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Mondiale in linea 2014: Kwiatkowski Superstar - Con un colpo di genio mette tutti nel sacco e vince l'iride. Italia, che peccato

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L'arrivo vincente di Michal Kwiatkowski al Mondiale di Ponferrada © Bettiniphoto

In buona sostanza, Michal Kwiatkowski in maglia iridata non se lo aspettava nessuno. Tutti indicavano il 24enne polacco come un buon outsider, come un ottimo piazzato, ma nessuno avrebbe pensato, alla vigilia, che il giovanotto della Omega Pharma fosse lì lì per mettere tutti nel sacco, conquistare il successo più importante della sua ancor fresca carriera, diremo di più: il successo più importante della storia del ciclismo polacco. Mai un corridore di quelle latitudini si era imposto in una gara ciclistica di tale rilievo, e ora ci ritroviamo addirittura in maglia iridata il miglior prospetto di un movimento che si segnala come uno di quelli che attualmente godono di maggior salute sul globo.

Un coronamento ideale, la vittoria di Kwiatkowski, di una settimana iridata molto eurocentrica: due successi australiani il primo giorno (crono Under 23 e Juniores donne, con Campbell Flakemore e Macey Stewart), poi un profluvio di Europa settentrionale e continentale: i tedeschi Kamna e Brennauer nelle crono Juniores e Donne, il britannico Wiggins nella prova contro il tempo dei professionisti, e poi ancora nelle gare in linea il tedesco Bokeloh la danese Dideriksen nelle prove Juniores, il norvegese Bystrøm tra gli Under 23, la francese (del nord) Ferrand-Prévot tra le donne.

Un esito quasi paradossale per un mondiale molto latino, nella spagnola Ponferrada, sede invero abbastanza anonima e per di più nemmeno baciata da una folta partecipazione di pubblico. Un'edizione onestamente sottotono, che si conclude però con una bella ottantina di chilometri di buon ciclismo (tra le prove in linea, quella dei professionisti è stata la più spettacolare) e nel segno dell'Italia, che esce dalla gara odierna con appena un 13esimo posto (ottenuto da Sonny Colbrelli) ma con la consapevolezza di aver gareggiato bene, provando tutto quel che era possibile per sovvertire i nefasti pronostici della vigilia.

Un po' sole e un po' pioggia, la fuga che va e Nibali che cade
I primi giri, come spesso accade in un Mondiale, hanno riempito poche righe di appunti. Uno dei principali motivi era l'apparire del sole e il suo ciclico svanire dietro a nuvole piovose. Insomma, Mondiale umido, anzi bagnato. E non fortunato, per qualcuno: Fabian Cancellara, smoccolante già dopo 2 km di gara a causa di una foratura, presagio di una corsa non certo da mettere negli annali per l'elvetico.

Lo scatto numero uno è toccato a un colombiano (Rubiano), e pure il numero due (Arredondo, che ha provato a portar via un gruppetto); la maglia blu dell'ultimo Giro non è riuscito nel suo intento, ma sullo slancio di tale azione è effettivamente partita la fuga del mattino, composta da un paio di componenti del gruppetto di Arredondo (ovvero l'ucraino Polivoda e il lituano Savickas) e poi dal croato Kvasina e da un immancabile colombiano, Carlos Quintero.

Il tempo di veder volare il quartetto a oltre 7', che il greco Bouglas s'è risvegliato da un lungo sonno e ha deciso che anche lui doveva essere nella fuga; così al terzo giro è uscito in caccia, ma come si sarà capito dalla velata ironia di questo periodo, era decisamente troppo tardi. Michal Golas, chissà perché, si è sulle prime accodato all'ellenico, ma dall'ammiraglia l'hanno immediatamente ricondotto a più saggi consigli, intimandogli di fermarsi perché il suo lavoro sarebbe stato più utile alla Polonia in gruppo, più avanti.

Bouglas è rimasto per tre tornate a metà strada, poi è stato raggiunto dal plotone a oltre 150 km dalla fine; intanto il quartetto di testa era passato da un vantaggio massimo di 15'14" (al km 58, all'inizio del quarto giro), e ancora a metà corsa amministrava quasi 11' di margine, ma per ulteriori due tornate dopo il giro di boa (e quindi nei giri 8 e 9) non sarebbe giunto altro di rilevante da ricordare.

Le cose importanti della prima metà di gara erano in effetti avvenute tutte al quarto giro: una caduta a quasi 200 km dalla fine, su una curva a sinistra resa scivolosa dall'asfalto bagnato, ha coinvolto diversi corridori delle prime file: Navardauskas, Gautier, Kolobnev, Preidler, Valgren Andersen, Skujins e Trofimov tra gli altri; e, sempre tra gli altri, pure Vincenzo Nibali. Per il siciliano non certo una botta da ko, ma un colpo che avrà dato gran fastidio, soprattutto se consideriamo che faceva il paio con quello subìto alla recente Tre Valli Varesine: non il miglior viatico per andare a giocarsi un risultato importante nel finale.

E la seconda cosa importante del quarto giro è che, proprio da quella tornata, a guidare l'inseguimento in gruppo è stata la Polonia, impegnatissima a ridurre il gap dai primi, facendosi forza del poter schierare una formazione di 9 uomini, conferma di un recente status da nazione top del ciclismo. Anche a Firenze un anno fa i polacchi corsero in 9, ma interpretarono la gara ancora come una nazionale di seconda fascia (non a caso mandarono Huzarski in fuga tutto il giorno). Oggi invece, pur priva di una vedette come Rafal Majka, la Polonia ha deciso di puntare il tutto per tutto sul proprio capitano, Michal Kwiatkowski. E ha fatto benissimo.

L'Italia sale in cattedra, la corsa si accende
Dopo 170 km di corsa praticamente sempre uguale a se stessa (quattro fuggitivi, gruppo al completo a inseguire) era anche ora che le cose, in gara, cambiassero. E il cambiamento, in questo caso, è apparso con sembianze d'azzurro. A 80 km dalla fine, dopo la decima scalata alla salita della Confederación (la prima delle due del percorso), l'Italia di Davide Cassani è emersa prepotentemente andando a prendersi la testa del gruppo e mettendo il turbo in discesa con Daniele Bennati. Sulla successiva ascesa al Mirador (la seconda salita del circuito) è stato Fabio Aru a imporre un ritmo che ha spezzettato il plotone.

A fare le spese di questa prima seria accelerazione, non solo gli avventurati corridori di nazionali ultraperiferiche, ma anche - tanto per fare un nome - un certo Chris Froome, che a quel punto ha iniziato a vedere le streghe e di lì a poco si sarebbe ritirato (restando coerente con quanto fatto in tutti i Mondiali cui ha partecipato).

L'undicesimo giro si è aperto sempre nel segno degli azzurri, e ancora di Bennati, che ha continuato a tenere il gruppo allungatissimo. Sulla salita di Confederación nuovamente Aru ha messo in croce gli avversari, riuscendo subito a portar via un gruppetto comprendente - oltre a lui - il britannico Kennaugh, il belga Wellens, lo svizzero Albasini, il danese Juul Jensen e un altro italiano: Giovanni Visconti. Interessantissima composizione, a 65 km dalla conclusione della corsa.

Intanto la fuga del mattino, quasi dispersasi proprio in quei chilometri, veniva annullata col raggiungimento dell'ultimo superstite, Quintero, ai -64. Ancora sulla salita, sui nuovi battistrada sono rientrati altri corridori (tra i quali Giampaolo Caruso, terzo italiano della compagnia, e Joaquim Rodríguez con Herrada), ma la situazione restava molto fluida, le distanze abbastanza ridotte, e ben ferrea la volontà di continuare a fare selezione da parte degli uomini di Cassani.

Visconti ha promosso un contropiede con Kennaugh, Juul Jensen si è riaccodato, e dopo la discesa (praticamente sulla diga che separava le due scalate del circuito di Ponferrada) il norvegese Boasson Hagen, il tedesco Geschke, e ancora Wellens e Albasini si sono portati sui tre attaccanti; poco dopo, sul Mirador, altri rientri: di nuovo Caruso,  e poi l'altro belga Vanmarcke, l'altro tedesco Martin, il russo Trofimov, pure uno spagnolo (Navarro). In discesa è riuscito ad agguantare questo ben assortito drappello anche l'estone Taaramäe. In totale 13 uomini al comando, poche nazioni rimaste fuori (Australia, Francia) e ovviamente costrette (più gli oceanici che i transalpini) a tirare il gruppo per ricucire.

Situazione di lusso per l'Italia, che intanto teneva nel plotone tutti gli altri 7 uomini, pronti a intervenire nella contesa qualora ce ne fosse stato bisogno.

Visconti ripreso, parte De Marchi: è ancora Italia show
Sulla discesa del Mirador, Tony Martin ha preso qualche secondo di vantaggio sui compagni di fuga. Naturalmente lasciare spazio a un corridore del genere esponeva al rischio di impreviste evoluzioni del Mondiale: e se quello si fosse sciroppato tutto solo quei poco più di 50 km che lo separavano dal traguardo? Capacissimo.

La sortita del carrarmato di Cottbus ha paradossalmente congelato la situazione: che fare, di fronte a tale azione? Le distanze si sono cristallizzate per tutto il 12esimo giro, una ventina di secondi di Tony sui 12 del drappello, una ventina di secondi dei 12 sul gruppo (tirato dall'Australia e, da un certo punto in avanti, pure dal Belgio e poi dalla Francia).

La salita però risultava indigesta a Martin, che sul Mirador veniva raggiunto dagli altri attaccanti (intanto Navarro perdeva contatto, e Wellens faceva l'elastico). L'azione dei 12 mostrava però la corda: non un grande accordo là davanti, e dire che le prospettive avrebbero dovuto suggerire una maggiore voglia di collaborare.

Ma pareva che al solo Visconti interessasse provare a fare la differenza: detto fatto, in apertura di 13esimo e penultimo giro, sullo strappetto del Castello dei Templari, il palermitano ha dato vita a un nuovo allungo; Kennaugh ha dato a vedere di credere in quell'azione, e si è successivamente accodato a Giovanni, mentre gli altri componenti del drappello venivano raggiunti dal gruppo. Era il segnale che si stava aprendo una nuova fase di batti e ribatti, scatti e allunghi, tentativi e azioni di rottura.

Ai -30, lungo la scalata alla Confederación, Visconti e Kennaugh sono stati raggiunti dal plotone; istantaneamente è partito un nuovo terzetto, e stavolta nazionali prima assenti (Francia e Colombia) hanno inserito un uomo, nella fattispecie Gautier e Chaves. Il terzo uomo, un altro italiano: Alessandro De Marchi. Nelle concitate fasi di una corsa ormai pienamente nel vivo, Chaves ha presto mollato la presa, ed è stato sostituito dal sopraggiungente Valgren Andersen, giovanotto danese di belle speranze.

A poca distanza da questo terzetto, ancora Albasini attivissimo (con Chaves e Ion Izagirre), quindi è stato Kiryienka a riportare in quota la sua maglia bielorussa, emergendo sul Mirador e riportandosi sui battistrada poco prima del passaggio al traguardo. Tra il quartetto al comando e il gruppo (tirato nuovamente dalla Polonia), rimanevano alcuni uomini (il solito Albasini, Chaves, Vanmarcke, ben due spagnoli - Castroviejo e Moreno - e pure un australiano - Clarke). Alla fine del giro, De Marchi e soci si trovavano ad amministrare la bellezza di 44" sul plotone: tanta roba, a soli 18 km dalla conclusione.

La fine dei sogni azzurri, il colpo da maestro di Kwiatkowski
La Spagna, capito che con quei due uomini intercalati non avrebbe ottenuto alcunché, li ha fermati e li ha messi alla frusta, per far recuperare al gruppo terreno sui quattro battistrada. Tra questi, De Marchi e Andersen erano nettamente i più forti, con Gautier quasi indisponente nella sua esibita incapacità di collaborare, e con Kiryienka non al meglio delle sue possibilità. Albasini, dal canto suo, si è speso talmente tanto e bene, nell'inseguimento, da far rimpiangere ai suoi tifosi che non fosse lui (e non uno spento Cancellara) il capitano svizzero.

A 15 km dalla fine, davanti al Castello dei Templari, ammontava ancora a 35" il vantaggio del gruppo De Marchi; ma il lavoro degli spagnoli e di Albasini iniziava a dare frutti, e ai -13 il margine era sceso a 20": si poteva a quel punto vedere in filigrana il destino dei temporanei battistrada: sarebbero stati ripresi di lì a poco.

Sulla salita della Confederación, però, la risalita degli altri azzurri fino alle prime posizioni del gruppo (ancora un maestoso Bennati a portar su Aru, Nibali, anche un bravissimo Colbrelli, molto reattivo, e ancora un inesauribile Visconti), faceva ben sperare: l'azione della nostra testa di ponte De Marchi sarebbe stata presto annullata (era ormai inevitabile), ma avevamo altri uomini pronti a raccogliere il testimone dal Rosso di Buja.

Il gruppo, intendiamoci, restava abbastanza folto (il percorso, pur con la pioggia e la lunga distanza, non era troppo selettivo): 80 uomini circa ai piedi della salita, e gli spauracchi della vigilia ben presenti (tanto per dire: la presenza di un Degenkolb a ruota di Colbrelli non faceva certo star tranquilli), ma c'era ancora spazio per sparigliare. Il lavoro del Belgio lungo l'ascesa ha ridotto il plotone tagliando diversi rami ormai secchi, in cima i battistrada erano a un tiro di sguardo, e la successiva discesa non ha certo riallargato la forbice.

A fondo picchiata, sulla curva più insidiosa del percorso (quella che immetteva sulla diga), il colpo di genio della giornata: a 7 km dalla fine, la sparata di Kwiatkowski. Uscito come un proiettile dal gruppo, in un momento in cui nessuno se lo aspettava, il polacco ha chiuso in un attimo il gap sul quartetto di testa (a cui non rimanevano che 7" di margine), senza che altri provassero a mettergli il sale sulla coda.

Fatto un bel respiro profondo, giusto il tempo di riorganizzare le gambe, il Signor K. ai 6 km è ripartito di slancio: si era già sul Mirador, in pratica, e l'azione di Michal è stata tanto ficcante che solo Andersen e (con maggiore difficoltà) De Marchi hanno provato a resistere alla sua ruota; ma nel giro di 300 metri e di un paio di potenti rilanci, il polacco si è definitivamente liberato della compagnia dei due avversari.

Tempo per cincischiare, dietro, non ce n'era più. Bisognava agire e farlo in fretta, perché le caratteristiche del nuovo leader della corsa rendevano già sulla carta molto difficile annullare il suo attacco. A 5.2 km dalla fine, Nibali ha risalito posizioni portandosi alla propria ruota un Colbrelli quasi sorprendente: un'azione che diceva che ormai in casa azzurra si puntava alla volata col bresciano (il vincitore del Tour stava praticamente facendo da gregario a Sonny), e la conferma di tale pensiero è giunta subito, allorché Joaquim Rodríguez, ai 5.1 km, ha piazzato il suo scattino.

A questo punto ci si aspettava - sempre sulla carta - che Nibali si accodasse al catalano, ma ciò non è stato: tutta la drammatica situazione di vuoto nelle gambe del messinese si è palesata nel momento topico della corsa, insieme alla consapevolezza che le cose per la nazionale di Cassani si facevano difficilissime.

Nessuno degli azzurri aveva più la possibilità di reagire ai fuochi d'artificio esplosi in cima al Mirador: Rodríguez, dopo la sua avanguardia, è stato risucchiato, e in contropiede si sono sganciati Valverde, Gerrans, Gilbert (tre dei favoritissimi della vigilia), l'incredibile Breschel (che magari ti fa una stagione del tutto anonima, ma poi spesso al Mondiale si trasforma), e in seconda battuta anche Van Avermaet (Belgio al quadrato!) e Gallopin, rientrati in discesa sugli altri quattro.

Kwiatkowski aveva da difendere meno di 10", e Gilbert si è impegnato a fondo per inseguire (lavorando a beneficio di Van Avermaet); qualcosa è stato effettivamente limato, ma lo spazio fino al traguardo era ormai pochissimo, e il polacco aveva tutte le carte in regola per respingere il ritorno degli avversari. Tantopiù che tra questi, Gilbert a parte, nessuno ha voluto sprecare una stilla d'energia in più, nel terrore di favorire i colleghi: il problema per tutti era che, in tali condizioni, si lottava per il secondo posto.

I residui di Italia e Germania, poco più indietro, stavano intanto cercando di organizzare una tardiva rimonta (destinata a restare incompiuta), mentre Kwiatkowski, lucidissimo, si è gestito in maniera ottima e ha salvato tutto quel che gli serviva non solo per vincere, ma anche per esultare nelle ultime decine di metri, tagliando il traguardo ad andatura ridotta e permettendo agli immediati inseguitori di quasi riprenderlo in dirittura.

Ma tutto era ben calcolato, il polacco non ha avuto problemi beandosi di un successo che lo proietta a 24 anni sul tetto del mondo, e (cronometro beffardo) a solo 1" di distacco da lui è andata in scena la combattutissima volata per la piazza d'onore. Breschel l'ha presa lunga, tentando l'anticipo pur di portare a casa un podietto, ma Valverde ha voluto impegnarsi per chiudere sul danese; Gerrans, scafatissimo alla ruota di Alejandro, ha approfittato dell'azione del murciano e l'ha saltato all'ultimo momento, andando a cogliere un secondo posto che ha in sé tutto il rammarico di una vittoria sfuggita d'un niente (per quanto tempo, all'australiano, resterà il rimpianto? "Ah, se avessimo raggiunto Kwiatkowski!...").

Valverde, al cinquantesimo podio iridato (è un'iperbole... in realtà sono "solo" 6), ha fatto buon viso a cattivo gioco, Breschel (quarto) l'ha presa malissimo, e immediatamente alle sue spalle si è lasciato Van Avermaet e Gallopin, con Gilbert - leggermente sfilato nel finale - al settimo posto. A 7" da Kwiatkowski, Kristoff ha vinto la volata del gruppo davanti a Degenkolb (e anche il norvegese non avrà pochi rimpianti, nei prossimi giorni) e Bouhanni, decimo; Cancellara è rimasto fuori dalla top ten (11esimo), e anche Ben Swift ha preceduto il primo dei nostri, Colbrelli (13esimo), in un ordine d'arrivo sin troppo punitivo per la bella Italia che s'è vista praticamente fino a 5 km dalla fine.

È mancato, all'Italia, l'uomo del momento definitivo, quello che Cassani identificava in Diego Ulissi, o quel che avrebbe potuto essere il Nibali in stato di grazia visto al Tour; non ce la sentiamo di criticare la scelta dei tempi per le mosse azzurre (se Visconti si fosse risparmiato per l'ultimo giro... sì, magari, ma probabilmente se così fosse stato non avremmo avuto prima quel po' di necessaria selezione e ci saremmo ritrovati con 100 uomini a disputarsi la volata conclusiva).

In conclusione, un Mondiale non dei migliori, ma reso più incerto dalla pioggia caduta per lunghi tratti, dall'ottima prestazione di un'arrembante Italia negli ultimi 4 giri, e anche dall'assenza di un dominatore annunciato (anche se il favorito della vigilia era Gerrans, il quale avrebbe proprio vinto se non ci fosse stata la genialata di Kwia); e un Mondiale che si chiude col successo di una delle più grandi promesse del ciclismo, un ragazzo che a 24 anni tocca il primo apice di una carriera che - se le premesse sono quelle viste in questi ultimi due anni - avrà presto altri picchi.

Marco Grassi

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