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Giro d'Italia 2014: Svein Tuft, corridore into the wild - Ritratto della prima maglia rosa, dalla natura selvaggia alle vittorie | Cicloweb

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Giro d'Italia 2014: Svein Tuft, corridore into the wild - Ritratto della prima maglia rosa, dalla natura selvaggia alle vittorie

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Il canadese Svein Tuft in maglia rosa a Belfast © Bettiniphoto

Varese, 2008. Diretta Rai del mondiale a cronometro. A quei tempi c'era ancora la coppia Bulba-Cassani in cronaca. I due snocciolano la lista dei favoriti: non c'è Fabian Cancellara, perciò sarà una dura lotta tra gli americani, i tedeschi e Gustav Erik Larsson, che quell'anno aveva conquistato l'argento alle olimpiadi. In coda all'elenco, tocca a un inaspettato outsider: «...degli amatori ci han parlato di questo canadese che è venuto a prepararsi in Toscana, ci han detto 'occhio perché andrà forte!'». Affermazioni da prendere abbastanza con le molle, anche se Tuft si era già piazzato settimo nella crono pechinese.

Ebbene, Svein Tuft farà a lungo segnare il miglior tempo con 52'44" e soltanto Bert Grabsch saprà andare più veloce dell'allora sconosciuto trentunenne della Symmetrics, piccola Continental canadese. Il quale, tra l'altro, aveva forato negli ultimi 5 km della prova. Non sappiamo chi fossero quegli amatori, né che razza di preparazione avesse fatto Tuft in Toscana, fatto sta che quel giorno Bulbarelli e Cassani fecero una gran bella figura. E anche Tuft, ovviamente! Tant'è che Jonathan Vaughters, che l'aveva conosciuto nel 2003 alla Prime Alliance, dove correvano insieme, lo mise sotto contratto con la Garmin-Slipstream, che in quell'annata entrava nel Pro Tour. A 32 anni la vera carriera da professionista di Svein Tuft poteva dirsi cominciata.

Ma facciamo qualche passo indietro. La storia di Svein Tuft, come si può intuire dal nome, ha origini nordamericane solo recenti: suo nonno Arne nel 1936 aveva partecipato alle Olimpiadi invernali di Garmisch nella 50 km di sci di fondo, sotto bandiera norvegese. Svein eredita così dal nonno delle doti di fondo eccezionali, mentre dal papà, migrato in cerca del sogno americano, eredita un certo spirito avventuriero che lo porterà a 15 anni, quando i suoi si sono separati, ad abbandonare la scuola e viaggiare tanto in bicicletta, oppure scalare montagne. La sua maggiore impresa a 18 anni, quando in primavera compie un trip di 4000 miglia con la sola compagnia del suo pastore tedesco Bear (complimenti anche a lui!) che lo porta da casa sua, nella Columbia britannica, fino in Alaska, conducendo una vita spartana, soffrendo più volte la fame e il freddo: un parallelismo con Christopher Mc Candless, morto 3 anni prima, ispiratore dell'icona radical-chic Into the Wild, film di Sean Penn uscito nel 2007.

Insomma, se la gran parte dei talenti mondiali a 18 anni già correvano e vincevano, lui preparava il suo futuro da ciclista viaggiando senza meta con una bici a 10 velocità, circondato da una natura selvaggia e ostile. Il tempo delle gare arriva nel 1999, a 22 anni compiuti. Svein brucia le tappe e due anni dopo è già nel giro della nazionale. Vince la prima corsa professionistica, una tappa al Giro di Beauce. Nel 2002, il primo contratto da pro' con gli americani della Prime Alliance. Ma lo spirito non è cambiato. Dirà di lui Vaughters: «Aveva una barba lunghissima, e puzzava da morire». L'ambiente ciclistico non faceva per lui. Nel 2004 riesce finalmente a battere il grande vecchio Eric Wohlberg nei campionati nazionali a cronometro e partecipa ai mondiali veronesi, ma è sul punto di mollare. Kevin e Mark Cunningham, proprietari della Symmetrics, credono nel suo talento e lo convincono a continuare, ospitandolo in maniera singolare: vive in campeggio nella loro tenuta, così come Christian Meier, allora e anche oggi suo compagno di squadra.

Nei 4 anni alla Symmetrics Svein ha una crescita graduale, nei quali i Cunningham correggono la sua preparazione spesso esagerata a livello di pesi. I risultati si vedono: vince nel 2007 l'Us Open e nel 2008 il Tour de Beauce e i Campionati Panamericani. I tempi sono ormai maturi per il grande salto, ma Svein tentenna, fedele ai Cunningham che gli avevano dato fiducia: sono loro stessi a lasciarlo andare verso la sua strada, nonostante la nuova avventura lo spaventi un po'.

Il resto è storia che conosciamo un po' tutti. L'Australia doveva essere nei suoi piani già nel 2011, ma il fallimento del progetto Pegasus lo riportò verso casa, alla Spidertech, dove conobbe un discreto rilancio dopo 2 anni da professionista un po' al di sotto delle aspettative. Nel 2011 arrivano le uniche vittorie in linea della seconda parte di carriera, ossia un'altra tappa al Beauce e il Gp Zottegem in Belgio. Dal 2012 all'Orica, squadra votata alle crono, trova decisamente la sua dimensione, ottiene il suo unico successo individuale World Tour (una crono all'Eneco Tour) e svolge il suo egregio compito per la squadra, fino a ottenere un premio nel suo successo odierno, il giorno del suo 37esimo compleanno.

Una storia veramente bella, quella di Svein Tuft, per molti versi parallela a quella di Chris Horner: le origini multietniche, l'atteggiamento anticonvenzionale, la maturazione tardiva, il periodo barbuto conseguente alla calvizie. La sua era finora nascosta al grande pubblico, ma da domani farà versare ettolitri di inchiostro virtuale ai giornalisti in cerca di avventure romantiche. A noi basta dire che Svein lo ammiriamo e apprezziamo per ciò che ha fatto della sua vita, e se anche non avessimo scavato nel suo passato per capire di che pasta è fatto ci sarebbe bastato guardarlo lì, sul meraviglioso podio di Belfast, mentre scuoteva il capo con un sorriso beffardo, come a dire: non è possibile. Non sono io.

Nicola Stufano

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