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Giro d'Italia 2014: Se la fuga diventa una partita a scacchi - Gli attaccanti ormai si sono fatti più furbi

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L'arrivo di Rivarolo con Marco Canola davanti a Jackson Rodríguez e Angelo Tulik © Bettiniphoto

Scorrendo rapidamente le cronache degli ultimi anni di ciclismo, siamo risaliti alla stagione in cui ha fatto la sua comparsa una nuova maniera di intendere la fuga da lontano. Accadde nel 2008, non riusciamo ancora a focalizzare la "fuga 0" della "nuova era", ma di fatto in quella stagione qualcuno capì che bisognava cambiare il modo di andare in fuga.

Fino a quell'anno, l'uso era che si partiva all'attacco pancia a terra, si dava tutto nei primi chilometri dell'azione al fine di mettere insieme quanti più minuti possibile, e poi si cercava di difendere quel bottino con le energie residue negli ultimi chilometri. Il problema è che in questo modo bisognava sostanzialmente fare affidamento su un giorno di vacanza (o di calcoli sbagliati) da parte del gruppo per avere successo nella propria azione da lontano.

Oggi invece succede che si va in fuga, si prende il proprio fisiologico margine, ma poi si evita di dar subito fondo a tutto quello che si ha tentando di incrementare tale margine. Meglio tenersi delle energie da parte per poter spingere a tutta nel finale di gara, quando si accende l'inevitabile testa a testra tra chi scappa e chi insegue: ovviamente se si spende tutto nella fase "ascendente" della fuga, si è destinati a perdere inesorabilmente nei confronti del gruppo lanciato; se invece alla fine c'è ancora qualcosa da dare, il confronto tra attaccanti e plotone può riservare dei colpi di scena, in una partita a scacchi che dà sempre molto intrigo alle tappe che si sviluppano in questo modo.

Nella 13esima tappa del Giro, da Fossano a Rivarolo Canavese, è successa proprio una cosa del genere: il sestetto in fuga dall'inizio della frazione (composto da Marco Canola, Maxim Belkov, Jeffry Romero, Angelo Tulik, Jackson Rodríguez e Gert Dockx) ha avuto sempre un margine molto basso sul gruppo. Per lunghi chilometri il vantaggio è stato inferiore ai tre minuti, potremmo anzi dire di poco superiore ai due. Solo in zona rifornimento il plotone ha un po' mollato (visto che ci si aspettava pioggia nel finale, c'è stata anche una lunga fase di vestizione delle mantelline), ma non più di tanto, visto che i sei al comando non hanno mai avuto più di 3'38" di margine.

Ma a quel punto, ecco che la gran riserva tenuta da parte è stata attivata dai sei, o almeno da alcuni di essi (in particolare Canola, Tulik e Rodríguez); quando il gruppo s'è accorto che nei 15 km successivi al Gpm di Rivara non è riuscito a limare più di 30" ai fuggitivi (che avevano ancora 1'40" a 16 km dal traguardo), qualcosa si è interrotto: la FDJ di Bouhanni, che fin lì si era impegnata a fondo per chiudere sulla fuga, si è improvvisamente fatta da parte, chiedendo che fossero altre squadre a sobbarcarsi la finalizzazione dell'inseguimento.

La partita a scacchi è diventata quindi doppia: da un lato il gioco delle risorse fisiche tenute da parte e spese al momento opportuno da parte dei fuggitivi; dall'altra, lo scontro ideologico tra squadre dei velocisti ("Lavorate anche voi se volete arrivare in volata"; "Non se ne parla, continuate a tirare voi che avete lo sprinter più forte"). In questo contesto, il gruppetto dei sei si è rotto proprio ai -16, con Canola che ha ispirato una scrematura, tirandosi dietro Tulik e Rodríguez. E a quel punto è stato chiaro che, tra lepri e cacciatori, stavolta avrebbero avuto ragione le lepri.

Canola era chiaramente il più in palla tra i sopravvissuti dell'attacco, e ha prima tentato di attaccare da solo ai -3, quindi ha comunque vinto di forza una volata che non poteva permettersi di perdere (visto che era il più veloce del terzetto). Tutto bene quel che finì bene. E appuntamento alla prossima fuga: che si vada di alfiere o di torre, sarà sempre un piacere seguire la partita.

Marco Grassi

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