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L'intervista: Con Nibali ed Aru l'Astana punta ai grandi giri - Parla Beppe Martinelli: «La mia fortuna? Lavorare con i campioni» | Cicloweb

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L'intervista: Con Nibali ed Aru l'Astana punta ai grandi giri - Parla Beppe Martinelli: «La mia fortuna? Lavorare con i campioni»

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Giuseppe Martinelli, da cinque anni sull'ammiraglia Astana © BettiniphotoUn direttore gentiluomo. La voce, al solito, tranquilla. Le idee, come sempre, chiarissime. Del resto Giuseppe Martinelli, per gli amici Martino, ha vinto otto GT nella sua carriera da direttore sportivo. Chiappucci, Pantani, Simoni, Cunego, Contador, adesso Nibali ed Aru. Sono solo alcuni dei grandissimi campioni che, dalla Carrera sino ad oggi, all'Astana, illuminano gli occhi di uno dei migliori direttori sportivi del ciclismo. Se fosse un allenatore di calcio, siederebbe sulla panchina del Bayern Monaco o del Real Madrid: ma siccome la sua specialità sono le due ruote, è ormai da quattro anni al timone di una delle più forti (e ricche) formazioni del circuito: l'Astana. Bresciano di Lodetto, un tipo all'antica, come lui stesso si definisce, ma proiettato verso il futuro, aperto ai cambiamenti, se portatori di miglioramenti. Soprattutto legato ai giovani: Pantani era come un figlio, di Contador s'innamorò in appena otto mesi, ma oggi il timbro della sua voce cambia profondamente con tre paroline magiche: Aru, Nibali e Tour. In ordine alfabetico. Ha riportato la maglia gialla in Italia con Marco Pantani, nel 1998, ben 33 anni dopo il trionfo di Felice Gimondi sui Campi Elisi. In questa stagione ha fatto sì che, 16 anni dopo il Pirata, fosse lo Squalo dello Stretto, Vincenzo Nibali, a vestire la maglia che è il sogno di ogni ciclista. Cinque Giri nel carniere, tre Tour: Pantani, Garzelli, Simoni, Cunego, Contador e Nibali i suoi alfieri.

Appena rientrato dalle ferie, a Cancún, «dopo anni che non andavo in Messico. Facevamo le trasferte là quando ancora si preparava la stagione, ma adesso il ciclismo non si ferma mai». Bisogna adeguarsi, Martino non è a priori contro l'apertura verso nuove frontiere ciclistiche, seppur rimanga legato ai bei tempi andati («però sono contento che il Giro di Pechino non esista più. Sperando che non s'inventino qualcosa di simile...»). È un maestro vero e proprio: spiega le dinamiche, le spiega un'altra volta ed alla fine di ogni frase piazza lì un «hai capito?» che vuol dire tutto. La voce pare un pochino stanca: jet lag o sindrome da crociera Costa terminata? Non importa, basta la prima domanda per illuminarlo: si parla di 2014, si parla di Tour (ma non solo).

Partiamo da un bilancio sulla stagione appena conclusa.
«Dopo un Tour come quello che abbiamo fatto con Vincenzo, cosa posso dire... È una vittoria tutta sua, prendere la maglia gialla sin da subito e tenerla per venti giorni è qualcosa di davvero importante e va attribuito a lui, non a persone che hanno importanza magari non nulla, ma sicuramente minore, come il sottoscritto».

Minore mica tanto. Lei sa bene come si vincono i Tour e le grandi corse a tappe.
«Sono stato molto fortunato, non lo nego. Poter lavorare come Pantani e Contador prima, Nibali ed Aru oggi, è fantastico. Da ognuno di loro ho pescato qualche segreto per essere all'altezza delle situazioni che avrei dovuto affrontare».

Semplificando, se dovesse dire cosa le hanno insegnato Pantani, Contador e Nibali?
«A Marco devo tutto. Se sono diventato quello che sono oggi lo devo a lui. Le soddisfazioni che ho avuto con Marco non le ho più avute con gli altri. Per dire, al mattino si faceva la riunione tecnica e lui sapeva già dove avrebbe improvvisato, dove sarebbe scattato. Anche se magari gli avevo detto di farlo in un'altra maniera o in un altro punto. Era imprevedibile, è stato un fenomeno. Molte imprese che ha compiuto sono merito del suo io, del suo estro, portano la firma del campione. Un esempio? Scattare sul Galibier, al Tour, a 70 km dall'arrivo ed una salita ancora da affrontare, non può essere una tattica del direttore sportivo. Lì c'è qualcosa di tuo e basta, è la firma che vuol lasciare il campione».

Per gli attacchi da lontano e non solo, ha visto all'opera pure Contador.
«Bravo! Basti vedere l'ultima Vuelta: non è mai partito da lontano ma tutti dicevano che Froome lo avrebbe attaccato - e poi in effetti attaccava - però Alberto era lì. E nel finale chi era davanti? Contador! Ecco, lui è un corridore che mi ha fatto capire che cosa sia la caparbietà. Vuol essere competitivo sempre, dalla prima corsa dell'anno fino a quando scende dalla bicicletta. Ma l'avete visto pochi giorni fa sul Kilimangiaro? Ci avrei giurato che sarebbe arrivato in cima per primo, fosse stato anche per un solo metro sul secondo. Vuol essere sempre il numero uno e ci riesce benissimo».

Ultimo, ma solo in ordine temporale, Nibali.
«Vincenzo rappresenta proprio la serenità, la tranquillità. Dopo la riunione tecnica del mattino, scendi dal bus e non sei stressato. Non hai nessun dubbio su quello che farà. Non dico che Vincenzo sappia già ciò che succederà in gara, ma sa bene che gamba ha. Sa quello che vuole. L'ho provato al Giro 2013 e l'ho riprovato quest'anno al Tour: era in maglia ma correva in mezzo al gruppo come se niente fosse, tranquillo, come se non gli pesasse. Questo dà molta serenità a lui ma soprattutto al resto del gruppo. È un fattore importantissimo».

E poi c'è Martinelli.
«La mia fortuna è stata quella di essere, oltre che un direttore sportivo, anche lo psicologo, se così possiamo dire, dei miei campioni, capendo fino in fondo cosa pensavano in alcuni determinati momenti. Perché un campione raramente diventa un grande tecnico? Perché quello che a lui risulta normale per gli altri non lo è. È la storia di Maradona che insegna a battere le punizioni e dice "cavolo, mettila nell'angolino come avrei fatto io!". Questo mi pare il giusto paragone. Io stesso non sono stato un campione e per questo non riesco ancora a capire al cento per cento quello che passa nella loro testa».

Vincenzo Nibali in azione al Tour de France © Bettiniphoto«Nibali, che numeri al Tour!»

Al Tour Vincenzo l'ha capito, ma prima di luglio la stagione non era stata granché.
«È vero, Vincenzo ha avuto una stagione un po' difficile ed ha faticato più del previsto. Non è che non ci sarebbe piaciuto vincere la Liegi o il Romandia eh... Probabilmente la nascita della bambina l'ha un po' distorto - in senso positivo, sia chiaro - dagli allenamenti. Siamo andati in Argentina non al cento per cento ed abbiamo faticato. Poi a Dubai ed in Oman. C'è stato qualche trasferimento di troppo che ha pesato. Non dico che abbiamo preparato il Tour lasciando perdere tutte le altre corse, è che mancava proprio la condizione buona. Non avevamo quel qualcosa, però Vincenzo è stato bravo a mettere un punto e ripartire, tenendo sempre fisso l'obiettivo finale. Tanto merito naturalmente va a Paolo Slongo, che ha lavorato con lui».

Il capolavoro di Vincenzo, forse più che le vittorie, è stata la tappa di Arenberg, con il pavé.
«La tattica era quella di correre davanti, ma quel giorno ha fatto un'impresa quanto vincere una tappa in salita. I settori li avevamo provati e lui mi era parso a suo agio, poi la maglia gialla lo ha esaltato. Sicuramente ha avuto una grande squadra. Non me l'aspettavo, sapevo di aver portato una squadra buona, ma non pensavo che lui potesse inventarsi quel numero».

Molti tifosi hanno sognato un Nibali alla Roubaix, un giorno.
«Però cade in un altro periodo della stagione e sarebbe molto difficile competere con i grandi campioni del pavé. Quest'anno mi sarebbe piaciuto provare a fare il Fiandre, con Vincenzo: è un altro pavé e sugli strappi si sarebbe trovato a suo agio. Inoltre quando ci sono quelle classiche siamo in altura, bisognerebbe avere il coraggio di andare e tornare, scendere al venerdì e risalire dopo la gara. Nel 2015 non farà il Fiandre, Vincenzo: eventualmente, lo proverà l'anno in cui corre il Giro. Quando prepari il Tour, correre ad alto livello in quel periodo lì assolutamente no, non è pensabile».

Si diceva che i vertici di Astana non fossero molto contenti fino a maggio.
«Sia il grande manager Vino, Vinokourov, che il sottoscritto, erano un po' preoccupati prima del Tour, dirò la verità. Se non avessimo fatto bene in Francia, alla fine sarebbe stata una stagione sotto tono, per quanto non avevamo concluso nella prima parte. Naturalmente, quando hai incentrato tutto sul un determinato obiettivo, qualcosa lo devi lasciare per strada. Sapevamo che se non avessimo centrato almeno il podio sarebbe stata un'annata non dico disastrosa, ma di certo al di sotto delle aspettative. Però il gioco valeva la candela: Vincenzo aveva già vinto Giro e Vuelta, se volevamo fare una stagione normalissima saremmo andati al Giro e probabilmente l'avremmo anche vinto. Era giusto provare a disputare il Tour per vincerlo. Abbiamo lasciato inevitabilmente qualcosa per strada, ma l'obiettivo finale era quello e non dovevamo sbagliare. Chiaro, prima del Tour un po' di nervosismo c'era, inutile negarlo».

Si è ricamato molto anche su una lettera di richiamo alla squadra.
«Mi fa piacere questa domanda, a mente fredda posso riflettere meglio su quanto successo allora. L'email diceva che l'annata era iniziata un po' così, ma eravamo vicini all'appuntamento clou. Ecco, per me ha fatto bene a tutti noi quella lettera, però non era un rimprovero, era una presa di consapevolezza da parte dei vertici che l'inizio della nostra stagione era rappresentato da Giro e Tour. Doveva andare in una certa maniera ed in precedenza non eravamo riusciti a cambiare marcia, tutto qui. Era un "occhio, non sbagliamo questi obiettivi!", più che altro».

Astana investe molto nel ciclismo, è una squadra-Nazione. Si sentiva la pressione?
«Ma non direi pressione. Gli investimenti che fa Astana sono senza dubbio importanti. Quando si cerca un corridore sul mercato, lo si cerca per determinati obiettivi. Astana poi è abituata a vincere: Vuelta, Giro, Tour... Ha vinto con Contador e Vinokourov, prima che con Vincenzo. È normale, quando inizia il Giro c'è già una grande aspettativa per il Tour. Però l'aspettativa è una cosa, la pressione un'altra. Abbiamo uno sponsor che è una Nazione intera e si aspetta grandi risultati da noi nelle grandi corse a tappe. E di grande corse a tappe al mondo ce ne sono tre. Se anche vincessimo 40 corse all'anno ma non le grandi corse a tappe, sarebbe un po' una stagione anonima. Astana è lontano 8000 km dal ciclismo pedalato, i risultati arrivano se si vincono i grandi giri».

Dalla Carrera e dalla squadra-famiglia Mercatone Uno, alla squadra-Nazione: un bel salto per lei.
«In realtà nemmeno poi tanto. Certo, è stata un po' dura all'inizio, perché con lo sponsor mi rapportavo molto poco. Ora con Vino è diverso, mi rapporto con lui. Capisce che nel ciclismo ci sono momenti facili e momenti difficili. Che vincere un Tour non succede tutti gli anni. Vino comprende molto bene le difficoltà di un GT. La differenza tra una famiglia come la Mercatone Uno ed un team come l'Astana non è perciò così profonda. Sicuramente ci sono obiettivi diversi, qui più importanti, e la squadra si adatta agli obiettivi che persegue».

Dica la verità: come si prendono le decisioni all'Astana? Chi decide cosa?
«Devo dire che c'è buon feeling tra me, Shefer e Vino. Non sempre, nelle decisioni, ci troviamo d'accordo. Molte volte si parte in una direzione e si arriva a quello che penso io. Ci sono modi diversi di affrontare un discorso, ma si decide per l'opzione migliore e spesso Vino è venuto nella mia direzione».

Un esempio pratico: se fosse stato per Nibali, l'avrebbe corso il Giro 2014?
«All'inizio Vincenzo era partito con qualche possibilità di farlo, ma successivamente la squadra e la voglia di andare al Tour sono diventate talmente importanti che la decisione finale di fare il Tour è stata tutta sua. Certo, se gli avessero detto: "Decidi tu", avrebbe tergiversato ma alla fine sarebbe comunque andato in Francia. Così invece ha capito che la vittoria che poteva consacrarlo era quella del Tour. Anche perché era adatto a lui, come lo sarà quello dell'anno prossimo».

La doppietta Giro-Tour in futuro, magari già nel 2015, è praticamente accantonata?
«Davvero, decideremo a Montecatini. È una scelta che va fatta con la giusta tranquillità. La crono di 60 km al Giro ha fatto cambiare idea a molti corridori. Penso che sia una forzatura che il Giro ha fatto e non molti hanno interpretato quella crono nel giusto modo. Se il Giro è diverso dagli altri GT è per la crono. Nel caso quel giorno uno non fosse in condizione, o incappasse in una giornata storta, non ci potrebbe far niente. A San Vendemiano si possono perdere tre minuti, ma anche solo due e mezzo. Comunque il Giro dovrebbe farlo Aru ed il Tour Vincenzo. Anche se...».

Anche se?
«Aru l'ho visto dopo la presentazione del Giro ed era entusiasta, davvero convinto. Poi però ci siamo rivisti e continuava a ripetermi di questa crono, questa crono... Ora Froome ha cambiato di nuovo rotta e probabilmente farà Tour e Vuelta, ma se venisse al Giro, anche Contador farebbe fatica a ribaltare la situazione, nei confronti del kenyano. Ripeto, lì due o tre minuti li prendi tranquillamente. Quella crono farà la differenza ed in un Giro correrne due da 30 km non è come correrne una da 60».

Invece Nibali che pensa di questa crono e del Giro in generale?
«A Nibali piace, in teoria potrebbe fare Giro e Tour. Il Tour 2015 è fatto quasi per la sua riconferma. È perfetto, e lo è ancor più di quello del 2014: salite giuste, il pavé, solo una crono ed al primo giorno. Un bellissimo Tour, veramente».

Quasi più adatto ad Aru che a Nibali, guardando solamente le caratteristiche dei due.
«A me - ma parlo per me, Martinelli Giuseppe - piacerebbe avere Fabio al Giro e Vincenzo al Tour con l'apporto di Aru. Sarebbe la cosa più bella e significativa. Vincenzo avrebbe un gregario fortissimo per confermarsi mentre al Giro Aru potrebbe prendere ancor più dimestichezza con la corsa. Sì, perché lui il Giro lo vincerà un giorno, ma non sono certo che lo farà già nel 2015. Potrebbe succedere tra un paio d'anni: terzo nel 2014, secondo nel 2015 e maglia rosa nel 2016, crescendo gradualmente».

Tornando a Giro-Tour, non se ne farà nulla?
«Allora: Nibali ha l'età giusta per poter fare la doppietta. Nel 2013 ha disputato un gran Giro e non ha vinto la Vuelta perché ha trovato un Horner veramente forte, a cui non abbiamo dato il giusto peso, perdendo qualche secondo qui, qualche altro là... Insomma, a parte quella Vuelta lasciata un po' per strada, due grandi giri ad alto livello si possono disputare nella stessa stagione. Gli anni giusti sono questi, 29 e 30: ha il carattere, la condizione, il giusto equilibrio per preparare tutto quanto. Però se al Tour trovi quelli freschi, sicuramente paghi dazio. La sfida lanciata da Tinkov non è da buttare, assolutamente, ma dovremmo prendere i migliori, stilare per loro lo stesso programma di gare per combattere tutti ad armi pari».

Oleg Tinkov sfida i big dei GT © lejdd.fr«La sfida di Tinkov da aggiustare»

Ecco, che ne pensa della proposta di Tinkov, riguardo alle grandi corse a tappe?
«Credo di essere stato il primo, o uno dei primi, a sapere di questa sfida. Eravamo alla Vuelta, il giorno della crono di Borja. Lui stava pedalando, perché è un appassionato, ma non al 100%, al 200%. Venne da me: "Dai Martino, mettiamo insieme i cinque o sei migliori al mondo e facciamo far loro Giro, Tour e Vuelta!". Allora ci siamo fermati e per un po' ne abbiamo parlato bene. Credo che lui abbia capito che a questo sport debbano riavvicinarsi anche le persone che non seguono assiduamente, o che magari l'hanno abbandonato per una serie di motivi, i soliti, quelli che conosciamo benissimo. Ecco, sposando la sua idea faremmo un grande salto, daremmo slancio al nostro sport, ne sono convinto. Il problema è che poi sono i corridori che devono avere un determinato programma per tutta la stagione. Sicuramente è difficile riuscire a correre tutti e tre i grandi giri a livello medio-alto. Ci sarà sempre chi fa un Giro così così, un Tour a tutta ed una Vuelta in cui magari si ritira. Io invece rilancio con due grandi giri: magari alternando Giro e Tour, poi i migliori quattro, cinque, quelli che si deciderà, l'anno dopo si sfiderebbero tra Giro e Vuelta. L'idea di Tinkov va aggiustata: lui non è uno che spende i soldi solamente perché li ha. Li vuol far fruttare. È una proposta da persona intelligente e da imprenditore, non da uno che va in bici ogni tanto».

Sarebbe disposto a sostenere l'idea anche se si dovessero accorciare Giro e Vuelta?
«Credo che neppure quest'ipotesi sia da scartare. Due giorni in più o in meno non cambiano né impoveriscono la corsa. Anche se sono un po' vecchio, penso che sia il momento di cambiare qualcosa. Basta cambiare in meglio e poter tornare indietro se si vede che quello che s'è messo in atto non funziona. A me andrebbe bene, se c'è da fare del bene al ciclismo perché non provare?».

Intanto Contador la doppietta la tenterà proprio nel 2015.
«Alberto gioca molto sulla vittoria al Giro: le salite ci sono ed a crono va bene. Il Tour lo mette nel mirino dicendo: "Sì, ci vado, potrei vincerlo, ma se vado lo faccio perché, se anche perdessi, ho comunque il Giro in tasca". Non è uno stupido, anzi, è molto più intelligente di molti altri e penso abbia fatto questo ragionamento. Potrà pensare di vincerli entrambi, ma se Froome e Vincenzo preparano il Tour al cento per cento, qualcuno che lo batte lo trova di sicuro».

L'Astana ha due punte come Aru e Nibali: lei a chi è maggiormente legato?
«Direi a Fabio. Vincenzo l'ho voluto in questa squadra perché ero convinto che potesse far fare il salto di qualità all'Astana. Inserito in un contesto fatto per lui, sapevo che avrebbe dato il massimo. Nella Cannondale non voglio dire che era al servizio di Basso, che però secondo me gli portava via un bel po' di spazio. Dall'esterno guardavo la crescita di questo ragazzo, mi piaceva, lo volevo ma era ancora sotto contratto. Appena s'è liberato ho davvero rotto le scatole ad Astana perché lo prendessimo noi. Nonostante tutto questo sono legato ad Aru perché l'ho conosciuto da dilettante, l'ho seguito. L'ho visto crescere, andavo alle sue gare, ci sentivamo, anche se era sotto la protezione di un duro come Olivano Locatelli. Con Vincenzo ho un rapporto bellissimo e non sono geloso del rapporto che c'è tra lui e Slongo (loro due sono una persona sola), ma sono sempre stato così. Un mediatore. Tatticamente sono convinto delle mie cose, giù dall'ammiraglia è un'altra storia».

Fabio Aru al Giro d'Italia con Giuseppe Martinelli © Bettiniphoto«Aru? Sì, al Giro mi ha sorpreso»

A proposito di Aru, se lo aspettava così in alto già al secondo Giro d'Italia?
«Aveva preparato molto bene il Giro, i dati ci dicevano che era sicuramente molto forte. Non credevo di riuscire ad andare a podio con lui già al primo anno da capitano, anche se c'era pure Scarponi in appoggio. Sono convinto al duecento per cento che se la tappa dello Stelvio fosse andata come doveva andare, Aru il Giro non l'avrebbe vinto, quello no, ma avrebbe chiuso su un gradino più alto, su quel podio. Lì, a Val Martello, mi sono sentito proprio male, nel vero senso della parola. Mi sono sentito portare via qualcosa che non capivo, che non capivo...».

Una giornataccia, quella dello Stelvio, a parte per Quintana.
«Con una comunicazione mai vista, che non dà modo di essere interpretata. Se arrivi su nel secondo gruppetto, arrivi in fondo nel secondo gruppetto! Fortunatamente alcuni si sono fermati in cima per vestirsi. L'ha fatto anche Aru e siamo ripartiti abbastanza velocemente. Sono stato uno dei primi, a un quarto di discesa, a chiamare il presidente di Giuria. Non comunicava con il cellulare perché non prendeva, e allora ho chiamato il direttore del Giro: "Ma che cazzo state facendo?!", e scusi la parola. Avevo davanti il basco (Mikel Landa, n.d.r.)... Sa cosa mi hanno risposto, testuale? "Martino, sono davanti, non sto vedendo nulla". Arrivo in fondo, fermo il mio corridore, Landa. Gli dico: "Tanto non vai da nessuna parte". Siamo arrivati in fondo insieme a Urán, con un ritardo che se non era di due minuti era di 1'45". Tiravamo dietro, ma pure davanti c'era gente di classifica. Ok, trovi alleati per la tappa, la vittoria... È capitato anche a me delle volte. Ma se rimango con Quintana, in cima a Val Martello magari non arrivo con lui, ma nemmeno a 3'».

Cambiava il finale del Giro.
«La comunicazione è stata sbagliata ma la vittoria di Quintana non è falsata, sia chiaro. Avrebbe vinto lo stesso, ma magari avrebbe dovuto attaccare sullo Zoncolan, e non si sa mai, quando attacchi... Avrebbe fatto la cronoscalata del Grappa con un po' più di paura, visti i distacchi minori. Sono abituato a lottare, so cosa cambia correre con un distacco di tre minuti e con uno di pochi secondi. In definitiva, il podio di Aru mi ha sorpreso, ma poteva anche andare meglio».

Ed alla Vuelta a España l'ha sorpresa la riconferma di Fabio?
«Le due vittorie sono state conquistate battendo anche i migliori, staccando Contador, Froome e compagnia. Dopo il podio al Giro ha pensato a correre una buona Vuelta. A vincere una o due tappe e fare quinto magari non pensavo, o forse anche sì. Di certo non mi aspettavo un Contador ancora in condizione, un Froome ancora in condizione e perfino Valverde, forse più in forma che al Tour. Fabio a luglio ha preparato una Vuelta con una precisione certosina: altura a Sestriere, dietro moto ed una convinzione come pochi al mondo. L'ho sempre visto sereno e sono certo che abbiamo un campione per il futuro».

Ad oggi in Aru conta più la testa o la gamba?
«In questo momento la testa è più forte delle gambe. Sa gestirsi se è in difficoltà, è un ragazzo molto intelligente e mentalmente davvero bravo. La maturità e l'esperienza gli daranno anche la gamba e troveremo un grande Aru. Soprattutto correndo con Vincenzo».

Neppure un pizzico di rivalità tra loro?
«È quello che vogliono un po' tutti: due italiani forti in una squadra straniera scontentano tanti. Però penso che possano convivere: Aru ha bisogno di Vincenzo e Vincenzo potrebbe aver bisogno di Aru. L'uno è l'emergente che può essere l'atleta del futuro, l'altro è il presente ed anche il futuro, perché Vincenzo non è mica il passato. Hanno due caratteri molto diversi ma secondo me possono, anzi devono stare insieme, in questo momento. Poi tra due, tre anni, non so cosa succederà. Per ora credo che il meglio per entrambi sia correre insieme. Possono andare d'accordo e vincere insieme».

Non sarà questo il caso, ma lei di giovani rampanti ed atleti affermati ne ha avuti da gestire: Chiappucci e Pantani, Simoni e Cunego, adesso Nibali ed Aru.
«In effetti gioco con il vantaggio, ho avuto molta esperienza da questo punto di vista. I due devono essere sereni, avere tranquillità, dato che la squadra crede in loro. Vino sta anzi cercando di allungare i contratti di Fabio e Vincenzo, facendo innesti a favore dell'uno e dell'altro».

Diego Rosa è uno degli innesti dell'Astana 2015 © Bettiniphoto«Un mercato per rafforzarci nei GT»

Ecco, facciamo un punto sul vostro mercato.
«Di certo chi è rimasto a piedi, dei nostri, non c'è rimasto perché non meritasse il posto. Abbiamo cercato di fare acquisti proprio in funzione di quello che quest'anno, in diverse occasioni, ci è un po' mancato. Per il Giro abbiamo preso due ragazzi che sono nati per essere gregari, Davide Malacarne e Diego Rosa. Arriverà inoltre Dario Cataldo, proprio per colmare alcune lacune che abbiamo notato quest'anno. Francesco Gavazzi ed Enrico Gasparotto non sono stati confermati, ma solo perché l'asticella va fissata più in alto, e l'abbiamo fatto puntando sui grandi giri. È ciò che la squadra vuole».

Cos'è mancato, in concreto, all'Astana, tra Giro e Tour?
«Al Giro, a parte la sfortuna che c'è stata, è mancato qualche corridore in salita: Cataldo va bene per il Giro come per il Tour, può fare l'ultimo uomo in salita, sa arrivare nei dieci e quando restano in pochi è capace di esserci ancora. Poi c'è Rosa, che nel 2014 non è andato come doveva, ma sa il fatto suo. Gregario nato, proprio come Malacarne: lavora in pianura, sa andare in fuga e può tornare molto utile. Tutte cose che quest'anno ci sono mancate, perché Tiralongo non poteva stare con i nostri capitani dall'inizio alla fine di ogni tappa».

Non si rischia che l'Astana, in questo modo, tralasci un po' troppo le classiche?
«Sicuro tralasciare, per così dire, le classiche, è un piccolo rischio. Ma se guardi cosa ti dà la vittoria di un GT... Di certo alla Sanremo non bisogna andare per passare sulla riviera e prendere il sole: ti devi preparare bene e faremo del nostro meglio. Ma se un'azienda ha una strategia, conviene perseverare su quella, che poi ti porta il fatturato. E Vino, il nostro direttore d'orchestra, sa cosa vogliono gli sponsor. Abbiamo fatto questa scelta, non dico che siamo stati costretti, anche perché abbiamo due uomini che sappiamo possono essere competitivi al cento per cento nei grandi giri. Non tutte le squadre sono così, ovvio: la Lotto di Greipel e la Giant di Kittel avranno altre strategie. Di squadre che possono far bene in un GT ce ne sono tre o quattro».

Di certo uno come Lars Boom in primavera non sarà a riposo.
«Se pensiamo che lui è un olandese che ha mollato la Belkin per venire in una squadra come la nostra, significa che si tratta di un ragazzo che vuol cambiare il suo modo di correre. L'abbiamo preso qualche tappa dopo quella del pavé, al Tour, e quel giorno non ci ha dato propriamente una mano, anzi, è stato uno che ha sfruttato il nostro lavoro. Vino ci ha parlato e Boom non ha avuto esitazioni: vuol mettersi a disposizione, gli piace correre il Tour, vuol essere più competitivo. Nelle Classiche, con Bozic, sarà l'uomo di punta, ma viene per aiutare Vincenzo al Tour».

Altro importante innesto è quello dello spagnolo Luis León Sánchez.
«Ha esperienza, è un ragazzo che può essere valido tanto per il Giro, quanto per la Vuelta. È difficile essere competitivo in tre grandi giri nello stesso anno. Lui sa essere protagonista ma sa che viene per fare il gregario. Poi al Catalunya o al País Vasco avrà le sue giornate e magari lo porteremo come capitano. Di sicuro sarà importante per Aru, per avere qualche uomo in più in salita. Per questo, con Vino, abbiamo deciso di prenderlo».

Si punta anche a rilanciare l'estone Rein Taaramäe, grande promessa, ma...
«È un'incompiuta, era partito come un futuro campione. Lo conosce l'altro nostro estone, Tanel Kangert, e ce ne ha parlato molto bene. È un po' una scommessa, anche se sappiamo bene che tipo di corridore è: potrebbe essere importante alla Parigi-Nizza, o per il Giro, se troverà la condizione buona. Altrimenti, dovesse partire un po' così così, tornerebbe utilissimo per il Tour. Quindi dove lo collocheremo, in base alla condizione ed alle nostre necessità, farà bene. Ecco, è un jolly da giocare in quasi tutte le corse che ci interessano. Prima di tutto, però, è lui che deve tornare ad essere il vero Taaramäe, quello di qualche anno fa».

A proposito di Kangert, la sua stagione è stata un po' deludente, non trova?
«Ha avuto tantissimi problemi ad inizio stagione. Aveva male ad una gamba, ha iniziato a correre tardi. L'abbiamo portato al Tour e forse ci è arrivato con una condizione che non era eccezionale. L'ha finito in calando ed abbiamo provato a fargli fare la Vuelta per riportarlo su ma è stata veramente una stagione anomala. Tutto però è dipeso dall'inizio problematico. Col senno di poi, forse abbiamo sbagliato a non portarlo al Giro in ottica Tour: così facendo, è arrivato in Francia con tanti allenamenti, di sicuro lavori eccellenti, ma poche gare. Ed alla fine gli è sempre mancato qualcosina».

Parlando invece dei non confermati, s'è detto di Gavazzi e Gasparotto.
«Ci dispiace tantissimo. Poi due italiani, entrambi voluti da me... Gasparotto ha fatto gli ultimi due anni non direi male, perché al Nord è andato bene: primo degli italiani alla Freccia, alla Liegi, ha vinto l'Amstel, è stato quasi sempre competitivo. Però abbiamo voluto cambiare impostazione proprio come squadra, andando sui grandi giri. Purtroppo sono stati sacrificati corridori che hanno anche portato tanto fieno in cascina. Però è tutto dipeso dalla strategia del team, l'obbligo di dover prendere corridori da GT ha fatto sì che sacrificassimo altri che magari non erano andati più piano. Ragazzi che hanno ancora molto da dare e potrebbero anche aiutare i giovani, se dovessero finire in una squadra di livello medio-basso».

Anche Fredrik Kessiakoff non rimarrà con voi.
«Sono due anni che non riusciamo a capire cosa sia successo a questo ragazzo! L'anno scorso l'abbiamo riconfermato ma è diventato... Boh, non lo so, perso! Completamente perso! Non siamo riusciti a tirar fuori nulla da lui, nelle ultime due stagioni. Ci aspettavamo un uomo squadra, nei primi due anni con noi era stato importante da inizio stagione sino alla Vuelta. Ha vinto due corse, a crono va forte, alla Vuelta eravamo anche partiti con lui capitano. Ha avuto dei problemi di salute all'inizio dell'anno scorso, se li è portati dietro con una marea di cadute e ricadute. Ha buttato due stagioni in questo modo, passando da un dottore all'altro. Questione anche di sfortuna: prendi una bronchite, poi rientri e cadi. Magari rimani fuori dalle classiche perché non stai bene, rimani fuori dal Giro perché non vai, la sfortuna non arriva mai da sola».

Stessa sorte per Valerio Agnoli, ormai è diventato quasi un caso. Lo chiariamo?
«La vicenda di Agnoli ha un po' dell'incredibile. Ho letto di tutto e di più su di lui in questi mesi: dal fatto che non andava più d'accordo con Vincenzo (e non è vero) ad altro. Vincenzo ha provato in tutte le maniere a farlo riconfermare, l'amicizia c'è e non finirà certo cambiando squadra. Purtroppo si è rotto un equilibrio nei confronti della squadra, dei direttori sportivi: forse ha dato meno di quello che ci saremmo aspettati, o forse eravamo noi che ci aspettavamo troppo da lui».

Cosa si aspettava da Agnoli che non le ha dato?
«Mi sarei aspettato sempre di più, ma quel di più non sono mai riuscito a trovarlo. Probabilmente è un corridore così: s'è messo sempre a disposizione, ha lavorato per la squadra, ma questo non è stato abbastanza per riconfermarlo. Negli ultimi giorni stava ancora lavorando per ritrovare un punto d'incontro con Vino, ma c'è una rottura in questo momento che è un po' difficile da risanare. La colpa del "caso Agnoli" potrebbe essere anche mia, perché ha dato meno di quello che pensavo. Però non c'è un senso o una colpa in tutto ciò: sono tante piccole cose messe insieme che diventano sempre più grandi, ed alla fine tutto è più problematico. Se un piccolo problema diventa grosso, succede l'irreparabile. Valerio è un corridore che deve trovare la sua dimensione, il suo equilibrio, dentro e fuori la squadra: metter giù la cresta, pensare solo a pedalare, parlare meno, non pensare a quello che hai fatto ma a quello che farai».

Forse anche l'esclusione dal Tour non gli è andata giù.
«Ma a tutti sarebbe piaciuto correre il Tour! Perché? Perché non dico che si sapesse già come sarebbe andata a finire, ma sicuramente ognuno di noi era consapevole che Vincenzo sarebbe stato veramente competitivo. Però io, Agnoli, me lo sarei aspettato già competitivo dalle prime corse. Non dev'essere il gregario che si mette a disposizione in tutto e per tutto, i gregari li abbiamo: lui dev'essere uno che prova anche a vincere qualche corsa, come faceva nei primi anni da professionista. Non deve soffermarsi sul fatto che è amico di Vincenzo, perciò adatto a fare un determinato lavoro. Io credo di avere un po' di colpe in questa storia: ho sempre detto a Valerio di tirar fuori qualcosa che fosse farina del suo sacco, di non essere sempre e solo a disposizione degli altri. E sul primo punto lui mi è mancato. Ha bisogno di pensare meno e pedalare di più, secondo me. Posso solo fargli questo rimprovero ed in questa squadra gli è stato già fatto troppe volte. Gli servirà anche per il futuro».

Michele Scarponi atteso ad un buon 2015 © Astana Pro Team«Ora Scarponi non potrà fallire»

Resterà in squadra, invece, Michele Scarponi.
«Michele è arrivato nella nostra squadra con un obiettivo: sapeva già di correre Giro e Tour. Il Giro poteva essere anche una corsa in cui fare la sua parte, visto che è sempre arrivato nei primi cinque nelle ultime quattro edizioni. Perciò poteva fare bene anche con la nostra squadra, ma sapeva di doversi tenere un po' di forze per il Tour, visto che l'abbiamo preso con quest'obiettivo. Ha avuto un inizio un po' altalenante, visto che ha preparato bene la Tirreno ma s'è ammalato appena prima. Una primavera strana e sottotono, forse l'obiettivo del Tour li ha portati tutti un po' troppo in là con la condizione».

Giro e Tour di Scarponi le sono piaciuti?
«Al Giro la caduta gli ha un po' tarpato le ali. Al Tour non era al cento per cento ma in due o tre tappe era nel finale da solo con Vincenzo ed è stato fondamentale in qualche giornata. Questo da solo vale la riconferma. Nel 2015 però non potrà sbagliare. Sarà l'uomo per il Giro, il Tour diventa non dico difficile, ma se dovessi rischiare rischierei per il Giro. Certo, deve fare una bella primavera, allenato bene, preparato bene. Deve mettersi in luce anche nelle corse un po' di secondo piano, ma dove può far bene, come la Tirreno-Adriatico o un Catalunya, un País Vasco. Può benissimo prendersi delle soddisfazioni personali per preparare il Giro, ma lì non potrà fallire».

Forse l'attesa del Tour era troppa per poter far bene anche al Giro.
«Per noi era troppo importante averlo al Giro nelle condizioni per poter far bene o per aiutare Aru, se Fabio fosse andato come poi è andato. Ecco perché non si poteva pensare subito al Tour. Michele è un campione che abbiamo pagato molto - non è bello dirlo ma è così - e per svolgere il ruolo del campione, non del gregario e basta. L'abbiamo preso perché credevamo che al Giro potesse essere competitivo per fare anche risultato. Poi al Tour potevamo anche avere un Michele a mezzo servizio: lì non ci serviva per fare classifica, ma c'erano delle tappe in cui non doveva mancare: Hautacam o La Planche des Belles Filles, per esempio. Naturalmente la Tirreno, il Catalunya, facevano parte del suo percorso: ha avuto una stagione da sei e mezzo, non gli darei un brutto voto. Ripeto, quello che è mancato è stato l'inizio. Quella preparazione e quella continuità che poi ti dà la sicurezza di arrivare ad un GT con la condizione buona. Ecco, lui questa sicurezza l'ha trovata solo dal Trentino in poi, e ormai non c'è più nessuno che va alle gare per allenarsi».

Il livello del World Tour è alto.
«Altissimo. È anche per questo che di giovani ne passano sempre meno e sempre meno ne passeranno, lo garantisco: perché o sei un talento naturale, oppure fai la riserva della riserva della riserva. Ecco che allora una squadra preferisce prendere il corridore esperto, come può essere Scarponi. Visto il livello, se ti perdi qualcosa sei già indietro e non puoi essere competitivo. Sei esimo, come si diceva una volta. "Come sei arrivato? Esimo..."».

Jakob Fuglsang non è certo uno che arriva "esimo".
«Senza ombra di dubbio è il corridore che mi piace di più. Sempre presente, mai una volta che arrivi alle corse e non sia ben preparato. Naturalmente è di cristallo, va preservato per quello che realmente è: vale molto e mi dispiace tante volte metterlo al servizio del capitano. L'anno scorso è stato 7° al Tour e quest'anno sapeva di doversi mettere a disposizione di Vincenzo. Quando l'ho preso due anni fa gli facemmo firmare un contratto triennale: nel primo anno sarebbe stato capitano al Tour perché Vincenzo era al Giro. Nel secondo, con Vincenzo al Tour, lui si sarebbe messo a disposizione. È quello che ha fatto. L'anno prossimo dovrà trovare il suo equilibrio: secondo me, sicuramente farà il Tour con Vincenzo, però magari proverà a correre una Vuelta da capitano. Hanno provato in tanti a soffiarcelo, anche quest'anno, nonostante sia ancora sotto contratto».

Il danese volendo può dire la sua, oppure oltre un certo limite non va?
«Se non fosse caduto, quest'anno poteva tirar fuori un buon piazzamento. In una corsa - specialmente se sei in giallo per venti giorni - i primi 100 km sono i più duri in assoluto: in televisione non si vede, ma devi contenere la fuga, lasciare andare quelli che hai deciso di lasciar andare. È un lavoro difficile, venti giorni in maglia gialla ti logorano. Se Fuglsang non fosse caduto quest'anno, nonostante facesse il lavoro sporco, si sarebbe piazzato. Sì, secondo me nei primi cinque o sei ci entrava».

Ultimi, non certo per importanza, Vanotti e Tiralongo: gli angeli custodi di Nibali ed Aru.
«Tiralongo per Aru è un po' come il fratello maggiore. Si allenano insieme, si preparano insieme, sono anche andati in vacanza insieme! Vanno veramente d'amore e d'accordo. Lui e Vanotti sono gli uomini che tutte le squadre vorrebbero avere in abbondanza, ma non è facile trovare il corridore che nasce gregario e lo fa perché è nel suo destino. Vanotti lo è stato e lo sarà per quanto riguarda Vincenzo: stanno in camera insieme, soffre con lui, gli tira su il morale, lo sveglia quando Vincenzo si addormenta (quasi dappertutto)... Il "Vano" è un po' così».

Quanto valgono per una corazzata come la vostra due come loro?
«Se li adoperi bene e sai dar loro la loro una giusta ricompensa, sono importanti come uno che ti porta due o tre vittorie stagionali. Qualche volta ce ne vorrebbero un po' di più, anche se magari non vanno forte come altri. Faccio un esempio: a me è capitato parecchie volte di accordarmi con Tiralongo per fare dietro moto l'indomani, di dirgli "andiamo a fare dietro moto, così viene anche Fabio". O magari si va a provare una salita con Aru. Dico Aru perché è quello che adopero ora, ma varrebbe lo stesso discorso per Alberto, visto che Tiralongo ha avuto anche un ottimo rapporto con Contador. In otto mesi, grazie a lui, che magari andava a Madrid ad allenarsi con Alberto, oppure in altura, ho imparato molti segreti di Contador. E questo lo devo molto a Tiralongo».

Già, il gregario. Se ne trovano ancora giovani a cui piace questo ruolo?
«Sì, ci sono alcuni che li guardi un po' anche da fuori ed hanno già l'indole di quello che fa il gregario. Diego Rosa l'ho visto due anni fa all'opera con Gianni Savio, all'Androni: tirava, andava in fuga, tornava indietro nel gruppetto dei ritardatari, portando su i suoi compagni e dopo andava all'ammiraglia a prender l'acqua. Sono quelli che quasi quasi nascono così. Infatti a distanza di due anni l'abbiamo preso».

Tra le cessioni, c'è qualcuno che ha dovuto lasciar andare a malincuore?
«Io voglio bene a tutti, ma non credo di avere lo stesso rapporto con ognuno: sai, se il ds dà qualcosa al corridore, diventa il "suo", mentre se toglie non va già bene. Bisogna usare il bastone e la carota, poi capita che con qualcuno usi più il bastone, con altri più la carota. Brajkovic, pur avendo lavorato con me tre stagioni, è stato sempre un pochino sotto tono rispetto al corridore che conoscevo alcuni anni fa. È uno che m'è dispiaciuto cedere, perché si tratta di un professionista al 110%. Però non sono mai riuscito a tirar fuori il vero Brajkovic. Poi mi dispiace anche per Guarnieri: l'ho sempre adoperato per tirare, è uno di quelli che chiami se hai un posto libero: Belgio, mezze stagioni, finali... È il jolly per antonomasia».

Ha parlato del vero Brajkovic, ma s'è mai visto?
«Certo, ancora nel 2010, quando ha vinto il Delfinato, e forse anche qualche anno prima, preparando il Tour ricordo che andava molto forte. Io credo che Brajkovic sia il classico corridore che ha dato meno di quello che si poteva pensare. Però, ripeto, è un professionista, svolge allenamenti fuori dal comune. Gli allenamenti che ho visto fare a Brajkovic li ho visti fare a pochi altri corridori. Forse è anche quello che non lo ha fatto diventare un campione. Lui è uno che dà troppo e non sono mai riuscito a farglielo capire. Anche adesso spende tantissimo. Dovrebbe trascorrere dei periodi in cui vede la bici come un souvenir, da lasciare lì, da una parte. Invece sono convinto che è ad allenarsi alle Canarie perché magari in Slovenia è brutto tempo».

Andrea Guardini è molto atteso per il 2015 © Bettiniphoto«Il vero Guardini si vedrà nel 2015»

Invece cosa ci dice di Andrea Guardini?
«Il vero Guardini lo troveremo l'anno prossimo: è una promessa che sono sicuro di mantenere. Abbiamo lavorato molto. Slongo, con Maurizio Mazzoleni, ha lavorato tantissimo sul suo fisico e finalmente siamo riusciti a farlo diventare veramente un corridore. Non che prima non lo fosse».

Però?
«Secondo me adesso potrà competere anche con i veri velocisti. Non dico che batte tutti i giorni Cavendish, Greipel o Kittel, ma vedrete che qualche volta se li mette dietro. Ha dovuto lavorare molto, facendo anche dei periodi di solo allenamento, perché spesso per migliorare bisogna lavorare con un determinato calendario. Nel finale di stagione però ho visto veramente un grande corridore: alla Vuelta, per sfiga o per quello che volete, non è mai riuscito a disputare davvero le volate, ma vederlo finire la corsa spagnola con le proprie gambe, lo garantisco, mi fa essere ottimista».

Che tipo di lavori ha svolto, Andrea?
«Principalmente abbiamo lavorato sul motore. Aveva dei parametri sicuramente importanti, ma solo in velocità. Non superava le salite, e perché? Perché non le andava a fare, non le aveva quasi mai fatte».

In effetti erano un suo problema.
«Però non è che Andrea fosse un lazzarone: lui riusciva a vincere lo stesso, le vittorie lo riappacificavano un po' con se stesso, mettiamola così. Ma quando abbiamo posto l'asticella un po' più in alto, facendo le gare del World Tour, correndo in Australia al Down Under, abbiamo visto che lo staccavano dappertutto. Fatichi nelle volate, fatichi in Qatar, in Catalunya... Quando ad un corridore succede questo, non pensa mai che gli altri vadano più forte, ma che lui sia malato. Pensa che ci sia qualcosa che non funziona. Invece deve proprio allenarsi. Dev'essere più forte: con Guardini abbiamo lavorato molto sulla resistenza, perché prima ancora di far le volate deve arrivarci, alle volate. Pian piano siamo riusciti a trovare quest'equilibrio. Con Mazzoleni e Slongo abbiamo lavorato sulla resistenza senza però perdere spunto veloce, poi siamo passati ai lavori specifici per le volate. Ma prima di tornare a far le volate si è dovuto lavorare sul motore».

Da quanto va avanti questa ricostruzione del corridore?
«Abbiamo iniziato a maggio 2013 e s'è capito che dovevamo procedere in questo senso. Prima pensavamo che mancasse qualcosa in lui, poi abbiamo iniziato a lavorare. Ci è voluto quasi un anno per capire che questa strategia andava bene. Da giugno 2014 abbiamo trovato uno sblocco. Ora facendo un buon inverno, partendo da Dubai anziché dall'Australia - quindi allenandosi bene anche a gennaio - vedrete che nelle prime corse dell'anno lo troveremo competitivo».

Competitivo lo era pure, ma spesso in corse minori.
«Abbiamo preso Guardini nel 2013: è uno che ha vinto subito 11 corse con Scinto, con noi due tappe in Malesia, però poi non ti finisce Catalunya, Belgio, e via dicendo. Su di lui ho letto di tutto e di più: aveva sbagliato squadra, voleva tornare con Scinto... Non ho mai dato peso a queste voci, ho solo detto ad Andrea di non ascoltarle e di guardare avanti. Ma lui avrebbe dovuto cambiare marcia. Se vuoi stare al passo con quelli del World Tour devi lavorare 365 giorni l'anno per essere un corridore. Anche in vacanza: stacchi 10 giorni? Bene, dovrai aggiungerli quando ti allenerai. Lavorare sempre per tirar fuori il massimo del tuo rendimento, perché ora i materiali, le bici, i preparatori, sono gli stessi per tutti. Per dire: una volta Paolo Slongo lo avevano dieci corridori in Italia. Ho voluto che tutti i miei avessero Slongo, dal primo all'ultimo arrivato. Anche Maurizio Mazzoleni è a disposizione tutto l'anno, ma devi lavorare. Sempre».

Scinto sul cambio di squadra di Andrea dichiarò: «Penso ab­bia avuto un po' troppa fretta».
«Ma bisogna vedere con Scinto cosa realmente faceva: se correva il Giro e vinceva una tappa ma per arrivare in fondo era in mezzo all'ammiraglia... Con me ha terminato una Vuelta, che è più dura del Giro, ed in mezzo all'ammiraglia ci è rimasto poco. Con Scinto ha fatto un buon inizio, tra vittorie e morale. Ma arrivando all'Astana ti dico che ora lui risponderebbe a questa domanda: "Era meglio arrivare un anno prima!". All'Astana o in un'altra squadra World Tour. Certo, se lo porto in Tunisia o in Malesia mi vince quattro tappe, in Oman mi vinceva sei tappe, ma quelle mi servono per il conto totale delle vittorie a fine anno. Però se lo porto al Catalunya, adesso posso pensare che mi vinca delle tappe; due anni fa lo portavo al Catalunya e dicevo: "Proviamo a portarlo al Catalunya, forse capisce che deve lavorare". Da maggio 2013 al maggio scorso ne ha fatte ben poche di corse, ma garantisco che ha percorso una marea di chilometri in bicicletta».

Alla Sanremo potrebbe fare bene?
«Per me può cominciare a vedere Sanremo per davvero: sul podio o no, questo oggi non lo so, ma lo vedremo davanti».

E continuerà l'attività su pista?
«Sì, di sicuro a Montichiari. Ed a dicembre o gennaio farà una Sei Giorni; quale lo decideremo con lui, appena sarà tornato dalle vacanze».

Cosa pensa invece dei giovani kazaki dell'Astana? Lutsenko e non solo.
«Abbiamo ottimi rincalzi: da juniores vincono e se vengono in Europa sono competitivi. Naturalmente è un ciclismo diverso, quindi una volta qua devono cambiare marcia. Poi se hai un talento come Lutsenko è logico che ci impiegherà meno, in questo cambio di passo, mentre Tleubayev qualcosina in più. Per Kamyshev ci vorrà un anno in più. Hanno una base molto buona ma soprattutto la fortuna di avere un'ottima squadra alle spalle. Ed è una fortuna incredibile! Astana per i kazaki, per i russi c'è la Katusha. Senza contare che questi, quando smetteranno di fare i professionisti, avranno il posto di lavoro assicurato».

Ma lei ne vede uno, o più d'uno, che potrà vincere qualcosa di davvero pesante?
«Possono avere un bel futuro, ma si dovrebbe accelerare un po' di più la loro crescita. Astana Continental dovrebbe fare come noi, ossia correre un po' di più in Europa. C'è il problema del visto, ha solo 90 giorni di validità. È problematico anche quello, devi centellinare i giorni di corsa in Europa. Io vedo dei buoni corridori, quanto riusciranno a vincere in futuro non lo so. Lutsenko è di certo uno che, lo posso garantire, vincerà qualcosa d'importante. O una Liegi, se non un'Amstel, una tappa al Tour... È adatto a tutte le stagioni, però è giovane, è del '92. Alla scorsa Vuelta ha dimostrato che è un talento, per me il futuro di Astana e dei kazaki è sulle spalle di Lutsenko».

Due battute su Westra, Grivko, Bozic e Landa.
«Westra è stato il nostro portafortuna quest'anno: quello che ha fatto al Tour nella tappa del pavé penso che valga una stagione, perciò credo sia stato l'uomo in più. Sapevamo che era un ottimo corridore, sia chiaro. Grivko è una sicurezza: dove lo porti, sa fare il suo lavoro. Se deve andare in fuga ci va. Viene a prendere l'acqua all'ammiraglia, porta le mantelline agli altri, fa il lavoro sporco tutto l'anno e dà la garanzia che lui c'è. Bozic è stato riconfermato anche se per il rotto della cuffia. Anche da lui mi aspetto di più, che possa migliorare ancora. Ha avuto anche sfortuna ma ci dà garanzie per il Nord, fino al Giro».

Landa se lo tiene per ultimo.
«Il suo è un discorso un po' più complesso. Per me deve ancora migliorare molto: se vogliamo, è un Guardini rapportato alla salita. Sempre considerato un talento, speravo di portarlo in Italia subito, appena passato pro', visto che già da dilettante lo seguivo. Invece è stato impossibile perché là, se non passi dall'Euskaltel, ti tolgono il patentino di basco. Quando l'Euskaltel ha cessato l'attività l'ho preso, ma deve lavorare molto».

Su che cosa, in particolare?
«È un corridore che non ha mai fatto fatica nella sua vita e probabilmente non l'avrebbe mai fatta se non fosse arrivato da noi. Prima di essere all'Astana, non s'è quasi mai messo a disposizione. Poi se capita in una giornata buona ti vince la tappa al Trentino o alla Vuelta, ma per noi è troppo poco. Dev'essere importante per Aru al Giro, farsi trovare là davanti come gregario e poi magari può vincere una tappa, senza problemi, nel giorno in cui decidiamo di mandarlo in fuga. Però deve migliorare. È nato con la camicia e invece deve lottare per conquistarsi un posto in una grande squadra come l'Astana».

Parliamo di World Tour: le piace così com'è?
«Io sono dell'idea che la stagione debba finire col Lombardia, magari spostandolo una settimana più avanti. Se fossi un dirigente del World Tour, farei in modo di avere i migliori corridori nelle migliori corse: spesso invece non dico che troviamo il contrario, ma quasi. M'inventerei qualcosa: premi, incentivi... Basti pensare che per il vincitore non c'è il becco di un quattrino. Non esiste classifica al mondo dove il vincitore non prende una Lira. Un bel montepremi per corridori e squadre, questo metterei come incentivo».

A proposito, l'Astana è a posto con la licenza, dopo le positività degli Iglinskiy e di Davidenok?
«Non ho novità, nel senso che Vinokourov è tranquillo, anche se la vicenda dei due Iglinskiy l'ha fatto arrabbiare molto. Anzi, l'ha fatto proprio incazzare, non l'ho mai visto furente come in quei giorni, per questi due scemi... Per la questione World Tour, magari rischieremo ma bisogna dare il giusto peso a tutto. Il mondo dello sport è fatto di incidenti, capitano anche nelle migliori famiglie. Piuttosto, se fossi un dirigente della mia squadra prenderei provvedimenti importanti contro chi sbaglia. Ci vorrebbero regolamenti interni come i nostri, controlli interni, come facciamo (e li facciamo per davvero!). Da noi chi sbaglia è difficile che torni a fare il corridore, ma non soltanto in Astana. Proprio nel ciclismo».

L'Italia non ha un gran rapporto col World Tour: solo una squadra, la Lampre-Merida.
«La crisi economica c'è sicuramente. Non credo che chi non entra nel ciclismo non lo fa perché pensa sia tutto solo doping. L'imprenditore ci vorrebbe - alle Granfondo se ne vedono tanti - ma non ci vuole solo l'appassionato di ciclismo. Serve qualcuno che si metta completamente a disposizione. Ora, non me ne intendo, ma forse ci vorrebbero anche dei manager provenienti dall'imprenditoria, e non ex corridori a capo delle grandi squadre. Se lo sponsor spende, faccio per dire, 15 milioni nel ciclismo, a fine anno porta a casa un budget importante, questo devono capirlo. E magari ci vorrebbero anche più Nibali ed Aru, ma una volta non avevamo tanti campioni, eppure le squadre in Italia erano molte. La Lampre ha la fortuna di avere una famiglia alle spalle, che non è Saronni, ma Galbusera. Ci sono stato e conosco la passione di Galbusera. Se non ci fosse non troveremmo neppure la Lampre nel World Tour».

C'è una squadra che l'affascina e le piacerebbe dirigere?
«È una domanda difficile. Affronto il sesto anno con l'Astana e vorrei finire la mia carriera qui. Una squadra che mi dà l'impressione che potrebbe farmi imparare molto - non che oggi non impari qualcosa tutti i giorni - è la Sky: i britannici hanno un metodo diverso, vengono dalla pista e potrei imparare qualcosa. In Astana sono convinto che abbiamo i preparatori più bravi. Là sono abituati a limare e avrei da imparare, ne sono certo».

Davide Martinelli in maglia Colpack © Bettiniphoto«Davide? Che cresca tranquillo»

Suo figlio Davide sembra nell'orbita Sky.
«Eh ma Davide è ancora un po' fermo, non è certo che arrivi in Sky. Stiamo valutando un po' di idee che ci sono passate per la testa. Come ho detto prima, il livello del World Tour è elevatissimo, non vorrei che facesse il passo più lungo della gamba e finisse ad essere la riserva delle riserve».

Potrebbe restare un altro anno tra i dilettanti?
«Oppure trovare una sistemazione un po' più tranquilla. Ma ne stiamo discutendo, stiamo valutando diverse situazioni, a breve si risolverà tutto».

Le piacerebbe dirigerlo?
«Perché no? Con il fatto che Davide è il figlio di Martino spesso viene penalizzato. Molti non lo cercano, tanto ci pensa Martino. Io voglio solo che mio figlio non finisca come tanti giovani che passano troppo presto ed appendono la bici al chiodo prima dei 30 anni. La media è sui 28. Ora, non dico di passare pro' a 30 e passa anni, ma al momento giusto. Ogni cosa a suo tempo».

Al di là di tutto, sarà difficile dare una descrizione di Davide, da padre. Ci prova?
«È un bravo ragazzo ed un buon corridore. Sa adattarsi un po' a tutto: salita, crono, in volata ha saputo dire la sua ma ha aiutato molto gli altri. Potrebbe essere benissimo un gregario à la Cataldo, un ultimo uomo. E per me è abbastanza difficile, la domenica dopo una gara, fare delle valutazioni, magari dirgli dove ha sbagliato, dove ha fatto bene ma può migliorare, certo».

Tornando a noi, non pensa che nel ciclismo di oggi manchi un po' di coraggio?
«Rispetto al passato, indubbiamente sì. Si cerca di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Se penso che una volta attaccavamo al rifornimento... Oggi non lo fa più nessuno, ma non perché non siano in grado. Lo si facesse, verrebbero fuori dei macelli».

Nibali è tra i più coraggiosi del gruppo, l'ha dimostrato spesso.
«Ancora alla Sanremo, con l'attacco sulla Cipressa. Molti l'hanno definito scriteriato, ma se è cosi la colpa è mia, non di Vincenzo. Pensavo davvero che magari con un Gilbert o un Cancellara, una volta tanto, si provasse a far saltare il banco e ad evitare la volata seguendo Vincenzo. Se l'avessero seguito sarebbe cambiata la storia, anche perché sapevano tutti che avremmo attaccato lì, l'avevamo detto alla vigilia. Ogni anno alla Sanremo sembra che tutti debbano attaccare sulla Cipressa ma alla fine, se togli Vincenzo, Sagan e pochi altri, non si fa niente».

Peter Sagan in maglia verde al Tour © Bettiniphoto«Per Sagan alcuni contatti, ma...»

A proposito, l'Astana ha mai pensato seriamente a Sagan?
«Sì, ci sono stati dei contatti. Però si parlava di cifre oltre ogni immaginazione e Vino prima di spendere 100 Lire ci pensa mille volte. Se fosse arrivato Sagan saremmo una squadra ancora più forte, ma bisogna fare i conti con certe cifre».

Eppure le risorse non vi mancheranno.
«È vero, siamo una squadra che investe tanto, ma per il corridore che ci interessa (in questo caso per le grandi corse a tappe). Non siamo quelli che spendono di più. Sono convinto che Tinkov, per esempio, spenda molto più di noi. Tra Contador, Sagan, Bennati, tutto lo staff... E Riis? Pensa che valga quanto Martino? Di una cosa sono certo però: ora che Sagan è alla Tinkoff-Saxo attaccherà, eccome».

Alla fin fine, le piace la squadra di Tinkov...
«Ma sì, lui è un pazzo ma non uno stupido. Se ha fatto tutti quei soldi dev'essere un imprenditore determinato ed appassionato. Di sicuro, se fossi stato con loro, non mi avrebbero convinto a salire sul Kilimangiaro. Io sono all'antica e quella è roba che non fa per me».

Chiudiamo all'antica allora: ci dia un appuntamento per il 2015. Uno a cui non vorrebbe proprio mancare. E non vale il Tour.
«Vorrei vincere la Milano-Sanremo».

Con Nibali o magari con il nuovo Guardini?
«Non lo so, ma sicuramente Vincenzo se la meriterebbe. Ogni anno ci prova, attacca da lontano, sarebbe il giusto premio al suo coraggio. Sì, dico la Sanremo con Nibali».

Francesco Sulas

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