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DéTour 2014: L'urlo di Cheng o Lanterne rosse? - Storia di Ji, primo e ultimo cinese al Tour

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Cheng Ji, primo cinese al Tour, ultimo della classifica © BettiniphotoQualcuno sui social network l'ha già associato a uno dei più bei film cinesi: Lanterne rosse. La lanterne rouge è, nel linguaggio da adepti del Tour de France, l'equivalente della maglia nera della corsa. L'ultimo classificato, tanto per intenderci. E siccome quest'anno l'ambìto titolo verrà conquistato per l'appunto da un cinese, Cheng Ji, l'associazione con la celebre opera di Zhang Yimou è sacrosanta.

Ma per dirla tutta, ci sarebbero gli estremi per associare Ji anche a una pellicola di tutt'altro tipo: chi potrebbe obiettare alcunché se oggi affermassimo che L'urlo di Chen(g) terrorizza l'Occidente? Elencare i meriti dell'atleta nato meno di 27 anni fa a Harbin è esercizio doveroso e illuminante: primo cinese della storia a partecipare al Tour de France, Cheng è il pioniere di un possibile sviluppo del ciclismo. Prima o poi un suo connazionale arriverà a vincerlo, il Tour, e allora ci si ricorderà di questo oscuro lavoratore da gruppo lanciato che aprì la strada, iniziando a porre interrogativi (visto che in Cina il cognome precede il nome, è giusto europeizzare il tutto? Dovremmo dire Cheng Ji o piuttosto Ji Cheng? Son problemi), scatenando grandi curiosità intorno alla propria figura, stabilendo un record che non verrà più battuto (se sei il primo a fare una cosa, o qualcuno inventa la macchina del tempo per precederti, oppure resterai il primo per l'eternità), riuscendo addirittura nel paradosso di essere il primo e ultimo in un colpo solo: primo a partecipare, ultimo a classificarsi.

In ogni caso (e tanto per sottolineare), Cheng il Tour l'ha portato a termine - se oggi non incappa in scongiurabili intoppi - e ciò non è da tutti: meglio lui di altri 34, ovvero i ritirati dalla Grande Boucle. Ha fatto la sua porca parte nelle fila della Giant, una squadra costruita intorno a Marcel Kittel, capitano per il quale è stato necessario tirare a lungo in pianura, per tirargli le volate e prima ancora per annullare questa o quella fuga. Ecco, la postazione di lavoro del cinese è stata proprio quest'ultima: lo chiamano "il killer delle fughe" perché è uno che quando si mette a trainare il gruppo non conosce soste. Le sue lunghe sessioni al comando del plotone, nella prima metà di Boucle, fanno parte a pieno titolo del novero delle immagini della corsa gialla, insieme alle vittorie di Nibali e alle delusioni di Sagan.

Dopodiché, se uno lavora e fa quello per cui è pagato, è poi anche comprensibile staccare la spina nel finale delle tappe e conseguentemente chiudere in fondo agli ordini d'arrivo. Nulla di male. Del resto parliamo di un professionista che è attivo sin dal 2007 nel team che oggi è la Giant, ma che fu Skil-Shimano e poi Argos: insomma, un veterano della formazione olandese, Cheng, giunto quest'anno alla consacrazione del Tour.

Ha dominato la classifica al contrario, ha rischiato di mettere insieme 6 ore di ritardo (potrebbe ancora riuscirci, in realtà, ma l'ultima tappa non si presta troppo a fare grossi distacchi...), evento che non avveniva dal 1955 (quando l'inglese Tony Hoar pagò 6h06'01" a Louison Bobet), per ora si è fermato a 5h53'23", risultato comunque di tutto rispetto.

Se andiamo a dare un'occhiata ai suoi piazzamenti, il migliore è un 145esimo posto (ottenuto a Bagnères-de-Luchon), e il suo piazzamento medio nelle 20 tappe è il 171esimo posto (ovvero, addirittura più alto del numero di corridori che andranno a terminare il Tour, 164!). In totale nelle 20 frazioni se n'è messi dietro 179, 4 volte è stato ultimo, 3 volte terz'ultimo, 12 volte è stato negli ultimi 10. Insomma, un Tour de France inversamente mostruoso, dominato con distacchi abissali inflitti agli avversari per la maglia nera (Davide Cimolai ed Elia Viviani, penultimo e terz'ultimo, "pagano" al cinese rispettivamente 41'01" e 42'28", mentre il suo capitano Kittel è quart'ultimo a 46'32"): se non ci fosse stato Cheng sarebbe stata una lotta incertissima fino alla fine, ma lui ha dimostrato sin dall'inizio di essere di un altro pianeta.

E se nel ciclismo la Cina è apparentemente ancora lontana (dai massimi livelli), le tre settimane al Tour di Cheng Ji, fatte di pazienza e fatica, denti stretti (a volte intorno a un coltello) e sudore, ci dicono che forse è già più vicina di quanto non immaginiamo.

Marco Grassi

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