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Giro d'Italia 2014: Caso safety moto, stiamo con Vegni - L'errore è stato tutto dei direttori sportivi

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Rigoberto Urán alle prese con una mantellina in cima al Passo dello Stelvio @Bettiniphoto

La polemica è tra le più roventi che si ricordino al Giro. Roba che qui c'è qualcuno che arriva a minacciare le vie legali per quanto successo nella Ponte di Legno-Val Martello. Parliamo ad esempio di Patrick Lefévère, grande capo della Omega Pharma di Rigoberto Urán, ex leader della classifica che oggi ha ceduto la maglia rosa al connazionale Nairo Quintana.

Cosa è successo? Tanto per cominciare, contestualizziamo gli eventi. Ci troviamo in un ciclismo che, sul filo (anzi, sul wi-fi) rovente di Twitter, scopre nuovi modi di farsi massa critica. Ad esempio, quando c'è una minaccia di maltempo, il tam tam sul social network per eccellenza dei corridori si fa insistente: vengono postati grafici di isobare, previsioni del tempo, iniziano i mugugni, qualcuno raccomanda l'anima ai santi, e tutto questo si tramuta in un certo livello di pressione su chi ha la responsabilità organizzativa.

Su Mauro Vegni, insomma: ovvero su chi deve comunque tenere insieme le necessità dei corridori e le esigenze di chi ha pagato per avere una tappa e a cui non si può, per il secondo anno consecutivo, troncare lo spettacolo. (Sì, parliamo apertamente di quello che è: spettacolo, almeno dal punto di vista di chi organizza, e quindi investe e prevede un ritorno economico). Posto che la sicurezza delle strade interessate dal passaggio su Gavia e Stelvio era garantita, come confermato dagli ultimissimi sopralluoghi fatti in mattinata, e che la corsa aveva il permesso di transitare sulle vette più alte, è stato deciso che la tappa si sarebbe fatta.

Discussioni finite? Neanche per idea, perché comunque i mugugni sono continuati fino alla partenza da Ponte di Legno, e non è pensabile che non abbiano ulteriormente appesantito il carico di responsabilità che Vegni e i suoi già sentivano addosso. È in quest'ottica che leggiamo la non felicissima decisione di inserire le già ribattezzate "safety moto" sulla discesa dello Stelvio: siccome il meteo non ha proprio dato una mano, oggi, sulla Cima Coppi del Giro il gruppo ha trovato tanta neve.

L'organizzazione si è così sentita in dovere di attuare un'ulteriore misura di sicurezza, annunciando via radio che nei primi chilometri della discesa, quelli con la neve e quindi teoricamente più pericolosi, i vari gruppi dei corridori sarebbero stati preceduti da moto con bandiera rossa alzata a indicare le traiettorie e a evitare (è stato usato proprio questo verbo) attacchi nei vari gruppi.

Molti direttori sportivi hanno interpretato questo messaggio come un "la discesa sarà neutralizzata". Ma l'audio della comunicazione parla chiaramente e taglia la testa al toro: «Comunicazione di servizio ai vari direttori sportivi: la Direzione di organizzazione ha previsto di inserire davanti ai gruppi di testa dei corridori, IN BASE ALLA SITUAZIONE CHE SI VERRÀ A CREARE CHIARAMENTE DOPO LO SCOLLINAMENTO, dicevo, di inserire davanti ai vari gruppi delle moto dell'organizzazione con la bandiera rossa alzata. Tutto ciò per evitare che ci siano degli attacchi in discesa, quindi far sì che i corridori siano un attimino fermi nelle loro posizioni ed evitare di prendere dei grossi rischi e rimanere dunque in quella situazione finché gli addetti alla sicurezza non abbasseranno la bandierina rossa».

Quindi, se allo scollinamento qualcuno si ferma, non può protestare con chi non s'è fermato (e quello che è successo con Quintana è proprio questo: Nairo, con Rolland, Hesjedal, Rabottini, Izagirre e Sicard, non s'è fermato in cima: ovvio, visto che nessuno aveva ordinato a nessuno di fermarsi in cima). La comunicazione non fa menzione di neutralizzazioni, e ci sono delle immagini che dimostrano che, conformemente a quanto comunicato dall'organizzazione, anche il drappello Quintana è stato preceduto per qualche chilometro dalla moto con la bandiera, ricevendo quindi lo stesso trattamento del drappello Urán.

Ricapitolando: se tra lo scollinamento e l'inserimento delle moto si è creato un minuto di distacco tra i due drappelli, non era scritto da nessuna parte che quelli che quel minuto l'avevano guadagnato si dovessero fermare per aspettare gli altri. E ciò è financo nella logica delle cose, perché è chiaro che sarebbe stato impossibile, a gara in corso, fermare questi e non quelli, e far ripartire tutti dalle posizioni tenute in cima (e se qualcuno si fosse staccato in discesa, e avesse perso un minuto? Lo si aspettava? E per far ciò si doveva fermare pure Cataldo che in quel momento era in testa da solo?). La logica oggi però non ha albergato in alcune ammiraglie, ma questo è un problema di chi quelle ammiraglie le guida e le rappresenta.

Nessuno avrebbe impedito alle varie AG2R, Trek, Astana, BMC, Omega Pharma, Tinkoff, di tirare alla morte, dopo l'uscita di scena delle "safety moto", per riprendere Quintana. Non avevano i gregari per farlo? La lotta poteva essere condotta in un testa a testa tra i capitani. Addirittura però la AG2R, avendo Vuillermoz e Dupont davanti, non li ha fermati per metterli al servizio di Pozzovivo e del gruppo inseguitore. Insomma, di che stiamo parlando? Ma veramente qualcuno nel gruppo della maglia rosa pensava che prima o poi Quintana, Rolland ed Hesjedal sarebbero stati fermati? Quindi gli stimabili direttori sportivi che in queste ore stanno alzando la voce, si assumano la responsabilità di un errore che è solo loro.

Tutto ciò, comunque, non sarebbe accaduto se non ci fosse stato il clima di pressione di cui parlavamo all'inizio. Si sarebbe lasciato ai corridori (i quali, si assume, son dei professionisti) il compito di gestire la discesa dallo Stelvio, ognuno secondo la propria sensibilità e condizione, e si sarebbero evitati pericolosi equivoci.

Perché, c'è da starne certi, non finirà qui: già a tappa in corso s'è scatenato un profluvio di commenti al fulmicotone nei confronti dell'organizzazione (i corridori che guardavano la corsa in tv non hanno lesinato tweet di biasimo); dopodiché è stato il turno di quelli - paraltro tutti da elogiare, sportivamente parlando, dal primo all'ultimo - che la tappa l'hanno corsa. Irriferibili alcuni epiteti.

Ma questo è normale, da che mondo e mondo c'è sempre stata maretta, tra i corridori, dopo una tappa particolarmente complicata. Solo che un tempo ci si limitava a berciare in hotel, la sera, oggi ogni lamentela viene esibita al mondo, e quindi tutto sembra sempre più psicodrammatico. Anche condizioni atmosferiche certo difficilissime, ma già affrontate molte altre volte in passato, senza tutte queste levate di scudi. Pochi chilometri sotto la neve a 0°C non sono certo da augurare né da auspicare, ma talvolta - ce lo dice la storia del ciclismo - può succedere di incapparci, su uno Stelvio o su un Gavia.

Se non riuscite a mettere in conto una banalità del genere (e non provate quindi - al limite - a prendere provvedimenti per tempo), cari corridori, potrete twittare quanto vi pare, ma non riuscirete a convincerci che questo tipo di prese di posizione sia almeno minimamente logico. Quanto al capire quanto gli appassionati amino anche questo tipo di sfide, ogni tanto (non certo ogni giorno), è un'impresa che sembra veramente fuori dalla portata di molti, in gruppo. Eppure basterebbe ricordarsi che togliere del tutto l'epica dal ciclismo (e quindi anche il freddo, lo Stelvio, la neve) significherebbe neutralizzare ulteriormente uno sport che invece avrebbe bisogno di un grande rilancio spettacolare. Per questo stasera stiamo con Quintana e con l'organizzazione, e con tutti i tifosi che da oggi hanno, nei loro ricordi, un'altra giornata memorabile da andare ogni tanto a visitare col pensiero.

Marco Grassi

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