e De Negri.
«Ogni anno Malaguti ne infila una, di vittoria. Altro corridore che fa squadra, che sa tirare in maniera eccellente ma quando ha una carta da giocare se la gioca, magari anche bene, e vince. De Negri è delle mie parti, già vincente, forte. Sa fare squadra ma sa anche vincere. Insomma, è un bel talento».

La parola più accostata alla Nippo-Vini Fantini-De Rosa è "nuovo": ci spieghi meglio?
«Prima di tutto l'impianto manageriale, il modo in cui stiamo gestendo questa squadra. La seconda cosa, che poi è la parte più difficile, è cercar di portare alcune iniziative, alcuni marchi, alcune strategie che grazie alla mia agenzia di comunicazione comprendiamo ed attuiamo in altri mondi - dalla cosmesi alle grandi strutture - ecco, noi vorremmo riuscire a portarli nel ciclismo. E vorremmo cercare, per quanto possibile, di fare un mix tra quello che è il ciclismo antico, con certi valori che non scadranno mai, ed altre professionalità provenienti da altri mondi, che possono dare un valore aggiunto al ciclismo».

Un esempio?
«Abbiamo aperto la stagione con due giorni di visite mediche con l'Università di Chieti, reparto di Medicina dello Sport. Fanno un protocollo di screening sui nostri atleti che nel ciclismo non viene mai eseguito, nel senso che non si prestano nel ciclismo. bene, abbiamo portato i ragazzi di FK Team, guidati da Riccardo Contigliani e con altri due professionisti come Davide Terzi e Tommaso Mazzini. Hanno creato un metodo scientifico per un'analisi completa a livello osteopatico, che mette in evidenza tutti i tuoi possibili margini di miglioramento a livello strutturale giù dalla bicicletta: da come respiri a come muovi tutti gli arti. È un protocollo applicato anche nel calcio, all'AC Monaco, all'Entella, o nel basket, all'Armani Jeans e noi l'abbiamo portato nel ciclismo. Il nostro approccio nuovo è tutto lì: professionisti che vengono da altri mondi, che applicano le loro conoscenze al ciclismo, marchi che possiamo traghettare nel nostro sport sfruttandolo come strumento e veicolo pubblicitario, fino al management».

Pubblicherete anche i dati del Passaporto Biologico dei vostri corridori.
«Saremo la prima squadra al mondo. I corridori avranno l'obbligo di entrare nel sito del team, su un pannello di controllo che ogni corridore ha, e pubblicare non i dati editati, ma gli screenshot del loro ADAMS. E lo faranno sia per la parte della reperibilità che per quella dell'elenco delle analisi specifiche. Perché i ragazzi, quando sono controllati per il Passaporto Biologico, poi possono controllare quali sono i dati usciti dalle analisi. Qualsiasi utente, lasciandoci nome, email ed alcune generalità, potrà accedere ai dati che i ragazzi pubblicheranno, magari con una didascalia. Diranno se sono stati in altura, se hanno fatto un calendario di corse intenso, se sono stati malati, se hanno fatto una cura antibiotica. Ogni schermata in cui fanno vedere le analisi potrà essere corredata da un commento».

Tutto all'insegna della trasparenza.
«C'è grande difetto in come viene comunicato il mondo antidoping oggi. Tutte le squadre davvero fanno il massimo per la lotta al doping, non conviene a nessuno che i corridori facciano uso di sostanze vietate, è solo un danno. Noi come squadra non potremo mai permetterci nemmeno un caso di doping. Cosa succede però? Anche a livello pubblico è importante far capire che le squadre non sono assolutamente conniventi: pubblicare i dati del Passaporto Biologico è l'esempio massimo di trasparenza. Sono gli stessi dati che ha in mano l'UCI, gli stessi dati da cui può uscire un problema doping. È ovvio che io, anche volendo, non posso andare a cercare certi farmaci, che troverai solo con laboratori autorizzati che hanno il brevetto per quel tipo di analisi. Beh, io i dati che ho in mano li farò vedere, in modo che tutte le persone si possono rendere conto che quelle sono le informazioni che la squadra ha. Serve per essere chiari il più possibile».

A proposito di antidoping, che pensi del Mouvement Pour un Cyclisme Crédible?
«Ne facciamo parte, è un movimento a cui le squadre aderiscono in maniera volontaria e che vuole essere un circuito virtuoso di regole ulteriori che i team si danno. È un altro modo per dare chiarezza e trasparenza al mondo del ciclismo, nel senso che ti dai ulteriori vincoli e regole in caso di infrazioni degli atleti».

Non tutti però vi hanno aderito, né l'UCI lo ha ancora riconosciuto.
«Quando aderisci ad un movimento come quello, sai che ti potrebbe dare delle penalità, ma al di fuori sanno che io aderisco anche a questo ulteriore protocollo. Se fossero regole obbligatorie sarebbero regole dell'UCI. Non posso pretendere che gli altri aderiscano a qualcosa che è, appunto, volontario. Però penso che se il MPCC continuerà a crescere e ad avere sempre più squadre come membri, avrà come interlocutore principale l'UCI e cercherà di condividere con Aigle alcune regole. Però questo è qualcosa che verrà dopo».

A proposito di movimenti, è di questa settimana il lancio di Velon.
«Una bella iniziativa. Se si sapranno coordinare tra loro ed interloquire bene con gli organizzatori, così come con l'UCI, potrebbero portare benefici a tutte le squadre. Lo vedo assolutamente in maniera positiva».

Anche se voi siete una giovane Professional?
«Noi siamo una squadra al primo anno nel mondo Professional. Sicuramente il ciclismo subirà una riforma, perché è necessaria. Posso dire che sono una persona favorevole alla selezione dei progetti più virtuosi e di qualità, così come secondo me è importante bilanciare e tutelare le squadre più piccole che fanno crescere i giovani talenti. Questo lo puoi fare con un concetto di NBA a due livelli oppure, guardandola all'italiana, con un concetto di Serie A e Serie B. L'importante è trovare il modo di far partecipare ogni tanto anche le squadre di Serie B a qualche corsa di Serie A. Chiaro che l'ambiente dovrebbe aiutare anche gli organizzatori a sviluppare il format corsa: se oggi è difficile in Italia fare su una squadra, che però corre tutto l'anno ed ha i corridori, io mi metto nei panni degli organizzatori. È ancora più difficile organizzare una gara di ciclismo! Bisogna creare bene i circuiti delle corse: c'è il World Tour, e lo sappiamo. Bisognerebbe sintetizzare le altre corse in un'altra categoria comunque di alto livello. Spesso le categorie dell'UCI sono discrepanti rispetto al tipo di organizzazione, ma gli organizzatori sono i primi che hanno bisogno di un aiuto, e tutti dovremmo fare sistema. Le squadre: abbiamo dei problemi a farne di un certo livello, mentre dall'altro lato siamo in tantissimi. In conclusione, valutare ora Velon o la Riforma UCI è troppo presto e l'argomento è davvero vasto».

Come modificheresti il format corsa sopra citato?
«Bisogna costruire, ad esempio, un insieme di contenuti ulteriori alla corsa, vedi le GoPro sulle biciclette, oppure il dietro le quinte. Unendoli a quelli tradizionali che conosciamo, si farà crescere la passione verso il ciclismo. Se in più anche una piccola parte di questi diritti andranno alle squadre, che in questo momento vivono solo di sponsorizzazioni, io lo vedo come una cosa positiva. Occhio però, dobbiamo fare sistema tutti: squadre, organizzatori e quindi poi il circuito professionistico in generale».

Per concludere: c'è un obiettivo che la Nippo-Vini Fantini-De Rosa non si vorrà far sfuggire nel 2015?
«I sogni sono tanti, uno su tutti partecipare ad una grande corsa. Non abbiamo un obiettivo specifico di vittoria. Speriamo solo di fare un grande gruppo, poi i risultati verranno, com'è accaduto quest'anno».

Francesco Sulas

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