Il Portale del Ciclismo professionistico

.

L'intervista: Bardiani, le gioie della linea verde - Roberto Reverberi: «2014, la mia stagione migliore»

Versione stampabile

Roberto Reverberi in uno dei momenti della stagione 2014 © BettiniphotoDa un paio di stagioni la sua squadra si fa chiamare "Green Team", perché ha con assoluta decisione sposato la linea verde, e continua più che in passato, più che mai, a sfornare giovani talenti, i quali in Bardiani-CSF trovano un ambiente ideale per muovere i primi passi nel professionismo, per sperimentare le prime vittorie, per godere delle prime soddisfazioni. Soddisfazioni che, di rimando, non possono mancare di punteggiare la sempre più corposa carriera di Roberto Revereri, team manager della squadra, figlio d'arte di Bruno (che continua a fare il direttore sportivo e il "grande vecchio" ma che ormai da tempo gli ha lasciato il timone del sodalizio).

Quando ci sentimmo un anno fa, il bilancio del 2013 ruotò intorno a una vittoria di peso (quella di Battaglin in una tappa del Giro), e tutto intorno c'erano tanti piazzamenti dal sapore di promessa. Oggi, 12 mesi dopo, ci ritroviamo con un bilancio 2014 strepitoso, malgrado la partenza di Modolo, punta di diamante della squadra: 13 vittorie contro 11 della scorsa stagione, tutte in Europa e non - con tutto il rispetto - in Cina o in Argentina, con 8 corridori a segno (nel 2013 furono solo 3).

Tutto questo riepilogo per chiederti: è stata la tua migliore stagione da quando sei in ammiraglia?
«Qualitativamente, sì. A livello di quantità, abbiamo avuto stagioni anche più ricche (25 vittorie un anno con la Panaria, addirittura 32 con la Scrigno), ma se vinci tre tappe al Giro, chiaramente quello diventa l'anno più importante. Tra l'altro siamo l'unica squadra Professional ad aver vinto in un GT, con la Cofidis che ha conquistato una tappa alla Vuelta. Se poi aggiungiamo che abbiamo conseguito questi risultati con una squadra composta interamente da giovani italiani, la soddisfazione è doppia».

Eppure all'inizio dell'anno il trend sembrava lo stesso della stagione precedente, tanti piazzamenti e la vittoria ha tardato a venire. Colbrelli è stato l'uomo simbolo sin da questa fase, visto che fino alla vigilia della Tirreno si è quasi sempre piazzato nei 5, anche in corse di pregio, senza mai vincere. Poi il sesto posto alla Sanremo, dopo un finale di gara in cui aveva tentato l'anticipo: in quel momento abbiamo avuto la netta impressione che via radio gli stessi dicendo qualsiasi parolaccia...
«L'impressione era corretta... Io non faccio mai il Poggio in ammiraglia, tanto in quanto Professional siamo troppo indietro per intervenire tempestivamente in caso di guai meccanici. Mi ero appostato come al solito al distributore di benzina poco dopo la fine della discesa, e me lo son visto passare davanti tutto solo... son corso in macchina, e via radio gli ho detto "ma dove vai da solo?". Lui sperava che partisse un Cancellara insieme a lui, e si voltava per vedere se arrivava qualcuno, ma con un gruppo di 30-40 uomini in caccia, e ancora diversi gregari pronti a entrare in azione, un tentativo del genere era destinato all'insuccesso (magari col vecchio arrivo della Sanremo un colpo di mano simile avrebbe avuto molte chance di riuscita). A posteriori, possiamo dire che se non avesse speso quelle energie avrebbe potuto agguantare il podio, che sarebbe stata una mezza vittoria, viste le corazzate con cui abitualmente ci confrontiamo... Però va bene lo stesso, considerando l'età e l'inesperienza di Sonny si è trattato di un buon risultato».

Al Giro invece il ragazzo non ha impressionato.
«Sostanzialmente non c'erano, di fatto, tappe adatte a lui: quelle frazioni in cui arriva un gruppo non troppo nutrito, per intenderci. Sonny è un velocista alla Degenkolb più che alla Kittel, e stavolta ha trovato poche tappe - forse nessuna - per corridori con queste caratteristiche. Bisogna però anche riconoscere che in quel periodo non era in formissima, essendo partito forte già dai primi mesi dell'anno».

Si è ritrovato qualche settimana dopo, vincendo una tappa al Giro di Slovenia, e nel finale di stagione è stato poi bravissimo, anche in maglia azzurra. In definitiva, è diventato il vostro uomo simbolo. Quali sono i suoi prossimi traguardi?
«Proprio in questi giorni stiamo presentando le varie richieste per gli inviti alle grandi classiche. Per l'Amstel abbiamo già inoltrato la domanda, e proveremo a farci invitare anche al Fiandre, e proprio per Sonny: non perché vinca al primo colpo, sia chiaro, ma perché provi a iniziare a far bene su quelle strade. Puntiamo ovviamente a fare benissimo alla Sanremo».

Cosa è cambiato in Sonny rispetto all'anno precedente?
«Lui pativa per problemi di peso, quest'anno è invece riuscito a presentarsi senza quei 5 chili di troppo che in passato lo frenavano. Ha fatto le cose per bene in inverno, dopodiché è stato anche importante per lui sbloccarsi in Slovenia, perché da lì in poi ha preso sempre maggiore fiducia nei propri mezzi (e la squadra l'ha supportato con sempre maggiore entusiasmo), laddove l'anno scorso tendeva a rifuggire le responsabilità preferendo piuttosto mettersi al servizio di Modolo; è stato anche importante lasciarsi finalmente alle spalle quella smania di vincere che a un certo punto l'ha spinto a commettere vari errori nelle volate, quegli errori che poi ti costano una vittoria».

A livello di squadra, però, a sbloccarvi, ben prima del Giro di Slovenia, era stato Edoardo Zardini, con una memorabile impresa al Giro del Trentino. Fu un attacco pianificato o il ragazzo s'inventò tutto al momento?
«Fu un'azione inventata da lui. Quel giorno doveva attaccare Pirazzi, che in effetti ci provò pure nella prima parte della salita; ma i due si son parlati, Edoardo gli ha detto di sentirsi molto bene, quindi è partito lui. Si è gestito benissimo fino alla fine, ha fatto riavvicinare i suoi inseguitori perché sapeva di poter sparare tutto nell'ultimo chilometro e così ha fatto; un'azione simile a quella messa a segno al Tour of Britain, anche se quest'ultima venne pianificata a tavolino».

Il fatto che i suoi migliori risultati al Giro siano venuti nelle ultimissime frazioni suggerisce che Zardini sia dotato di fondo e recupero: come dire, potrebbe esserci per lui un futuro nelle grandi gare a tappe. È così?
«Non so fino a che punto potrà incidere in classifica, visto che nelle cronometro non è così bravo; però sì, può avere un'evoluzione in quel senso. Da parte mia non spingo mai più di tanto i corridori a tentare di far classifica in un GT, perché spesso si tratta di fatica sprecata: se un corridore dimostra sin da giovane di poter rendere ad alti livelli sulle tre settimane, è un conto, e si può lavorare sui suoi margini di miglioramento; ma se un ragazzo arriva al terzo o quarto anno senza aver mai fatto una gran classifica, forse è inutile star lì ad ammazzarsi per tener duro, portare a casa un 15esimo posto nella migliore delle ipotesi, ma non lasciare tracce nel corso della gara».

Parlando di Giro d'Italia, siete emersi prepotentemente nella seconda metà dopo essere stati quasi trasparenti nella prima. Come mai questa corsa a due facce?
«Anche questa è stata una scelta ben pianificata. Era inutile sforzarsi nelle prime 10 tappe, quando la classifica era ancora troppo corta, c'erano ancora tante energie in gruppo e il controllo su eventuali attacchi sarebbe stato ferreo. Abbiamo aspettato le prime salite (l'arrivo di Montecassino, ma anche quello di Sestola) per vedere se qualcuno dei nostri riusciva a star su in classifica, ma nella tappa laziale l'unico ad essere rimasto davanti dopo la caduta è stato Bongiorno; ci siamo detti che non era il caso di stare tutti i giorni a limare per salvare un mezzo piazzamento nella generale, e nella seconda metà di Giro tutti hanno avuto campo libero per le fughe. Bisogna anche dire che la prematura uscita di scena di Rodríguez ha facilitato il compito di chi voleva attaccare da lontano, perché con meno leader in gara il controllo è fatalmente minore. Dopo aver risparmiato energie nella prima metà di Giro, nella seconda ci siamo potuti scatenare, mettendo sempre uno o due uomini in fuga (nella tappa vinta da Pirazzi i nostri erano addirittura in tre)».

Riviviamo allora questi successi: Canola ha rotto il ghiaccio a Rivarolo Canavese.
«Sulla carta doveva essere una tappa da volata, ma poi al mattino abbiamo pensato che c'era solo Bouhanni con una squadra che potesse tenere chiusa la corsa, e i suoi compagni erano abbastanza stanchi per aver già lavorato parecchio, e allora abbiamo deciso di provarci. Nonostante ciò ero convinto che fosse quasi impossibile andare all'arrivo. Poi, come succede spesso, il gruppo non ha lasciato grande margine all'azione, e gli attaccanti hanno rallentato, tenendo da parte qualcosa da spendere nel finale. A 30 chilometri dalla fine mi ha telefonato Paolo Belli, che era davanti alla corsa, e mi ha detto "credici, perché qui ha grandinato, le strade sono bagnate, ci sono tante curve e tanti strappettini", e allora abbiamo iniziato a incitare Marco, e lui ha risposto ottimamente».

L'indomani c'è stato Battaglin, strepitoso nella sua rimonta a Oropa.
«Sinceramente, quando ho visto che si staccava sulla salita finale, non credevo più che potesse andare a lottare per la vittoria; ma poi ha trovato Cattaneo della Lampre che gli ha dato una grande mano a riavvicinarsi, e quando ha rimesso i primi nel mirino mi sono convinto che non avrebbe lasciato loro scampo: in questo senso è un killer, quando vede la possibilità di andare a vincere, difficilmente sbaglia. Alla partenza di tappa il giorno dopo ho incontrato Eisel della Sky che quando mi ha visto ha iniziato a ridacchiare: "Dovevi vedere la faccia di Cataldo quando ci ha raccontato che aveva visto Battaglin rientrare da dietro..."».

Dopo il Giro però Enrico è praticamente scomparso. Già era accaduto nel 2013, ma in quel caso ci fu un grave infortunio a frenarlo; quest'anno che è successo? Dobbiamo iniziare a temere che questo sia un brutto trend per lui?
«Diciamo che tende ad adagiarsi, caratterialmente fatica a tenere la concentrazione per tutto l'anno. Ce ne rendiamo conto anche perché a inizio stagione si presenta alle corse con 3-4 chili di troppo, e quindi poi ha bisogno di qualche mese per raggiungere la massima condizione. Il 2015 sarà per lui l'anno della verità: partirà già dal Tour de San Luis con la nazionale di Cassani, e spero che in tal modo possa arrivare prima al top, anche perché nella prima parte dell'anno ci sono tante corse adatte alle sue caratteristiche. Da uno con le sue qualità ci si aspetta di più che non una vittoria (pur importante) all'anno».

La vostra terza vittoria di tappa al Giro ci riporta al doppio memorabile gesto di Pirazzi: quello atletico a Vittorio Veneto, e quello ombrellifero subito dopo il traguardo...
«Non ho visto il finale in tv, son venuti Piva e Baldato a complimentarsi per il successo, ma mi hanno detto "peccato per quel gesto"... al che ho subito telefonato ai miei all'arrivo per dire a Pirazzi di scusarsi immediatamente. Diciamo che han fatto più casino i giornalisti che altro, io da parte mia non è che mi sia scandalizzato troppo, e devo dire che anche gli sponsor non se la sono presa. Addirittura Paterlini della CSF mi ha chiamato e mi ha detto in dialetto reggiano: "A'l fat ben! Così finiamo su tutti i giornali!"... effettivamente il giorno dopo avevamo un grande spazio in prima pagina sulla Gazzetta, e siamo finiti pure sul Times...».

Tutto sommato è stato un gesto che ha palesato una volta di più la genuinità di Pirazzi.
«Covava dentro una grande voglia di riscatto, sia per tutte le critiche ricevute nel corso degli anni, ma anche perché veniva da un periodo problematico a livello personale, diciamo che è stata una bella rivincita su tutti».

A livello sportivo, quel giorno finalmente non ha sbagliato niente.
«Si è gestito bene, non era in condizione super, e forse per questo si è ritrovato con due sole cartucce, e ha dovuto scegliere bene i momenti in cui spararle. Altre volte magari aveva avuto più energie e quindi aveva sprecato, stavolta ha speso solo il necessario per vincere».

Dal gesto inoffensivo di Pirazzi a quello del tifoso beota che sullo Zoncolan ha spinto Bongiorno, facendo di fatto sfumare le sue possibilità di successo.
«Anche in questo caso non ho visto nulla in tv. Radio Corsa a un certo punto ha parlato di problema meccanico, di Bongiorno che si staccava da Rogers... a me pareva strano che su quella salita avesse perso le ruote di un corridore che pesa 20 chili più di lui. Contava di rimanere lì a ruota per poi staccare Rogers nell'ultimo chilometro, e ne aveva tutte le possibilità, purtroppo è andata così. Devo però dire che mi ha colpito per quanto è stato diplomatico dopo il traguardo, mi aspettavo una reazione molto più scomposta».

Trovi che i tifosi siano più invadenti rispetto a qualche anno fa? Sta diventando, questo, un problema da affrontare seriamente o è un aspetto fisiologico e quindi sopportabile del ciclismo?
«Ma in realtà tutti i tifosi spingono i corridori, specie nelle retrovie certi aiuti sono ben accetti dai ciclisti. In questo caso quel ragazzo ha sbagliato tempi e modi dell'"aiutino", ma poi consideriamo anche che queste persone magari son lì che aspettano tutto il giorno il passaggio della corsa, spesso sono anche un po' brille... diciamo che possiamo perdonare questo gesto».

In realtà lo dici solo perché avevi già vinto tre tappe, se fosse stata l'unica possibilità non saresti così accomodante...
«Sì, questo è vero!».

Quanto a Bongiorno, successivamente - come Colbrelli - anche lui si è sbloccato vincendo in Slovenia, ma in questo 2014 ha comunque dato l'impressione di non aver fatto il salto di qualità che ci si poteva aspettare da lui. L'anno buono sarà il 2015?
«Lui è un corridore abbastanza costante, è vero che non ha avuto un picco di forma, ma in genere sa sempre tenere un buon rendimento, e questo significa che è serio, fa vita d'atleta. Quest'anno puntava alla convocazione in nazionale, ma è arrivato a fine stagione un po' stanco; forse ha corso troppo, è partito subito forte, e alla lunga ha pagato. L'anno prossimo avrà un avvio più tranquillo, arriverà al Giro con 15-20 giorni di gara per essere poi al top nella corsa rosa. Sono contento di lui, è un ragazzo serio, in squadra aiuta sempre tutti, non esita ad andare a prendere le borracce dall'ammiraglia quando serve, non è assolutamente una testa calda come me lo descrivevano quand'era un dilettante».

In estate sono poi giunte altre soddisfazioni per voi: ad esempio Boem ha vinto una tappa al Giro di Danimarca.
«Nicola ha una classe pazzesca, da dilettante ha vinto belle gare, poi l'abbiamo visto in fuga alla Sanremo, ha fatto una grande Amstel. Vede benissimo la corsa anche se a volte sembra svagato; altri fanno 100 scatti per indovinare la fuga e spesso neanche riescono a entrarci, a lui ne basta uno (magari lo piazza appena dopo che ha capito che è partita l'azione buona), con Colbrelli sarà il nostro uomo in più per un certo tipo di classiche, prevedo per lui un grande futuro».

Ruffoni invece ha vinto una corsa in Francia battendo Cavendish, e per poco non si ripeteva pure con Kittel in Gran Bretagna.
«In quest'ultima occasione, al Tour of Britain, è partito con un attimo di ritardo, avesse anticipato di qualche metro avrebbe senz'altro battuto Kittel. Lui è veramente forte, con Modolo è l'unico velocista che può competere con certa gente a livello internazionale, e poi sa sbrigarsela da solo, se gli dici di prendere la ruota di Cavendish è capace di tenerla per 10 chilometri, è cattivo agonisticamente senza essere scorretto. Quest'anno credo che abbia preso un po' sottogamba il passaggio al professionismo, si è reso conto strada facendo che qui si va davvero forte. Oltre ad essere veloce, tiene sugli strappetti, può sprintare anche in gruppetti di 30-40 corridori. Non so ancora se sarà già competitivo alla prossima Sanremo, dipende anche da come si metterà la corsa, comunque è un ragazzo su cui puntiamo forte».

Passiamo in rassegna il resto del team. Barbin: come mai nel secondo anno è stato meno convincente che nel primo?
«Ha avuto parecchi problemi fisici, è stato anche vittima di un incidente ai primi di settembre, è stato investito al suo paese; poi però ha fatto di tutto per rientrare il prima possibile, e ha dato una grossa mano a Colbrelli nelle ultime corse. Non dimentichiamo che, tra i nostri, è stato il migliore all'Amstel, e al Giro ha dormito un po' prima della salita finale nella tappa di Sestola, altrimenti quel giorno avrebbe potuto giocarsi la vittoria. Confido che nel 2015 possa raccogliere qualcosa di buono».

Piechele e soprattutto Manfredi li abbiamo visti poco.
«Rappresentano una doppia scommessa, entrambi vengono da stagioni piene di guai fisici, per loro il prossimo sarà l'anno della verità. Piechele secondo me è un ottimo velocista, di fatto non ha mai corso con continuità tra i prof, quindi è ancora integro, credo ancora nelle sue possibilità; lo stesso dicasi per Manfredi, stiamo cercando di recuperarlo, da junior era tra i più forti in salita, ora lo sento di nuovo motivato, e il nostro nuovo allenatore Claudio Cucinotta lo sta seguendo particolarmente».

Veniamo a quelli che lasceranno la Bardiani-CSF: come mai Canola se ne va? Prenderà più soldi alla Unitedhealthcare?
«Marco è un buon corridore ma non è un uomo-squadra. Da noi tutti devono aiutare tutti, non vogliamo primedonne».

Si è per caso montato la testa con la vittoria al Giro?
«No, anche prima era caratterialmente un po' particolare».

Coledan invece sbarca nel World Tour con la Trek. Come lo vedi a quei livelli?
«Mi ha fatto disperare: lui e Fortin - un altro che andrà via, anche se Filippo scende di categoria - erano sempre sopra il peso forma, a un certo punto mi sono stufato e li ho lasciati a casa. Coledan è stato voluto da Nizzolo alla Trek, può essere un buon vagone del treno, io ho avvisato Guercilena che dovrà controllarlo per il peso, appunto: "Ha un bel motore, noi però non siamo riusciti a disciplinarlo; se ci riuscite voi, bravi". Luca mi ha ringraziato per questa dritta, vediamo come andranno le cose».

Parli molto del peso dei corridori: non è diventato un elemento troppo esasperato, nel ciclismo moderno?
«Era importante anche prima, ma ora tutto è livellato verso l'alto e i dettagli diventano sempre più importanti. Non solo il peso, ma l'aerodinamica, l'allenamento, il riposo (in passato ad esempio il giorno di stacco non era neanche previsto, nelle tabelle di allenamento). Cucinotta proprio ieri ha mandato a tutti una tabella in cui era segnato il tempo che si perde in salita per ogni chilo in più: magari quei 40-50" che perdi con 3-4 chili in più sono quelli che poi ti impediscono di andare a sprintare per vincere una corsa. L'esperienza d'altronde ci dice proprio questo: Colbrelli, e prima ancora Modolo, hanno iniziato a vincere molto quando sono entrati nel peso giusto. Ovviamente non si parla di perdere 5 chili tutti in una volta, ci vuole gradualità, ma il fattore è effettivamente determinante. E devo dire che noi siamo stati i primi in Italia a imporre un certo tipo di alimentazione, a portarci il nutrizionista al Giro; ora lo fanno tutti».

Per chiudere col team 2014: Pagani, De Ieso, Colonna sono ancora senza ingaggio dopo che li avete lasciati liberi.
«Auguro loro di sistemarsi da qualche parte, del resto a un certo punto se non si è riusciti a fare il salto di qualità in una squadra è anche giusto provare altrove».

Quello di Stefano Locatelli è invece un caso un po' diverso.
«Lui si portava dietro sin da dilettante un problema col nervo sciatico. Le ha provate tutte, ha cambiato i pedali, ha messo le solette, si è rivolto a osteopati e chiropratici, ma non ne è venuto a capo, e perciò si ritira. Peccato, perché in salita va forte, ma dopo 4-5 giorni a tutta non riesce più a convivere con questo problema. Alla fine si è anche rassegnato a questa situazione, del resto dopo che le hai provate tutte non puoi avere rimpianti. Proverà a rimanere accanto al ciclismo, magari cercando un incarico di rappresentante di qualche azienda del settore».

Riguardo il mercato in entrata, per voi consueta infornata di giovani: i due Sterbini, Simion, Andreetta, Tonelli, Chirico.
«Magari non ingaggiamo i più fenomeni di tutti, perché spesso sono già prenotati per i team World Tour; però a volte quelli che sono un "pelino" dietro rappresentano degli affari migliori. A noi interessano giovani che siano costanti tutto l'anno, che siano abituati a prendere vento in faccia, che abbiano tutte le carte in regola (in tutti i sensi!). Poi il primo anno tra i professionisti è concesso come periodo per prendere confidenza con la nuova categoria, non mi sbilancio alla vigilia sull'uno o sull'altro nome, ci vuol pazienza e pure loro devono averne, anche se a 20 anni è facile illudersi. In questo i procuratori devono aiutarli a fare le scelte giuste, perché non ci vuole molto a bruciarsi».

Questa vostra linea tutta italiana e giovane, confermata da anni, funziona a livello di risultati, ma vi porta anche maggiore visibilità e più attenzione da parte dei tifosi?
«Devo dire di sì, anche sui social network in tanti si sono avvicinati alla nostra realtà e apprezzano quello che facciamo. Poi noi - mio padre ed io - siamo umili, non amiamo fare proclami, e anche questo piace».

La rosa per il 2015 si ferma ai 16 nomi attualmente in organico?
«Sì, abbiamo provato a ingaggiare Moscon, che tra i dilettanti è uno dei più forti, ma alla fine l'affare è sfumato e credo che lui passerà nel World Tour nel 2016; per qualche tempo abbiamo trattato Filosi, poi lui ha titubato perché aveva anche un contatto con l'Astana (che poi non si è concretizzato), non se n'è fatto più niente e poi è approdato alla Fantini. Comunque non ho rimpianti, lavoreremo bene con i corridori che abbiamo».

Spesso si dice della Bardiani che è un'ottima palestra per i giovani, ma che poi - nel momento in cui uno potrebbe spiccare il volo - risulta un vestito un po' stretto, perché non svolgendo tutto il calendario internazionale di prima fascia, impedisce che i vari giovani di talento maturino un'esperienza compiuta ai massimi livelli.
«Questa è una cosa che mi fa davvero arrabbiare. Intanto facciamo tante corse di prima categoria, dal Giro alla Sanremo, quest'anno eravamo all'Amstel; e gareggiamo spesso al nord, quindi non si può proprio dire che i nostri ragazzi non prendano confidenza con le stradine fiamminghe, ad esempio. Vorrei fare una riflessione: andare a militare in un top team ti garantisce poi di correre le corse più importanti? Non direi: una volta, in Panaria, ingaggiammo Lanfranchi, che veniva da 5-6 anni in Mapei: ebbene, non aveva mai fatto la Sanremo. Sei in una grande squadra, ma se sei giovane ne trovi sempre 6-7 prima di te, che fanno ognuno la propria corsa: Trentin alla Omega Pharma fa la lepre a 80 km dal traguardo, il più delle volte».

Però in una squadra del genere si può imparare molto dai massimi specialisti delle classiche, da Tom Boonen in giù.
«Ma da Boonen impari anche in corsa, direttamente e senza dover essere suo compagno di squadra. Sfatiamo un mito, le classiche belghe non sono poi così complicate da capire: bisogna sempre correre nelle prime 50 posizioni. Con la Scrigno un anno facemmo una bella campagna del nord: alla prima gara, ad Harelbeke, ritirai l'ammiraglia dopo 70 km; ma a partire dalla corsa successiva, iniziammo a piazzarci, un settimo posto di Balducci qua, un quinto di Casarotto là, e poi ancora Petacchi, Conte, Pieri... Ripeto, vai nella grande squadra World Tour, ma se poi non ti fanno correre le tue gare, che cosa hai risolto? In tanti, tra questi corridori, vengono a lamentarsi, sottovoce, per il fatto di gareggiare molto poco nei loro team, o di essere limitati al ruolo di gregari. Da noi invece di gregari non ne abbiamo, tutti partono con la possibilità di giocarsi le proprie carte, nel corso di una stagione. L'importante è non avere fretta: Finetto, quando era con noi, smaniava per andare in un team del Pro Tour: passato con la Liquigas, ha finito col bruciarsi, perché poi se sbagli le 2-3 occasioni che ti vengono concesse, è difficile averne altre, in una squadra di 27-30 corridori; da noi invece c'è il tempo di sbagliare e crescere. È fondamentale arrivare pronti al momento del grande salto: Colbrelli quest'anno ha già avuto delle proposte dalla Sky, ma non è ancora pronto; l'anno prossimo, se si sarà consacrato, se avrà fatto un'ottima Sanremo, potrà passare non per fare il gregario, ma per avere già la squadra a sua disposizione nelle gare importanti».

La vostra dimensione è insomma chiara, da decenni; ma tuo padre è tuo padre e tu sei tu: non senti mai la tentazione di provare l'avventura nel World Tour? Non sarebbe figo?
«Quando mandiamo i nostri programmi alle varie aziende che sondiamo per le sponsorizzazioni, ne parliamo, ne facciamo menzione. Diciamo che al momento gestiamo la squadra a livello familiare, mentre per fare il grande salto servirebbe tutta un'altra struttura. Noi ci divertiamo così, gli sponsor per l'investimento che fanno (abbiamo un budget di due milioni e mezzo) sono contenti, ci sono vicini ma non ci assillano con la richiesta di risultati. Chi spende 7-8 milioni invece i risultati li vuole, si entra in tutto un altro clima. Poi consideriamo pure che al momento non è neanche facile trovare grossi investitori, è già tanto confermare quelli attuali; e anche ai livelli più alti, anche all'estero, non è che le grandi multinazionali investano tanto nel ciclismo, in molti casi sono i costruttori di biciclette ad allestire direttamente le squadre più importanti».

Eppure il ciclismo garantisce un importante ritorno d'immagine, in termini pubblicitari: perché è così difficile far passare questo concetto?
«Forse perché ci siamo fatti del male da soli, in passato, anche se oggi l'ambiente si è dato una bella ripulita».

Non è che fare ciclismo è diventato troppo costoso, tantopiù dall'introduzione del Pro Tour che ha fatto lievitare i costi di gestione dei team?
«Prima ancora che il Pro Tour, fu la Mapei a far lievitare i prezzi in maniera clamorosa: laddove tu pagavi un corridore 100 milioni, arrivava Squinzi con 300 milioni e te lo portava via facilmente. Aveva budget faraonici per l'epoca. Oggi molto ruota intorno ai corridori con molti punti, utili alle squadre per stare nel WT, e di conseguenza molto cari a livello di ingaggi; una situazione che cambierà in peggio se verrà effettivamente varata la riforma del 2017: a quel punto i ranking dei team si stileranno sulla base dei punti dei primi corridori 5 per squadra, immaginiamo a quanto potranno arrivare gli ingaggi dei corridori con tanti punti in dote. Per le attuali Professional sarà del tutto impossibile competere, io spero sinceramente che questa riforma non vada in porto».

In questo già fosco scenario, l'Italia perde sempre più terreno rispetto alle altre nazioni. Dipende solo dalla crisi economica?
«Dipende dal World Tour, dal fatto che ci sono poche squadre nelle corse del nostro paese, le quali di conseguenza sono sempre di meno: quest'anno avremo fatto sì e no tre gare in Italia, tra giugno e agosto. Il calendario internazionale è dispersivo, si va a gareggiare in tutti i continenti, per le gare storiche resta poco, e fortuna che quest'anno le Continental hanno un po' salvato la situazione, dando vita a startlist almeno di 120-130 corridori».

Ma non è anche responsabilità degli organizzatori (di alcuni di loro più che di altri) se non si riesce a valorizzare un evento che avrebbe comunque delle potenzialità?
«A volte vado alle Gran Fondo, o alle gare di MTB, e vedo delle belle manifestazioni di contorno, certo loro hanno i soldi provenienti dalle iscrizioni di chi gareggia, ma hanno anche più inventiva. Da noi a volte vedi da 30 anni lo stesso striscione al traguardo di corse organizzate da 30 anni alla stessa maniera. Come fai ad attirare l'attenzione, in certe condizioni? Il più innovativo tra gli organizzatori mi pare Amici del GS Emilia, ma anche in questo caso si può far poco se poi i campioni disertano le corse che organizzi: puoi anche fare una bella presentazione delle squadre il giorno prima, ma rischi che ti vengano quattro gatti ad assistervi».

In tema di inventiva, che pensi di un istrione come Oleg Tinkov e delle novità che sta proponendo, a partire dalla sfida ai corridori da GT per farli partecipare a Giro, Tour e Vuelta nella stessa stagione?
«La proposta in esame temo che lasci il tempo che trova, perché mi pare poco realizzabile: ad esempio, come fai a garantire che un campione non partecipi a uno o due dei GT senza andare a tutta? Poi pretendere che si disputino tutti e tre i grandi giri è forse troppo, considerato quanto è dispersivo il calendario internazionale. Detto ciò, ben vengano personaggi simili, molto appassionati e propositivi, a patto che però non siano delle meoteore, che non siano volubili, che non se ne vadano da un anno all'altro: ho paura che se al termine della stagione non arrivassero i risultati sperati, il Tinkov della situazione potrebbe farsi da parte».

In generale, cosa ti piaciuto del 2014 ciclismo, e cosa invece non ti è piaciuto?
«Mi è piaciuto senz'altro Nibali, anche per rispondere a chi dice che non abbiamo tanti fuoriclasse: come se gli altri paesi ne avessero poi così tanti, come se fossero più di uno o due per nazione quelli che lottano per un Giro o per un Tour. Noi con Nibali e Aru che sta arrivando non siamo poi messi così male. Per le stesse ragioni, non mi piace sentir dire che nelle classiche non abbiamo nessuno: c'è troppa fretta, anche in questo caso».

Cosa speri di dirci tra un anno, quando ci risentiremo a fine 2015?
«Spero di poter dire che avremo ripetuto o addirittura migliorato i risultati della stagione 2014!».

Marco Grassi

RSS Facebook Twitter Youtube

30/Jul/2017 - 20:30
ESCLUSIVO: le immagini del folle che ha tagliato la strada al gruppo facendo cadere decine di corridori al Giro d'Italia

24/May/2016 - 21:06
All'An Post Rás giornata di gloria per James Gullen nella tappa "di montagna": Fankhauser diventa leader

24/May/2016 - 17:07
Giro, nel giorno della nuova delusione di Vincenzo Nibali vince Alejandro Valverde davanti a Kruijswijk e Zakarin

23/May/2016 - 22:12
An Post Rás, nella seconda tappa vince il padrone di casa Eoin Morton

23/May/2016 - 16:00
Giornata di rinnovi: André Greipel e Marcel Sieberg alla Lotto Soudal fino al 2018, Geraint Thomas prolunga con la Sky

23/May/2016 - 13:11
Benjamin Prades vince l'ultima tappa del Tour de Flores ma non basta, la generale va a Daniel Whitehouse

23/May/2016 - 12:39
Brutte notizie per il ciclismo elvetico: l'IAM Cycling comunica che cesserà l'attività a fine stagione

23/May/2016 - 11:22
Conclusi i Campionati Panamericani: l'ultimo oro è dell'ecuadoriano Jonathan Caicedo

22/May/2016 - 23:59
Il Tour of California si conclude con una imperiosa volata di Mark Cavendish. Classifica finale a Julian Alaphilippe

22/May/2016 - 23:39
Il Tour of Bihor si chiude nel segno dell'Androni Giocattoli-Sidermec: tappa a Marco Benfatto, generale a Egan Bernal

22/May/2016 - 23:20
Women's Tour of California: gioie finali per Kirsten Wild e Megan Guarnier. Le altre corse: ok Bertizzolo e Lepistö

22/May/2016 - 22:44
Velothon Wales, Thomas Stewart supera Rasmus Guldhammer e Ian Bibby

22/May/2016 - 22:24
Dilettanti, ulteriori vittorie per Nicola Bagioli e Riccardo Minali alla Due Giorni Marchigiana

22/May/2016 - 22:22
Scatta l'An Post Ras: la prima tappa va all'olandese Taco Van der Hoorn grazie ad un colpo di mano