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Tour de France 2014: Semplicemente stratosferico! - Nibali dà spettacolo sul pavé e guadagna su tutti i rivali di classifica

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È tutto vero: Vincenzo Nibali guida sul pavé davanti a Fabian Cancellara! © Bettiniphoto

Di cosa stiamo parlando, cari signori? Quando un corridore si mette nel taschino tutti gli avversari, in un giorno difficile a livello ambientale e ancor più complicato per quel che riguarda la guidabilità, e lo fa con la più grande naturalezza, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, schivando tutte le insidie che la strada infida gli ha disseminato davanti, e procedendo per dispersione dei rivali di classifica fino al traguardo e a una leadership quantomai rafforzata, c'è solo da alzare le braccia, in segno di amichevole resa, e mettere da parte ogni argomentazione.

Sono inutili, oggi, le argomentazioni. Non occorrono. Non occorre argomentare per spiegare che la luce è luminosa, che l'acqua è bagnata o che il fuoco scalda: lo si capisce senza bisogno di teorie, talmente è evidente a livello sensoriale. Non vorremmo esagerare, nel definire quanto realizzato oggi da Vincenzo Nibali (non l'avevamo ancora nominato?), ma è necessario far notare che il modo sublime con cui ha guidato la sua bici nella quinta tappa del Tour de France, quella del famigerato pavé, ha fatto capire a tutto il mondo, e senza più tema di smentita, che il corridore e il suo mezzo sono una cosa sola. E che in questa crasi c'è probabilmente più classe cristallina di quanto in molti fossero disposti ad ammettere. Disposti fino ad ora, perché da qui, da Arenberg, le cose cambiano.

Vincenzo Nibali è arrivato al Tour de France vestendo i panni dell'outsider. Al cospetto di due avversari spaventosi come Chris Froome e Alberto Contador, si pensava che il siciliano, dal basso del suo 2014 fin qui quasi fallimentare, e di un palmarès che conta "soltanto" un Giro e una Vuelta, più altri podi nei GT (compreso il Tour) e nelle classiche monumento, avrebbe faticato a tenere il ritmo dei rivali più accreditati. Si diceva che si sarebbe dovuto orientare a lavorare per un posto sul podio, magari sul gradino più basso, guardandosi dai vari Van den Broeck, Valverde, Talansky, Van Garderen, Mollema, Kwiatkowski, più che pensare di intimorire i due favoriti.

Già domenica, nella seconda tappa, a Sheffield, in capo a un percorso disseminato di côte e salitelle (e anche bagnato da qualche goccia di pioggia), le cose sono parzialmente cambiate, a livello di percezione: la sparata con cui ai 2 km ha sorpreso tutti, andando a prendersi tappa e maglia gialla, ha fatto capire che l'outsider in questione non avrebbe lasciato nulla di intentato per far scottare il terreno sotto ai piedi degli altri big. Il concetto di attaccare ogni volta che sia possibile, su terreni insidiosi e magari indigesti per gli avversari, anziché aspettare le grandi salite dove magari qualcun altro potrebbe essere superiore, è stato subito attuato, e poi rivendicato con forza: la strada da battere era proprio quella, affondare il colpo anche su terreni solitamente scevri da lotta tra i big.

Per mettere in pratica questo piano ci vuole grande personalità, e se qualcuno non conosceva quella di Vincenzo, ha potuto comodamente colmare la lacuna in questi ultimi giorni. Nella vittoria di Sheffield, ma anche nel modo autorevole di portare la maglia gialla nelle due tappe successive, usando della squadra quando era necessario, non perdendo mai d'occhio le prime posizioni del gruppo, non concedendosi distrazione alcuna. Un modo di mettere pressione agli avversari, magari di indurli all'errore.

Non diremo che Froome ieri abbia sbagliato (cadendo in un tratto in cui non sarebbe mai dovuto cadere) perché sentiva in quel particolare momento l'ansia da prestazione nei confronti dello Squalo; ma che un livello di concentrazione generale (da cui dipende anche la capacità di evitare - per quanto possibile - capitomboli) possa essere minato dal nascere di nuove preoccupazioni, questo nessuno lo può negare; né si può negare che il prendere atto di dover controllare da vicino non solo Contador, ma anche Nibali, sia stata per il campione uscente della Boucle una preoccupazione tutta nuova.

Quanto alle cadute di Chris oggi (ben due, prima ancora che si arrivasse al pavé), sta circolando la voce secondo cui il britannico della Sky sarebbe partito da Ypres con un polso fratturato, e quindi se ciò sarà confermato potremo pure stralciare il suo inatteso ritiro dall'elenco delle vittorie ottenute oggi da Vincenzo. Senza che però questo dato infici minimamente quel che il campione nazionale italiano ha fatto sulle pietre della Roubaix che caratterizzavano il finale della frazione.

Vincenzo ha letteralmente volato, su quel pavé. Senza aver mai disputato una Parigi-Roubaix in carriera (ma ora ci aspettiamo che da qui in avanti la regina delle classiche diventi un suo appuntamento fisso!), si è ritrovato come un animale selvatico nel proprio elemento naturale, lasciandosi guidare dall'istinto ancor prima che da un'attenzione certosina a tutti i risvolti minacciosi di quel percorso infame. Ha rischiato più e più volte di cadere, ma mentre i suoi avversari sono andati giù, oppure si son dovuti autoridurre la velocità di crociera per non osare troppo, lui è uscito sempre più fortificato da ogni intoppo.

Come quando ha preso in pieno una buca piena d'acqua, nel settore 8 (ovvero il secondo in ordine di percorrenza), quello di Pont-Thibault. O quando, ai -37, sull'asfalto in curva, gli è caduto immediatamente davanti il compagno Gruzdev, e lui è riuscito a evitarlo, passando in un centimetro tra il kazako e il marciapiede, e continuando la sua azione quasi senza batter ciglio. Ha sentito la strada, ha sentito l'ambiente, ha empatizzato con tutto quello che accadeva intorno a sé, si è considerato una parte del tutto, si è insomma calato alla perfezione in questa piccola Roubaix, e ne è uscito trionfatore.

Non perché abbia vinto la tappa: in fondo in un grande giro questo può essere quasi il meno. Ma perché ha distanziato tutti, proprio tutti gli uomini di classifica, ad eccezione del compagno Fuglsang, che gli è stato prezioso scudiero e che chissà se resisterà fino alla fine alla tentazione di agire in autonomia per inseguire la propria gloria, smettendo i panni del gregario di lusso.

Già dal primo dei 7 settori (9 in origine, poi due sono stati tagliati dall'organizzazione prima del via perché le condizioni del terreno di gara sconsigliavano il passaggio della carovana) Nibali ha fatto capire che lui con quelle pietre avrebbe avuto un feeling particolare. Sul secondo settore lui è entrato tra i primi, Contador tra gli ultimi, e il porfido bagnato ha fatto il resto, facilitando un frazionamento del gruppo, e davanti son rimasti quelli che hanno interpretato meglio la corsa, dietro quelli che l'hanno sofferta.

Mancavano in quel momento 50 km alla fine, e la giornata prendeva già una piega ben definita: Valverde e Van Garderen si erano già staccati una volta, ritardati da una caduta ai -70, e per loro il massimo dell'ambizione era a quel punto rimanere col gruppo Contador. Circondato dai suoi Tinkoff (su tutti un bravissimo Bennati), il madrileno da lì in avanti ha dovuto pensare solo a salvare il salvabile. Nibali, al contrario, condivideva i respiri, gli schizzi, le derapate, la sofferenza potente e promettente con gente che risponde al nome di Fabian Cancellara, Sep Vanmarcke, Peter Sagan, Lars Boom, e mettiamoci dentro pure Matteo Trentin, Jens Keukeleire, Michal Kwiatkowski, tutta gente che il pavé lo mastica tra il bene e il benissimo.

Alla prima esperienza, il siciliano si è immediatamente ritagliato un ruolo da protagonista in mezzo a corridori che da anni non masticano altro che Fiandre e Roubaix. Un fuoriclasse. C'è un'altra definizione?

Con l'aiuto di un'Astana oggi splendida (Westra, in fuga dal mattino, è stato fermato al momento giusto - ai -35 - per dare una mano al suo capitano nei settori decisivi di pavé; oltre a lui, il già citato Fuglsang, e poi Gruzdev e Iglinskiy, purtroppo caduti entrambi ai -37 (quando Nibali s'è salvato per "miracolo"), ma fin lì utilissimi alla causa.

Anche quando la coppia Belkin formata da Boom e Vanmarcke ha forzato sul settore 6 (quello di Bersée, il quint'ultimo), Nibali non ha pensato di lasciare andare gli attaccanti, ma con puntiglio li ha inseguiti, con l'aiuto dei suoi compagni e sapendo sfruttare anche le trenate dei numerosi Omega Pharma lì presenti (anche Renshaw, oltre a Trentin e Kwiatkowski, e a quel Tony Martin anche lui in fuga ma destinato ad essere ripreso ai -28). Sullo stesso settore, intanto, Van den Broeck e Talansky (già un po' in sofferenza sui settori precedenti ma comunque riusciti a rimanere agganciati) cadevano malamente, ritrovandosi ad inseguire come tutti gli altri uomini di classifica.

Ancora grandissimo, in un gruppo di circa 15 unità rimasto al comando della corsa, Nibali sul settore numero 4 (il quart'ultimo), a Tilloy, ha tenuto a bada le idee bellicose di Boom e Sagan, che avevano allungato con Kwiatkowski e Fuglsang, curandosi che non prendessero troppo margine e non disdegnando di inseguire in prima persona. Quando sul successivo settore 3 (da Brillon a Warlaing, ai -20) anche Westra gli ha dato una sostanziosa mano, il gap è stato colmato. Intanto, particolare non secondario, il vantaggio sul drappello Contador-Valverde si faceva via via più pesante, arrivando a lambire i 2'.

Sul settore 2, a Wandignies, il più lungo della giornata (quasi 4 km!), l'apoteosi Astana: mentre Kwiatkowski forava e gli Omega si disperdevano, il terzetto del team kazako prendeva il largo, guadagnando terreno su tutti gli ormai esausti superstiti. Non Cancellara, non Sagan sono riusciti a riportarsi sotto; il solo Lars Boom ha avuto la forza d rientrare sugli indiavolati Westra-Fuglsang-Nibali, e ciò gli è valso il buon diritto di andare a vincersi la sua brava tappetta.

Nibali, disinteressato ovviamente agli onori parziali (avendo peraltro già avuto quelli di Sheffield), aveva a cuore solo una cosa: continuare a guadagnare il più possibile. Westra ha dato l'anima e si è poi rialzato a 9 km dal traguardo. Jakob, Vincenzo e Lars hanno continuato a girare in buon accordo per un paio di chilometri ancora, poi Boom se ne è andato sull'ultimo tratto in pavé e a Nibali non è rimasto altro da fare che dividersi con Fuglsang il compito di non abbassare comunque il ritmo.

Non nascondiamo che comunque un sospiro di sollievo l'abbiamo tirato, quando, ai 5 km, il pavé è finito e con esso si sono decurtate di molto le possibilità di qualche intoppo. Arrivare al traguardo con 5" di distacco da Boom (quello che è stato a lungo tenuto dal duo Astana) o con 19" (quello che è stato pagato alla fine) non conta più di tanto. Quel che conta sono i minuti guadagnati su tutti gli altri: 49" su Kwiatkowski; 1'43" su Van den Broeck; 1'52" su Porte (nuovo capitano Sky, aiutato da un magistrale Geraint Thomas a recuperare qualcosa nel finale, in particolare rispetto a Contador-Valverde); 2'03" su Talansky; 2'09" su Pinot, Rui Costa, Valverde, Van Garderen; 2'25" su Mollema; 2'35" su Contador. Questi sono i dati di un'affermazione totale.

Un'affermazione che si riverbera in una classifica generale che abbiamo quasi paura di guardare, da quanto è incredibilmente bella. Siamo appena al quinto giorno di Tour de France. Non abbiamo ancora incontrato una salita vera, e può ancora succedere di tutto, in un senso o nell'altro. Non festeggiamo troppo presto, quindi. Ma caspita, quante firme ci avremmo messo, alla vigilia, per ritrovarci oggi mercoledì 9 luglio a commentare quel che stiamo qui commentando?

Marco Grassi

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