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Liegi-Bastogne-Liegi 2014: Gerrans, un altro scacco matto - Caruso ripreso ai 70 metri, è 4°. Podio Valverde-Kwiatkowski | Cicloweb

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Liegi-Bastogne-Liegi 2014: Gerrans, un altro scacco matto - Caruso ripreso ai 70 metri, è 4°. Podio Valverde-Kwiatkowski

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Simon Gerrans vince la Liegi-Bastogne-Liegi 2014 davanti ad Alejandro Valverde e Michal Kwiatkowski © Bettiniphoto

Ce l'ha pure nel cognome, questa località che oggi l'ha visto trionfare (si può usare un altro verbo?) al termine della seconda classica monumento vinta in carriera. Simon Gerrans ha vinto ad Ans una corsetta che però non porta il nome della località d'arrivo, perché il suo marchio, riconosciuto sin dal lontano 1892, è quello denominato "Liegi-Bastogne-Liegi". La Doyenne, sì. Dopo aver incamerato nel 2012 una Milano-Sanremo che a molti era parsa più o meno casuale (ovvero: vivo la giornata di grazia nella classica più abbordabile, mi gira bene un po' di fortuna, e me la ritrovo nel palmarès), oggi l'australiano della Orica ha firmato quello che probabilmente resterà come il capolavoro definitivo di una carriera (a meno che non vinca un Mondiale prossimamente...).

A 34 anni (o poco meno), Gerrans coglie la soddisfazione più grande non tanto dalla vittoria in sé (che già ce ne sarebbe d'avanzo), ma proprio dall'idea di aver confermato l'assunto di fondo: non è, lui, un parvenu che balla solo una notte, ma un corridore arcigno che magari gareggia in maniera sparagnina, ma che sa dimostrarsi letale, anche ai più alti livelli. Uno così lo devi togliere di mezzo (sportivamente parlando) appena possibile: se al suo cospetto tentenni, eviti di affondare il colpo, tendi a sottovalutarne la capacità di riemergere, finisce che ti punisce.

Chi può dirlo meglio di Alejandro Valverde, quest'oggi? Se sulla Roche-aux-Faucons lui e gli altri uomini più fondisti avessero insistito in un'azione da cui l'australiano era rimasto fuori... Se, se, se... Una congiunzione che accompagna in maniera puntuale e insistita la carriera del murciano, ma è a lui che bisogna chiedere conto, oggi: chi più di Aliejandro, infatti, aveva l'interesse a far corsa dura? Chi meno di lui, con la gamba che si ritrova e la velocità che continua ad avere negli sprint ristretti, poteva temere sviluppi di gara che spostassero gli equilibri verso gli uomini più duracell, a svantaggio di quelli che invece ci guadagnano da una corsa tenuta in sordina?

Valverde è il secondo di giornata e quindi per legge (del ciclismo) è il primo degli sconfitti; ma quanti altri ne troviamo, nelle pieghe della 100esima Liegi-Bastogne-Liegi? Non è forse sconfitto quel Daniel Martin che, dopo aver traccheggiato per giorni, mi fa male qui, ho la bua qua, esce sullo strappo finale con la furia di chi deve andare all'appuntamento con la seconda Liegi consecutiva, ma cade come un pollo all'ultima curva quando già sta pregustando il clamoroso ri-successo?

Non è forse sconfitto l'attesissimo (come al solito) Philippe Gilbert, che si è mostrato più vicino al se stesso di mercoledì (deludente Freccia) che a quello di domenica scorsa (scintillante Amstel)? Non è sconfitto Joaquim Rodríguez, che ha dovuto gettare la spugna lontanissimo dal traguardo, travolto dai postumi delle cadute dei giorni scorsi? E che dire di Froome, o di Betancur, che nemmeno hanno preso il via, chi per un guaio, chi per l'altro?

Ma la copertina dello sconfitto più bello, più emozionante, più romanzabile del giorno - e vogliamo vedere chi non è d'accordo - spetta a Giampaolo Caruso. Non vogliamo abusare della solita citazione dalla canzone di Ligabue, ma chi più di lui - tra quelli ritrovatisi in condizione di vincerla, la corsa oggi - corrisponde al ritratto di corridore che ha speso una carriera al servizio degli altri, dei capitani di turno, sacrificando le proprie legittime ambizioni per la causa comune?

Un corridore abituato ad attaccare in queste gare, solo che in precedenza l'aveva sempre fatto per aprire la strada alle finalizzazioni (eventuali) dei vari Purito Rodríguez o Dani Moreno; stavolta, trovatosi a correre per sé, ha tenuto il meglio per il finale, si è involato insieme a Domenico Pozzovivo sulla Côte de Saint-Nicolas (due italiani al comando della Liegi!), ha lavorato più del lucano (che per vero dire era stato già attivo sulla Roche-aux-Faucons), l'ha staccato sulla rampetta di Ans, e Ansimando Ansimando ha tentato in tutto e per tutto di resistere... si è visto piombare addosso lo scatenato irlandese, ha pensato che era finita, e invece no, non è detto, quello scivola in curva, c'è ancora luce, c'è ancora luce!

E come già mille volte abbiamo visto in questo sport crudele, spietato, il traguardo che è lì davanti è grande abbastanza che lo puoi quasi toccare, ma non basta allungare le braccia davanti a te, ci vogliono più gambe, ma quelle sono già in acido da una vita, puoi continuare ad Ansimare, puoi sentire una nuova muta di cani che ti agguanta e fa strage di te e dei tuoi sogni, puoi vederti sfuggire pure uno strapuntino di podio, rimanere quarto, e l'unica cosa che ti rimane è il pianto dirotto di una occasione che capita una volta nella vita, un treno che forse non ripassa (oddio, magari invece ripassa, non facciamola così tragica!). Grande quarto, Giampaolo, davanti a un grande quinto, Domenico, diciamolo e applaudiamo, anche se continuiamo a non vincere queste benedette monumento (29 consecutive).

Matteo Bono e la teoria del fuggitivo
Il mondo del ciclismo è stato accolto stamattina dalla notizia che Chris Froome non avrebbe preso il via della Liegi: problemi respiratori per lui (infezione polmonare); febbre e malesseri vari invece per Betancur, che da giorni si dibatte in una condizione fisica del tutto da inventariare, e che pure lui è rimasto ai box. Tutto ciò non ha certo cambiato i piani di quei sei che avevano deciso di provare a entrare in una fuga, e che ci sono riusciti praticamente subito, al km 12: Pirmin Lang, Michel Koch, Pieter Jacobs, Jaco Venter, Marco Minnaard e un italiano, Matteo Bono. Quattro rappresentanti di squadre Professional, e due di team italiani (Koch per la Cannondale, Bono per la Lampre).

Il gruppo, non impensierito, ha messo una rappresentanza a tirare per finta (un BMC, un Lotto, un Movistar), e i sei hanno preso il largo, 15'45" il vantaggio massimo al km 75; poi quando anche Omega Pharma e Garmin hanno iniziato a collaborare, il margine dai primi ha iniziato a scendere. Un'altra squadra, la Sky, derelitta lei, ne schierava sulla carta 7, il forfait di Froome l'ha ridotta a sei, e le prime salitelle di giornata (le prime côte, per essere più precisi) l'hanno del tutto polverizzata. Team senza capo né coda, ma il Wiggins tanto grintoso del Trentino era proprio fuori luogo alla Doyenne? Non c'era, e non c'era proprio la Sky. Magari tra una settimana, a Romandia finito, diremo altro (ma dipende da Froome: si riprenderà in queste prossime ore?).

Non solo la Sky, ma anche altri personaggi hanno iniziato a patire con l'arrivo delle côte sul percorso: Joaquim Rodríguez ha capito subito di non essere in una giornata da mettere nell'album dei ricordi; Andy Schleck - dicono di un problema al ginocchio - si è anche lui fatto da parte. Qualcuno è caduto (Bakelants, a 100 km dalla fine), qualcuno ha finito la benzina: Minnaard, ad esempio, primo dei 6 battistrada ad alzare bandiera bianca, sulla Côte de Wanne, a 95 km dalla fine, quando il margine degli attaccanti era ancora di 9'.

Prima dello Stockeu una singolare, inconsapevole prova di forza di Tony Martin, che era in testa a tirare e tirando tirando ha tirato via dal gruppo il compagno Kwiatkowski: fatto il vuoto, i due si sono resi conto che il gruppo non li seguiva, e scandalizzati all'idea di dar forma ad un'azione d'attacco a 90 km dalla fine, si sono rialzati. Era troppo presto.

La Haute-Levée è stato il capolinea di JRO (ritirato di lì a poco), ma anche delle ambizioni di un Van den Broeck del tutto fuori fase. Lo aspetteremo per i suoi 20 giorni decenti che ogni anno offre in occasione del Tour (molto di più non fa, in genere). Superata la Haute-Levée, Bakelants - già caduto prima - ha forato, ma è rientrato senza grossi problemi, visto che il momento era ancora interlocutorio: certo, si alternavano scatti e controscatti in testa al gruppo, ma nulla di veramente serio, nulla che segnalasse una reale ambizione di rivoluzionare la chiave tattica della Liegi. Sì, era davvero troppo presto.

Rui Costa, non ancora stufo di dar da pensare ai cabalisti (quelli della maledizione della maglia iridata, per intenderci), è caduto a 78 km dal traguardo, con Golas, Torres e López García, e si è ritirato, completando una campagna ardennese tra lo iellato e il fallimentare; negli stessi chilometri, l'ammiraglia AG2R travolgeva il proprio stesso corridore Minard, che le si era incautamente avvicinato (o incauta è stata la manovra di chi guidava). Solo qualche graffio (parecchi graffi, diciamo) per il francese.

Era la Europcar di un frizzante Rolland, alternata alla Tinkoff che ripresentava Michael Rogers (all'esordio stagionale dopo la sospensione per l'affaire clenbuterolo) a tirare il gruppo, ora con più veemenza. Di fatto si è arrivati alla Redoute con una situazione di stallo, tra i big (attendismo, attendismo), e con Matteo Bono che, essendo di gran lunga il più figo dei fuggitivi, ne ha approfittato per rimanere solo al comando: con Koch staccatosi sin dalle prime rampe della côte (mancavano 45 km alla fine), e poi Lang e poi Jacobs e infine pure Venter destinati a stesso trattamento prima della vetta, il 30enne bresciano - già visto in fuga alla Sanremo, tanto per dire - si è tolto lo sfizio di transitare tutto solo al comando in vetta a quella salita mitica. Non son cose da tutti.

Un gruppo troppo corposo ai piedi del Saint-Nicolas
Subito dopo lo scollinamento, Bono ha giustamente ragionato sull'inutilità di continuare da solo quando Venter, pur staccato, gli era rimasto dietro di pochi secondi; quindi s'è rialzato, ha atteso il sudafricano, e per un altro po' s'è spartito con lui la fatica. Il gruppo, ormai a meno di 2', si avvicinava impetuosamente. Sulla Redoute avevamo visto un allungo di Warren Barguil, forse il più promettente tra i francesi da battaglia, e su di lui si erano portati il colombiano Julián Arredondo (convinto di trovarsi a quel punto sulla Roche-aux-Faucons!!! L'ha ammesso lui stesso nel dopogara) e il buon Bakelants. Ma la reazione della BMC di Gilbert ha annullato l'azione ai -42.

Bakelants è ripartito per un attimo in contropiede, la Orica ha dato segno di vitalità, la situazione è risultata molto fluida, ma ancora in 80-90 pedalatori condividevano la presenza in gruppo, a poco più di 30 km dalla fine. La Côte des Forges, reinserita quest'anno, potrà fare selezione, ci dicevamo speranzosi quando era ancora troppo presto. Ma anche questa non è che abbia prodotto alcunché di interessante, a parte il farci vedere Bono di nuovo da solo in testa; il massimo che il gruppo ha saputo proporre nell'occasione è stato un allungo di Alex Howes (compagno del campione uscente Dan Martin), e un nuovo problema meccanico per lo sfortunatissimo Bakelants.

Superata senza altri eventi di rilevo la côte, altri uomini (di secondo e terzo piano, con tutto il rispetto) sono scattati riportandosi su Howes (parliamo di Weening, comunque ottimo, di Chris Sørensen, di Baugnies e di Dennis Vanendert, fratello minore di Jelle). Sono stati chilometri interlocutori, da sommare a quelli che si erano succeduti fin lì. Cambierà lo scenario sulla Roche-aux-Faucons?, si chiedeva lo spettatore sempre più spazientito.

Non fosse successo nulla nemmeno sulla penultima côte di giornata, a 22 km dal traguardo di una Liegi, ci sarebbe stato effettivamente da spararsi. Fortunatamente le acque si sono finalmente mosse un po'. Intanto è finita in gloria la giornata lavorativa di Bono, raggiunto ai piedi della salitella dopo 229 km di fuga; quindi, dopo una trenata dell'AG2R (che, pur orfana di Betancur, non difettava di buone ruote da lanciare), è scattato di nuovo Arredondo (stavolta sulla côte giusta, secondo i suoi programmi...). Dietro al colombiano della Trek s'è mosso Pozzovivo, confermando quanto fossero ben radicate le sue ambizioni in merito alla Liegi.

Tra gli altri, Gilbert - con Bardet e Kwiatkowski a ruota - ha dato l'impressione di poter sedare la cosa, riportando sotto la prima parte del gruppo (comprendente anche Vanendert, Nibali, Valverde, Moreno, Kreuziger e Iglinskiy; non Gerrans, occhio!); ma Pozzovivo non ha certo desistito, e ha rilanciato l'azione, di concerto con Arredondo, e i due sono riusciti a scavare un vantaggetto di oltre 10", quasi 15.

Il drappello dei big, comprendente troppi galli nello stesso pollaio, s'è fatto attanagliare dal solito attendismo: piuttosto che insistere e fare selezione sul serio, in troppi (anche chi aveva tutto da perdere ad aspettare il finale) non hanno dato impulso all'azione, che è sfumata. Gilbert, sin troppo marcato, ha sganciato l'ottimo Samuel Sánchez, che però non è riuscito a rientrare sulla coppia al comando, ed è stato ripreso ai -18 dall'avanguardia del gruppo (anche Cunego, Santaromita e Caruso erano nelle prime posizioni).

Ai 17 km Kreuziger ha fatto la sua sparata, forzando con Nibali e con Caruso, bravo ad accodarsi. Ma Valverde ha chiuso sul terzetto, portandosi dietro di nuovo Gilbert, Nordhaug, Vanendert, e di nuovo i nostri eroi hanno stabilito che c'era troppa gente presente per continuare a forzare, e allora tutti hanno di nuovo rallentato, facendo rientrare subito Kwiatkowski e Bardet, e successivamente anche altri corridori (tra cui il citato - non a caso - Gerrans). Quando si dice l'intellighenzia.

A 15 km dalla fine Pozzovivo e Arredondo avevano ancora 15" di margine, ma tra uno scatto e una strappata (elenchiamo sommariamente: Nordhaug con Kreuziger, poi Gautier con Gallopin, poi Fuglsang con Niemiec, poi di nuovo il trenino BMC...), da dietro erano destinati a rientrare, e così è stato, col ricongiungimento operato a 11.5 km dalla fine: gruppo di 40 - tirato dai residui della Orica e della Movistar - in viaggio verso il Saint-Nicolas: troppi, troppi corridori insieme. E di sicuro non era più, da tempo, "troppo presto".

La splendida azione italiana, il disperato resistere di Caruso, la vittoria di Gerrans
Il finale un po' l'abbiamo anticipato nell'apertura di questo articolo. La Côte de Saint-Nicolas, a 7 km dalla fine, era lì disposta a svolgere le mansioni di giudice, come spesso accaduto in passato. Serviva qualcuno che fosse a propria volta disposto a metterla nelle condizioni di farlo: insomma, qualcuno che attaccasse. Ci ha provato un sorprendente Stefan Denifl, rimasto allo scoperto per qualche centinaio di metri, ma non in grado di fare realmente la differenza; è allora partito, secco secco, Giampaolo Caruso, a 6 km esatti dalla fine (quindi già nei pressi della vetta), e alla sua ruota chi s'è messo? Di nuovo un inesauribile Pozzovivo.

I due italiani hanno guadagnato poco spazio, sulle prime, dando l'impressione di poter essere presto reinglobati dal gruppetto Valverde-Gilbert. Ma dietro, come quasi sempre in questi casi, la fase di occhiate-trattativa tra i vari big (tiro più io? tiri più tu? facciamo tirare quell'altro?) è andata un po' per le lunghe, dopo un subitaneo slancio di Valverde che, ai -5, aveva per un attimo preso in mano la situazione: non appena su di lui hanno chiuso Gilbert, Gerrans (che aveva nel frattempo metabolizzato le difficoltà della Roche) e Kreuziger in primis, ci si è un'altra volta rialzati. Un film già visto. Ma era una seconda visione che sapeva di Nuovo Cinema Paradiso per il siciliano Caruso, impegnato a tirare il collo a se stesso nell'intento di guadagnare il più possibile in quei brevi frangenti di incertezza tra gli inseguitori, e di favola ad occhi aperti per i battistrada.

Giampaolo ha dato tutto o quasi, al punto da non permettere nemmeno che Pozzovivo (già parzialmente provato dall'azione precedente) collaborasse alla pari. Ma ormai non era più il caso di fare calcoli: a 5 km dalla fine di una Liegi-Bastogne-Liegi bisogna solo chiudere gli occhi e andare a trovare il fondo del barile delle proprie energie. E raschiarlo, se occorre.

Ancora Rolland, in quel frangente, ha tentato di fuoriuscire dal plotone degli inseguitori, marcato da Nordhaug e Vanendert, e stavolta è stato Valverde a inseguire e spegnere il tentativo. Insomma, tra un batti e un ribatti, ai 4 km Caruso e Pozzovivo si ritrovavano 12" di vantaggio su tutta la nobiltà della Doyenne. Roba da non crederci, quasi. Ai 3 km una trenata (non possiamo nemmeno definirlo scatto) di Nibali ha rosicchiato un paio di secondi: l'intento di Vincenzo era di lavorare in favore di Gasparotto, visto che si profilava un arrivo abbastanza nutrito (se fossero stati ripresi i due attaccanti), ma di sicuro la sua azione sarà spiaciuta ai tifosi italiani (e siciliani in particolare).

Sulla scorta del breve forcing di Nibali, è partito di nuovo Nordhaug, dopodiché Sánchez si è messo a tirare a tutta per favorire le chance di Gilbert, e ai 2 km ha raggiunto il norvegese della Belkin; per le due lepri, ancora 9". Ce la potevano fare.

È allora passato a tirare Weening, casa Orica, e la sua azione è stata determinante, perché se ai 1600 metri il margine era risalito a 10" (ce la potete fare! ce la potete fare!), 600 metri più avanti, al triangolo rosso dell'ultimo chilometro, e su quella rampa infame (infida, infingarda) di Ans, la pedalata di Giampaolo e Domenico era un tantino appesantita, e da dietro si recuperava: ormai i due erano a tiro di sguardo. Niemiec, l'n-esimo uomo nelle gerarchie Lampre (sulla carta; poi sul campo gli capita a volte di essere il migliore), è partito proprio lì, ai 1000 metri, e Dan Martin (dov'è che aveva male?) ha colto l'occasione per partire a sua volta, seguendo il polacco e saltandolo netto, per volare alla caccia dei due italiani.

Tra di loro, tra i primi della corsa, Pozzovivo stava dando pure lui tutto quello che gli rimaneva, non rinunciando a tirare pur sapendo che probabilmente la volata a due l'avrebbe persa; Gilbert ai 300 metri ha accennato a lanciare la volata lunga, ma prima di lui è stato Martin (che era ancora intercalato) a chiudere su Pozzovivo prima e, ai 250 metri, su Caruso. Come l'irlandese sia scivolato sull'ultima curva a sinistra, ridando fiato all'azione del corridore della Katusha, l'abbiamo già scritto.

Ma nel momento in cui Martin cadeva miseramente, da dietro lo sprint dei favoriti era stato lanciato per davvero, dopo l'avvisaglia un po' pallida di Gilbert. Ed era Gerrans a menare la quadriglia, trascinando Valverde e Kwiatkowski nella sua possente scia. Un direttissimo formato da tre vagoni ha affiancato e inevitabilmente risucchiato, superato il povero Caruso, ad appena 70 metri dalla fine. L'australiano, più scaltro, più conservativo, in definitiva più veloce degli altri due, ha vinto. Con merito, con l'enorme merito che va sempre riconosciuto a chi è in grado di imporsi nonostante non sia stato baciato dalla grazia divina di altri avversari. Primo australiano nella storia ad imporsi nella Doyenne, tra l'altro.

Valverde si accontenta (ma si accontenta?) del quinto podio liegista (due volte l'ha vinta, una volta è stato terzo, e questo è il suo secondo secondo posto); Kwiatkowski lucra con piacere il miglior risultato in carriera alla Doyenne (e non ha ancora 24 anni, e quindi ancora tante stagioni per migliorare il terzo posto); Caruso è solo quarto, ma il suo hard-disk interno quel finale non l'ha proprio registrato, non l'ha fissato nella memoria. Non è avvenuto, per Giampaolo, quel rovescio che l'ha sbalzato giù dal podio, e per lui (che ha dichiarato proprio ciò) questa Liegi resta vinta. Pozzovivo si conquista un quinto posto che dice molto meno di quel che dovrebbe, vista la gagliarda prestazione del ragazzo di Lucania.

E più indietro troviamo, in ordine di passaggio allo striscione d'arrivo, Tom Jelte Slagter, Roman Kreuziger, Philippe Gilbert (solo ottavo), Daniel Moreno e Romain Bardet; fuori dai 10, Vanendert precede il terzo e il quarto degli italiani, ovvero Enrico Gasparotto 12esimo e Damiano Cunego 13esimo. Nei 20 ritroviamo pure Fränk Schleck (19esimo), per incrociare Nibali bisogna scendere al 30esimo posto (ha chiuso in riserva completa, Vincenzo), e Ivan Santaromita ha guidato il plotoncino del 40esimo posto.

Quattro italiani nei 13, 5 nei 20, 6 nei 40... No, non scopriamo oggi a Liegi un movimento rinato dalle proprie ceneri; ma semplicemente un tot di buoni interpreti di questo tipo di gare oggi si è comportato molto bene, regalando ai tifosi biancorossoverdi una giornata come non se ne vivevano da un bel po'. Che sia un punto di partenza, è arduo dirlo; ma almeno, carpe diem, ci godiamo questo bel finale dei nostri, condividendo con Gerrans un motto (cogli l'attimo), che alcuni non latinisti come Valverde o Kreuziger o Mollema (solo 15esimo) non hanno dimostrato di conoscere bene.

Marco Grassi

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