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Tour of California 2014: Wiggins fa paura. E Dennis cresce - Ma questa corsa non corre più come un tempo...

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Rohan Dennis e Bradley Wiggins, secondo e primo del Tour of California 2014 © TeamSky.comTour of California, ottimo esempio del ciclismo schizofrenico degli anni 2000. Una corsa che avrebbe la possibilità di evolversi in qualcosa di realmente interessante, un punto di riferimento, un fiore all'occhiello per il movimento ciclistico americano. Partita con fanfare nel 2006, sponsorizzatissima (sin nella denominazione) dalla Amgen, azienda farmaceutica, la gara californiana è andata in crescendo nei primi anni, richiamando una partecipazione sempre più qualificata, rispetto al campionato statunitense delle Continental che era alle origini.

Nel 2010, dettata da ragioni climatiche, la svolta che ancora oggi informa l'esistenza del TOC: il trasferimento della data di svolgimento, da febbraio a maggio, in piena concorrenza col Giro d'Italia. Ora, al termine della quinta edizione maggiolina (conclusasi ieri), possiamo dire che quel volo spesso preconizzato, il Giro della California non l'ha più spiccato. Il livello delle startlist in queste ultimissime edizioni è rimasto a distanze siderali rispetto al concomitante Giro, malgrado la presenza di alcuni fuoriclasse. E anche tra le motivazioni di chi corre il Giro e chi partecipa al California non sono minimamente paragonabili.

Ma tutto ciò è addirittura ovvio, visto che parliamo di ordini di grandezza del tutto distinti e distanti. Non così ovvio però dalle parti dell'UCI, che fatica ancora a capire che programmando due eventi simili in contemporanea ci perdono entrambi; se ciò avviene invece tra due eventi già lontani in partenza, si rischia di mandare il più piccolo al massacro, depauperandone i contenuti tecnici nel giro di pochi anni. Confrontando l'ambizioso Tour of California con il Tour del Colorado, partito a fari spenti nel 2011 e oggi in piena ascesa. C'è di particolare che quest'ultima gara ha una collocazione ottimale, in agosto, e si sfiora solo (ma non si sovrappone) con la Vuelta a España.

Inoltre, dopo il Tour of Colorado ci sono altre interessanti gare (in linea), di qua e di là dall'Atlantico, quindi un corridore che partecipi alla corsa americana può costruirsi un calendario interessante pur dribblando la Vuelta; intorno al California invece c'è il deserto: come la mettiamo? La paura è che non appena la Amgen dovesse decidere di disinvestire sulla gara, questa potrebbe implodere.

Nel frattempo, l'edizione 2014 l'abbiamo comunque seguita e in qualche misura apprezzata. Bello che abbia vinto Bradley Wiggins, che così rilancia le proprie ambizioni in vista del Tour de France: ma Chris Froome, capitano e plenipotenziario della Sky vorrà "tra i piedi" un compagno tanto ingombrante? No, perché se da un lato il Sir potrebbe risultare molto prezioso per l'anglokenyano, non è addirittura da escludere che Wiggo si presenti alla Grande Boucle talmente in palla da rischiare di fare le scarpe al più giovane collega. Anche l'idea che il vincitore del Tour 2012 possa mettere mediaticamente in ombra il vincitore del Tour 2013 è un elemento da prendere in considerazione: Froome avrebbe da guadagnar molto avendo accanto un compagno che attrae le attenzioni e lo lascia tranquillo a concentrarsi per rivincere il Tour. Ma, umanamente parlando, non finirebbe con lo scocciarsi di un simile stato di cose?

Sarà fantastico sentire nelle prossime settimane tutti i rumorini e gli scricchiolii provenienti da casa Sky. Già il gran capo Dave Brailsford ha dato una risposta incredibile a chi gli chiedeva se Wiggins andrà al Tour: «Vedremo come sta, c'è anche la questione del jetlag dall'America da smaltire». Sì, avete letto bene, il jetlag da smaltire oggi per Wiggo potrebbe essere un problema nell'ottica di una corsa che inizierà tra un mese e mezzo. Tutto molto divertente.

Un po' meno divertente è stato il modo con cui Wiggo ha imposto la propria legge al TOC: vinta nettamente la cronometro del secondo giorno a Folsom, il britannico non ha dovuto far altro che difendersi e controllare gli avversari più vicini, in particolare sui due arrivi in salita di Mount Diablo (terza tappa, vincitore Rohan Dennis) e Mountain High (sesta, vincitore Esteban Chaves). Pochi fuochi d'artificio, sulle salite, ma quantomeno abbiamo ricavato la conferma che Chaves può tornare ai livelli di prima dell'infortunio di febbraio 2013 (il colombiano è una grande speranza, ma dopo una caduta un problema alla spalla gli ha tolto parte della mobilità del braccio, rischiando di farlo smettere), e che Dennis è un gran bel prospetto per i prossimi anni, forte sia a crono (secondo nella prova contro il tempo vinta da Wiggins) che in salita.

Intorno a tutto ciò, le consuete volate che mai mancano in California (Cavendish ha vinto la prima e l'ultima, Degenkolb è stato lo sconfitto di lusso, Sagan ha apposto il suo immancabile timbrino nella settima frazione), una fuga in porto (nella quarta tappa vinta da Will Routley) e un gran numero da finisseur di Taylor Phinney a Santa Barbara, nella quinta tappa: partito a 23 chilometri dal traguardo, il corridore della BMC s'è tenuto dietro il branco inferocito del gruppo in caccia, ed è andato a imporsi con una delle più belle azioni dell'anno.

Marco Grassi

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