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Mondiale in linea 2014: Cancellara e quelli che non ridono - Valverde podio di delusione. Rammarico Australia

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Fabian Cancellara, uno dei delusi del Mondiale di Ponferrada © Bettiniphoto

Nel momento in cui Michal Kwiatkowski ha tagliato quasi incredulo il traguardo di Ponferrada, al termine di un'azione tanto spettacolare quanto risolutiva che ne ha fatto il primo polacco campione del mondo della storia tra i professionisti, alle sue spalle si allungava una lunga scia di rammarico per i tanti che questo mondiale avrebbero voluto conquistarlo, su cui avevano riposto enormi speranze ma che invece l'han visto scivolare via. Proprio come Kwiatkowski dopo la "curva maledetta" sulla diga, proprio come Kwiatkowski giù dalla discesa del Mirador  e ormai troppo lontano per essere raggiunto, con quel passo ormai sicuro e trionfante sul rettilineo d'arrivo.

Pensi a Ponferrada ed inevitabilmente la mente va a coloro che questa rassegna iridata la affrontavano da padroni di casa, vale a dire quella Spagna per cui gli ultimi podi conquistati nelle recenti edizioni suonavano tutto tranne che consolatori, con una squadra in cui, peraltro, erano venute a crearsi nette divisioni all'interno dopo l'esito del mondiale fiorentino, con l'inizio della guerra fredda tra Valverde e Rodríguez (con la suddivisione che poteva comprendere anche i rispettivi blocchi, con netta predominanza Movistar, in seno alla nazionale) ed anche la rinuncia di Alberto Contador all'appuntamento iridato che ha indubbiamente fatto discutere (circuito poco adatto? Effettiva scarsa volontà di aiutare i due compagni-rivali? Il dibattito è aperto).

Alejandro Valverde su quel podio è riuscito a salirci ancora una volta, la sesta addirittura (nessuno come lui) ma con il rammarico di chi per l'ennesima volta deve occupare uno dei due gradini più bassi (per il murciano si tratta del quarto bronzo, oltre a due medaglie d'argento). Cosa imputare in questa occasione alla prima punta degli iberici, che aveva anche il grosso vantaggio di conoscere bene il tracciato, visto che nel giugno scorso vi si erano disputati i campionati nazionali spagnoli (e nell'occasione Valverde recitò perfettamente il suo compito, lasciando anche con diplomazia che a prendersi il titolo fosse il compagno di squadra Ion Izagirre, conscio che per lui la grande giornata sarebbe arrivata alla fine di settembre)? Al di là delle considerazioni croniche, che vogliono l'ex Embatido maestro di attendismo e di succhiata delle ruote altrui, è difficile operare un giudizio di mancata presa di responsabilità ed in questo grande merito va dato proprio al vincitore: l'azione di Kwiatkowski è nata infatti in un punto che può essere considerato inatteso, ovvero al culmine della discesa del Confederación e in prossimità della diga, con il falsopiano precedente il Mirador su cui occorrevano doti non indifferenti da passista per riuscire a guadagnare secondi nei confronti degli inseguitori.

Poteva quindi un Valverde entrare in azione proprio lì, considerando che poi avrebbe avuto nel Mirador un ideale trampolino per sparare il proprio colpo preferito? Difficile ipotizzarlo, tantopiù che nella nazionale spagnola pedine in grado di marcare stretto il polacco sulla carta c'erano (basti pensare a Dani Moreno o allo stesso Izagirre ad esempio). Lo scatto di Valverde pertanto è avvenuto proprio nel punto atteso, assieme a quello di Gerrans e di Van Avermaet che hanno contribuito a formare il gruppetto che avrebbe avuto l'arduo compito di contrastare Kwiatkowski già dai pochi chilometri di discesa a disposizione (e sappiamo bene che il murciano nell'ultima stagione ha cercato di costruire alcuni dei suoi successi proprio scattando con la strada in picchiata). Impresa che quindi non si è concretizzata, tantopiù che poi Valverde nello sprint valido ormai "solo" per la medaglia d'argento si è visto battuto da un Simon Gerrans che gli avrebbe reso la vita difficile anche se lo sforzo fosse valso per il titolo iridato, visto che Alejandro, pur mantenendo una certa competitività negli sprint ristretti, qualcosa finisce inevitabilmente per pagare da determinati avversari. Resta comunque il rammarico per un'ennesima occasione sfumata, che lascia gli iberici a secco da dieci anni esatti (ultimo successo ad opera di Freire a Verona 2004).

Se però l'obiettivo minimo (il podio) è stato raggiunto, non si può dire che la Spagna abbia corso questo mondiale nella maniera migliore possibile: quando nel corso dell'undicesimo giro infatti si è venuta a sviluppare un'azione comprendente corridori di tutto rispetto (i vari Boasson Hagen, Albasini, Visconti e Tony Martin giusto per citarne alcuni), la nazionale diretta da Mínguez ha optato per mandare in avanscoperta un Daniel Navarro non apparso propriamente appariscente (sul Mirador è sembrato in affanno), che poteva avere l'unico compito di sgravare gli iberici da un lavoro in testa al plotone, senza avere però un atleta in grado di incutere potenziale timore negli altri team nel caso il tentativo avesse raggiunto proporzioni realmente interessanti. Probabilmente spendere un Luis León Sánchez, un Izagirre o anche un Jesús Herrada in quel momento avrebbe potuto sortire effetti migliori, cosicché quando Navarro è stato riassorbito e successivamente è nata l'azione che ha coinvolto anche il nostro Alessandro De Marchi, gli spagnoli si sono visti per qualche chilometro in testa al gruppo, specialmente con un Castroviejo che ha fatto la sua degna figura. Per il resto tutto nelle mani di Valverde, visto che Daniel Moreno lo si è visto per un brevissimo lasso di tempo sul Mirador e Joaquim Rodríguez ha proposto un paio di scatti in diversi momenti (a quattro giri dalla conclusione, quando la gara ha iniziato ad animarsi, e proprio sull'ultimo Mirador), che però ci hanno mostrato un JRO non in grado di operare la dovuta differenza ma che quindi ha provato ad attaccare più per se stesso che per una reale utilità d'intenti.

Tra le formazioni da tenere particolarmente in considerazione per questo mondiale non si può tralasciare l'Australia, in grado di schierare tra le sue file due atleti in grado di lasciare il segno, vale a dire Simon Gerrans (vincitore della Liegi in primavera e uscito con una grandissima gamba tra Québec e Montréal) e Michael Matthews (che un mondiale da Under 23 l'aveva già vinto ed in stagione si era mostrato sempre più competitivo su determinati tracciati). In fin dei conti anche per gli oceanici è mancato poco per il raggiungimento completo dell'obiettivo, magari con qualcuno (Clarke, o anche un Cadel Evans all'ultima esperienza iridata, conclusa anzitempo) in grado d'intuire il pericolo portato da Kwiatkowski con la sua azione anticipata. Gerrans sull'ultimo passaggio sul Mirador è apparso pimpante e nella volata conclusiva ha fatto vedere di avere realmente la possibilità d'imporsi nel gruppo ristretto, per cui la medaglia d'argento va vista come una sorta di bicchiere mezzo pieno, tanto più che lo stesso Matthews (14esimo in conclusione) aveva poi la possibilità di giocare le proprie carte nello sprint a ranghi più numerosi. Probabilmente l'assenza di un corridore di peso nel momento in cui è venuta a svilupparsi l'azione del drappello comprendente Visconti e Giampaolo Caruso è una delle pecche da rimproverare a quest'Australia, che poi si è comunque presa le proprie responsabilità con una massiccia presenza in testa al gruppo per ricucire lo svantaggio, forte di una batteria di passisti non indifferente. È mancato poco quindi, come spesso accade ci si ricorda soprattutto dei vincitori e quindi l'argento di Gerrans suonerà come una grossa occasione mancata ma ciò non toglie che l'esperto corridore dell'Orica abbia disputato una stagione ad altissimi livelli, così come anche per Matthews le occasioni per riprovarci non mancheranno, magari già tra un anno a Richmond.

Chi invece su questo mondiale aveva investito molto se non tutta la seconda parte della propria stagione era Fabian Cancellara, che ha utilizzato come tanti altri protagonisti la Vuelta per rifinire la propria preparazione e che (consapevole ormai di avere in Tony Martin un osso molto duro da battere nelle prove contro il tempo) aveva addirittura rinunciato a prendere il via nella cronometro iridata per concentrare le proprie energie sulla prova in linea, nel tentativo di provare a conquistare quel titolo che ancora manca per coronare una carriera da straordinario cacciatore di classiche. A gara conclusa dobbiamo purtroppo affermare di conservare ben poche testimonianze tangibili della presenza del gigante bernese nell'arco di tutta la giornata, visto che la tanto sospirata (e temutissima) sparata da effettuare nei chilometri conclusivi non è arrivata e neanche si può parlare di un Kwiatkowski in grado di sorprenderlo, visto che Cancellara, con le sue proverbiali doti, sarebbe stato tra i pochissimi in grado di rientrare sul polacco nel finale. Semplicemente la gamba (affaticata forse anche dalla bagarre dei giri precedenti) non permetteva di tentare azioni di qualsiasi sorta, nonostante prima dell'ultimo strappo, Fabian sia stato pilotato da un Albasini su cui varrà la pena di spendere poche righe tra poco. In una simile situazione quindi a Fabian non è rimasto altro da fare se non accontentarsi di un piazzamento di rincalzo, giungendo quarto nello sprint del gruppo giunto a sette secondi (a conferma che in simili occasioni può dire la propria anche al cospetto della più rapida concorrenza) per un'undicesima posizione che sinceramente nulla aggiunge allo strepitoso palmarés del fuoriclasse elvetico, per il quale però l'occasione di Ponferrada poteva apparire come una di quelle irripetibili.

Inevitabilmente, con un simile leader a disposizione, ne è uscita fortemente condizionata anche la gara di un corridore come Michael Albasini, atleta esperto al punto giusto, scaltro quanto basta e che in diverse altre nazionali avrebbe probabilmente potuto vantare un ruolo da finalizzatore principe. Seppur va rimarcato il fatto che la Svizzera si presentasse al via con soli tre elementi, Albasini ha confermato l'ottima gamba mostrata nelle ultime settimane e che gli aveva permesso di vincere con grande esperienza anche una corsa come la Tre Valli Varesine. Il portacolori dell'Orica, nell'attesa del possibile sparo di Cancellara nelle battute conclusive, è stato pertanto utilizzato come possibile guastatore in un'azione pericolosa a tre giri dalla conclusione (l'ormai già citata avanscoperta del "gruppo Visconti") che però presupponeva un dispendio di energie notevole. In tal modo le possibilità di vedere protagonista nel finale il trentatreenne (cliente alquanto scomodo in una possibile volata ristretta) si sono ridotte parecchio, tantopiù che una volta rientrato nei ranghi è stato proprio lui a fungere da uomo-ombra di Cancellara, spendendo per lui le ultime residue energie. Che Albasini abbia disputato un mondiale di ottima fattura e sia stato per distacco il migliore del trio elvetico di scena a Ponferrada non vi è però alcun dubbio.

Proseguendo in un discorso che coinvolge i singoli, un altro dei possibili spauracchi del mondiale iberico era senz'altro Peter Sagan atteso al grande risultato dopo un Tour de France in cui alla riconferma della maglia verde non era seguita una ben più imporante (soprattutto a livello psicologico) conferma di almeno un successo di tappa. Tralasciando i discorsi circa la consistenza della nazionale slovacca (limitata, oltre allo stesso Sagan, ai due fratelli Velits) per poter supportare al meglio il fenomenale Peter nel finale, aveva fatto molto discutere l'avvicinamento all'appuntamento da lui prodotto nel corso della Vuelta: un Sagan nascosto, anche troppo secondo le abitudini, con appena un paio di piazzamenti (un terzo e un quarto posto) a precedere un ritiro anticipato che doveva far presagire una volontà di giungere a puntino per questo 28 settembre. Invece la condizione precaria, sbandierata alla vigilia della Vuelta stessa, pare essersi ulteriormente prolungata in queste settimane, dal momento che Sagan nell'appuntamento più atteso non è riuscito a lasciare la benché minima traccia, se è vero che sull'ultima ascesa non è riuscito a tenere le ruote del gruppo inseguitore e quindi a partecipare almeno alla volata per le posizioni di rincalzo, terminando con un malinconico 43esimo posto con un distacco di 42". 

Il dibattito sullo slovacco quindi si fa indubbiamente più acceso, considerando che a conquistare il titolo è stato proprio uno dei coscritti dello stesso Sagan (Kwiatkowski, nato appunto nel 1990), passato professionista tra grandi squilli di tromba e chiamato quindi a confermare con un successo pesantissimo la nomea di ragazzino prodigio dopo il bel curriculum sbandierato nelle categorie giovanili, dove proprio in Peter aveva avuto uno dei più tenaci contendenti. Il fatto che Michal sia riuscito a timbrare un successo così prestigioso mentre per Sagan il successo di grido in una classica continui a sfuggire nonostante i tantissimi piazzamenti non fa che aggiungere ulteriore pepe alla discussione e tira in ballo ulteriori aspetti come la preparazione effettuata o la consistenza dopo una determinata distanza percorsa anche per un atleta dal talento straordinario come il suo. Le occasioni comunque non mancheranno, visto che anche le prossime edizioni dell'appuntamento iridato dovrebbero strizzare l'occhio ad un corridore delle caratteristiche di Sagan. Arrivarci con un successo pesante già in cascina magari potrebbe fargli sentire meno quella che altrimenti rischierebbe di divenire un'ossessione.

A detta di molti il principale favorito per il tracciato di Ponferrada era John Degenkolb, giunto all'appuntamento dopo una Vuelta corsa da grandissimo protagonista con ben quattro successi di tappa ma con un qualche riserva dovuta ad un'infezione sviluppatasi nelle ultime giornate di corsa spagnola che però non è sembrata incidere più di tanto, osservando lo svolgimento della gara odierna, dove Degenkolb non ha mai perso le ruote del gruppo principale. La Germania riponeva pertanto in lui le principali speranze di podio e nel complesso può considerarsi una delle grandi deluse di questa giornata. Eppure qualche carta interessante i tedeschi, che si sono persino concessi il lusso di utilizzare un corridore come Greipel come passista in testa al plotone (perso però nel momento in cui l'Italia ha iniziato a movimentare sensibilmente le acque), avevano provato a giocarla, riuscendo ad inserire nell'azione a dodici del terz'ultimo giro un corridore come Simon Geschke che appariva tra i più adatti ad un simile percorso e quindi costituiva una valida alternativa da giocare.

Se quella di Geschke è apparsa una buona mossa, più enigmatica si è rivelata la scelta di inserire un fortissimo passista come Tony Martin nello stesso tentativo, con l'ex iridato a cronometro che poteva essere magari risparmiato nel finale per tornare utilissimo alla causa di Degenkolb qualora si fosse reso necesario il ricucire su un'azione in pieno svolgimento (come poi è accaduto). Il tentativo di numero solitario poi proposto dallo stesso, già provato in altre circostanze ma con il contesto inevitabilmente diverso, se quindi poteva apparire spettacolare a vedersi sicuramente poteva far correre il rischio di risultare poco produttivo per quello che poteva essere l'obiettivo del team, così come atleti come Martens o Voss potevano essere spesi al pari di Geschke in quel preciso contesto. Ne è conseguito che i teutonici nel finale si sono visti sfuggire di mano diversi tra i protagonisti attesi e si sono trovati nella condizione di affrontare con Degenkolb (apparso comunque con un ghigno sofferente negli ultimi passaggi in salita) uno sprint buono solo per le statistiche, dove il possente atleta della Giant si è visto anche anticipato da un diretto concorrente come Kristoff. In conclusione non si può dire che la formazione tedesca possa definirsi soddisfatta al termine di un mondiale come questo sul quale era riposta più di una speranza.

Gara dai due volti invece quella proposta dal Belgio, che a scelte tattiche felici ne ha alternate altre sicuramente meno buone: le note positive sono senz'altro quelle legate a Tim Wellens (corridore che si conferma come uno dei prospetti più interessanti proposti da questo 2014) e Sep Vanmarcke, capaci di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto (nell'azione a dodici a tre giri dalla conclusione) ma poi un altro uomo (uno tra Bakelants o Hermans, ad esempio) sarebbe stato utilissimo nel successivo tentativo a quattro che ha visto protagonista De Marchi per non costringere il team a cercare di chiudere in prima persona, cercando la collaborazione di altre formazioni. L'ultima ascesa al Mirador invece, dove Greg Van Avermaet è stato molto brillante e attento a replicare all'azione di Valverde e Gerrans lascia invece qualche dubbio in più: Van Avermaet doveva muoversi realmente in quel momento o piuttosto era Gilbert a dover tentare la stoccata, lasciando che poi fosse il compagno a tentare le proprie chanche in volata? Oppure doveva essere proprio lui a spendersi in quel momento per Gilbert, altro atleta capace di celare bene la propria condizione negli appuntamenti che precedevano il mondiale e che tra l'altro una maglia iridata l'ha già portata a casa? Il frangente è apparso quindi un po' confuso, salvo poi vedere un encomiabile Philippe Gilbert mettersi in testa al gruppetto per favorire il compagno e riuscire (visto che di collaborazione l'ex iridato ne ha trovata ben poca) nell'impresa di chiudere praticamente da solo il gap creatosi con Kwiatkowski.

Resta così il disappunto per aver piazzato due atleti nei primi dieci (Van Avermaet quinto, Gilbert settimo) ma a cui è sfuggito l'obiettivo minimo del podio. Giudizio negativo invece per un Tom Boonen che veniva dato in ottime condizioni di forma, tanto da poter aspirare ad un ruolo da leader al pari dei due compagni già citati, magari tirando fuori le proprie doti velocistiche che un'occasione importante come questo mondiale richiedeva. Purtroppo per Tommeke però il finale si è rivelato troppo ostico, tanto che lo abbiamo visto chiudere staccato a 1'05" da Kwiatkowski senza essere riuscito a lasciare quel segno che ci si sarebbe aspettati da lui. Di occasioni per rivincere quell'iride già conquistata proprio in Spagna nel 2005 non ne restano poi così tante ed è proprio per questo che ci si sarebbe aspettati qualcosa di più.

Ultima parte dedicata ad altri che per un motivo o per l'altro non sono riusciti a raggiungere l'obiettivo: piazzamenti di rincalzo per la Francia (Gallopin sesto, uno di coloro che avrebbe potuto seguire Kwiatkowski nel suo tentativo e Bouhanni decimo nella volata conclusiva) che forse avrebbe potuto spendere meglio qualcuno dei propri atleti (si pensi a Bardet e Barguil) e che ha visto Gautier dare ben poco impulso al tentativo proposto da De Marchi ma che comunque, non partendo da una posizione di primissimo piano può comunque accontentarsi dei risultati raggiunti, pensando che nelle prossime edizioni i transalpini potranno comunque recitare un ruolo da protagonisti. Top ten raggiunta anche da Alexander Kristoff, capitano di una Norvegia al via con soli tre elementi e capace d'inserire in un'azione interessante un corridore come Boasson Hagen, che nonostante perduri in un periodo di carriera non troppo esaltante può comunque creare un certo timore in un determinato contesto mentre dalla top-ten mondiale è rimasta esclusa la Gran Bretagna, che confidava soprattutto in un grande sprint di Ben Swift (dodicesimo) ed è riuscita, per lo meno, a fare vedere un Peter Kennaugh in bella evidenza nell'azione a dodici sviluppatasi a meno tre giri dalla conclusione (nessuna traccia invece di Thomas o Froome).

Scende così il sipario su Ponferrada, con Kwiatkowski sorridente ed emozionato sul podio e tanti altri per i quali la grande occasione è inevitabilmente rimandata. O forse irrimediabilmente sfumata.

Vivian Ghianni

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